Stizzita, compongo il numero di Gwen e mi porto il telefono all'orecchio. Per più di un motivo, ho il cuore che ruggisce contro le costole. Solo sola, spaventata ed estremamente triste. Ma non voglio fasciarmi la testa prima di sbatterla. Ho bisogno della risposta concreta di un ginecologo prima di decidere cosa sia meglio fare.

Attendo che Gwen mi risponda. Dopo sei lunghissimi e angoscianti squilli sto per riagganciare, ma la sua voce, che arriva brusca e fredda dall'altro lato della linea, mi impedisce di farlo.

«Pronto!», tuona.

«Gwen, sono io... Fiona. Ti prego, non chiudere», la supplico con le lacrime agli occhi.

«Fiona?!», replica confusa. «Che diavolo vuoi?»

«Possiamo vederci? Ho bisogno di parlarti. È urgente».

Silenzio.

«Gwen?», la chiamo.

Silenzio.

«Gwen, per favore. È urgente», insisto. «Non so a chi altro chiedere aiuto».

«Cosa diamine è successo?»

Quando sento di nuovo la sua voce rilascio un sospiro di sollievo.

«Ho bisogno di vederti e spiegarti le cose di persona. Pensi di potermi venire a prendere e portarmi in un luogo in cui possiamo chiacchierare tranquillamente?»

«Dammi un buon motivo per farlo».

«Si tratta di Gabe. So che gli vuoi bene quindi faresti meglio ad ascoltare ciò che ho da dirti».

Gwen esala un lungo sospiro e per un istante temo che mi manderà al diavolo, ma poi dichiara: «Arriverò tra un'ora. Fatti trovare pronta perché non mi piace aspettare».

«Davvero? Oh, cioè... è fantastico! Gra...»

Non riesco a concludere la frase che mi ha già chiuso il telefono in faccia.

Chi se ne frega? Tutto ciò che conta è che abbia deciso di ascoltarmi. Così sono più vicina al mio obbiettivo: convincerla a darmi una mano.

***

L'appartamento di Gwen non è grande come l'attico di Gabe, ma non si può di certo definire piccolo.

Seduta sul divano centrale, Gwen mi fa cenno di accomodarmi sulla poltrona posta di fronte.

Siamo da poco arrivate a casa sua, dopo un viaggio durato quaranta minuti, tempo in cui non ha fatto altro che ignorarmi e scambiarsi delle battute pungenti con Kriystan, il bodyguard che sembrava più intenzionato a chiuderle la bocca con un bacio invece che stare a sentire le sue uscite.

Ora siamo da sole, faccia a faccia, ed è arrivato il momento di sputare fuori la verità.

Le do ascolto: occupo un piccolo spazio sulla poltrona, poi traffico con la borsa e tiro fuori i cinque test di gravidanza. Li poso sul tavolino da caffè che ci divide e attendo la sua reazione, che non tarda ad arrivare.

La stronza inizia a ridere e dallo sguardo che mi rivolge sono pronta a scommettere che mi farebbe un applauso, se non fosse per il braccio ancora ingessato.

«Lo sapevo, cazzo!», continua a ridere in modo ironico e a scuotere la testa. La sua coda di cavallo bionda ondeggia a ogni movimento.

«Ho bisogno che mi veda un medico senza che Gabe lo sappia. Ho già fatto un test insieme a lui ed è risultato negativo. Forse sono questi a essere difettosi».

«Hai bisogno di un disegnino? Cinque test su sei hanno dato un risultato positivo. Cazzo, Fiona, ti facevo più intelligente! È chiaro che tu sia incinta!»

«Non possiamo saperlo con esattezza, non finché non mi vede un ginecologo», ripeto, intenzionata a non dare retta a quella voce che ho in testa e che urla a squarciagola che la verità può essere soltanto una.

«E cosa vuoi da me? Vuoi che ti porti dal mio medico e ti tenga la mano mentre attendi una risposta?», mi schernisce.

«Puoi aspettare fuori, non è necessario che tu mi tenga la mano. Ho bisogno di sapere con certezza cosa sta succedendo. Ti prego... Non conosco nessuno che possa aiutarmi senza dirlo a Gabe».

«E perché non gli racconti la verità?»

«Lui... non accetterebbe la situazione».

Sento come un vuoto allo stomaco non appena le parole lasciano la mia bocca. Perché vorrei che le cose andassero diversamente, ma il passato di Gabe è un peso che non riesco a ignorare.

«Embè... chi lo farebbe? State insieme da poco e tu hai ben pensato di restare incinta. Bel colpo, non c'è che dire!»

Gwen si alza in piedi e si avvicina all'armadietto in cui custodisce le bottiglie di liquori. Ne prende una a caso e rovescia il liquido ambrato in un bicchiere.

«Non sono io ad aver deciso di restare incinta. Capita se si fa tanto sesso non protetto, sai?», replico stizzita.

«Non scendere nei particolari, per l'amor del cielo!», mi ordina prima di tornare a sorseggiare dal bicchiere.

«Ripeto, non sappiamo con esattezza se sia vero o meno».

«Se fosse vero cosa hai intenzione di fare? Abortire perché mio fratello non accetterà la situazione?»

Le sue parole mi arrivano come dei potentissimi cazzotti sul cuore. Chino il capo e mi stringo nelle spalle, non ho una risposta da darle, solo tanta confusione nella testa.

I miei occhi fuggono sul mio ventre, che si muove rapidamente, seguendo il ritmo del mio respiro. L'idea che là dentro ci sia un bambino, il nostro bambino, mi toglie il fiato.

«Io... non lo so, Gwen. Amo tuo fratello da morire e l'ultima cosa che vorrei fare è arrecargli una sofferenza. Per favore, aiutami. Io non so cosa fare», le chiedo con le lacrime che hanno rotto la diga e scendono copiose sulle mie guance.

Nella vecchia fattoria, ia ia LoveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora