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Le macchie sul soffitto assunsero la forma di un orso.

Sbattei le palpebre e una volta riacquistata la vista le medesime macchine si erano trasformate in una nuvola.

Quella stanza d'ospedale era diventata surreale tanto il tempo trascorso.

I giorni passavano e nessuno dei miei coetanei entrava nella stanza gridando frasi del tipo 'prendi le tue cose, si torna a casa'.

Ero sfinita del passare le mie giornate a rigirarmi tra quelle lenzuola, senza fare nulla di speciale.

Calato il buio, la situazione depressiva migliorava grazie alla compagnia di Axel, dopo quella fantastica notte, i suoi comportamenti sembravano cambiati, ma talvolta rimaneva lo stesso scorbutico di sempre.

Martin era certo che all'interno di quest'ospedale sarei stata al sicuro, ma evidentemente non fu così.

Una nuova settimana era cominciata ed io dopo aver fatto la mia solita routine, vidi le infermiere entrare nella stanza per occuparsi di me, come ogni giorno.

Scambiai qualche parola con loro, per la maggior parte riguardanti il mio stato fisico.

Sibilai sentendo un leggero fastidio al braccio.

Mi volta verso di esso, e osservai l'infermiere che stringeva un punto del braccio, tenendo in mano l'ago appena tolto della flebo.

<Mi scusi, non l'ho fatto apposta> si scusò mentre osservavo la macchiolina rossa che si stava espandendo sul braccio.

La flebo mi veniva cambiata quasi ogni ora, a causa del mio stomaco che ancora faticava a smaltire la droga assunta.

L'altra infermiera, notando l'incidente, con la fronte aggrottata fece il giro del letto, raggiungendo l'uomo.

Scosse la testa, e ordinò di farle spazio.

L'infermiere obbedì e fece passi indietro, tra le sue mani ancora quell'ago.

<Vado a prendere del disinfettante. Tu rimani qui, e cerca di non fare altri danni> disse l'infermiera puntando un dito verso l'altro infermiere.

Quest'ultimo annuì, visibilmente preoccupato del danno commesso.

Una volta uscita l'infermiera, il ragazzo appena sgridato fece un profondo sospiro, rilassando le spalle affranto.

<Non ti preoccupare, non é niente> tentai di rassicurarlo, gettando un occhio a quella ferita dove il sangue stava sgorgando sempre di più.

Rivolsi lo sguardo di nuovo verso l'infermiere aspettandomi un sorriso di gratitudine, ma quello che ebbi in cambio fu uno sguardo del tutto diverso.

L'infermiere lasciò cadere l'ago dalle sue mani, che finì a terra emettendo un leggero 'din', ed iniziò ad avanzare verso di me.

Ora che ci penso, non avevo mai visto quell'infermiere prima d'ora, e ciò non fece che aumentare la mia preoccupazione.

Strinsi nella mano le coperte, impaurita dalle possibili azioni di quell'uomo, che non promettevano nulla di buono.

I suoi occhi erano seri, cupi, accompagnati da un sinistro sorriso.

<Quanto siete ingenua, 'erede'> sussultai quando pronunciò queste parole.

Feci due più due nella mia testa e arrivai alla conclusione che davanti a me, sola nella medesima stanza, vi era uno dei componenti delle WEM.

Ora bisognava capire a quale famiglia apparteneva, e se, sperando, non nutriva antipatia bei miei confronti.

THE WEM Where stories live. Discover now