14 Fiona

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Capitolo 14

Fiona

La mia uscita dopo anni si è rivelata un vero fiasco. È sera inoltrata quando Richard mi lascia ai piedi della collina. Sul cielo infinitamente blu sono spuntate le prime stelle.

Lo ringrazio per la serata, anche se è andata come è andata. Lui mi fa l'occhiolino e mi augura in bocca al lupo con il newyorchese. Gli ho già detto che non ho intenzione di farmi avanti con Gabe, ma lui sostiene che dovrei agire diversamente.

Quando se ne va sono un fascio di nervi. Perché da un lato vorrei andare a bussare alla porta di Gabe e prendermi ciò che voglio, dall'altra so che sembrerei ridicola nel caso decidessi davvero di farlo.

Mentre percorro il viale, mi sento quasi in colpa per essermene andata via e aver scaricato tutti i lavori sulle spalle di Seth. Gli animali sono stati rinchiusi e preparati per la notte e il cortile è stato spazzato da cima a fondo.

La panchina a dondolo ondeggia dolcemente quando salgo gli scalini del porticato. Sicuramente un uccellino ci stava riposando sopra, ma è volato via non appena mi ha sentita arrivare. La cascina è avvolta dal buio, gli altri sono già andati a dormire.

«Mi taglieresti i capelli?»

Trasalisco vistosamente quando sento la voce di Gabe arrivare dalla cucina. Non so come, ma riesco a trattenere un urlo di spavento mentre mi blocco davanti alla porta.

Non appena i miei occhi si abituano al buio mi rendo conto che è seduto intorno al tavolo.

«Oh, mio Dio!» Mi porto una mano all'altezza del petto, nel punto in cui il mio cuore ha appena rischiato l'infarto. «Cosa diavolo ci fai qui nascosto?»

Lui si alza in piedi e mi raggiunge. Mi si piazza di fronte occupando tutto lo spazio intorno a me.

«Dove sei stata?», chiede, come se avesse il diritto di farlo.

«Non sono affari tuoi!» Faccio per andarmene, ma lui mi blocca il passaggio.

«Rispondi alla mia domanda».

Lo guardo con un sopracciglio inarcato. Che diavolo vuole da me?

«Ti ho già detto che non sono affari tuoi!»

«L'altra domanda», precisa ficcandosi le mani nelle tasche dei pantaloni.

«Davvero vuoi che ti tagli i capelli a quest'ora? Ho bevuto! Potrei farti un taglio di merda e mozzarti un orecchio».

In realtà, ho avuto modo di smaltire durante il viaggio di ritorno quel mezzo gin tonic che ho mandato giù con fatica.

«Correrò il rischio».

«Ok, come vuoi!» Liquido la questione alzando lo sguardo al cielo. Non ho voglia di litigare con lui a quest'ora.

Lui si sposta per farmi passare e, insieme, andiamo nella mia stanza. Non appena all'interno accendo la luce e Gabe si guarda intorno. Ho il cuore in gola per l'agitazione, ma faccio finta di niente.

Il letto matrimoniale è sfatto, metà lenzuolo è scivolato sul pavimento. Sul comodino una pila di libri che non finirò mai di leggere. L'armadio ha un'anta aperta, sulla sedia posizionata accanto alla finestra giacciono alcuni vestiti. Sul mobile vicino al lavatesta sono sparse un'infinità di bottigliette di shampoo. Sull'altro comodino, la foto di me e i miei genitori insieme, l'unica cosa che mi sia rimasta di loro, abbracciata da una cornice argentata. Nell'immagine avevo intorno agli otto anni ed eravamo il ritratto della felicità.

«Sei disordinata», osserva Gabe, andando, senza alcun invito, a sedersi sulla poltrona incastrata davanti al lavabo. La posizione gli permette di osservare ogni mio movimento.

Nella vecchia fattoria, ia ia LoveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora