Lui non commenta e per un attimo penso che sia caduta la linea.

«Gabe, l'unica cosa che posso concederti è dimezzare la durata della tua permanenza in Michigan», dice portandomi a sospirare un'altra volta.

Ciò che ha appena detto in realtà significa "Resta lì e non deludermi di nuovo".

Tutto a un tratto non so più come comportarmi. La mia mente torna indietro di quindici anni, al momento in cui ho fatto la stronzata più grossa della mia vita. In quel caso, mio padre mi salvò il culo e non mi mandò in qualche collegio militare solamente perché riuscì a insabbiare tutto prima che le notizie venissero divulgate.

Di quella storia siamo a conoscenza solo noi due - oltre all'altra persona implicata - poiché fu l'unico a cui raccontai tutto quando scoprii la verità.

Stupidamente, avevo messo incinta una ragazzina della mia età. Stavo per diventare padre quando io stesso ero ancora un bambino.

La ragazzina in questione era terrorizzata tanto quanto me, non voleva che i suoi genitori scoprissero la verità. Ricordo ancora le sue lacrime disperate, il giorno esatto in cui mi aveva implorato di trovare una soluzione perché lei quel bambino non lo voleva, quindi prese la decisione di abortire. Non ci amavamo, non stavamo insieme, era stata una scopata occasionale non protetta e noi eravamo troppo giovani e folli per renderci conto di quali sarebbero potute essere le conseguenze dei nostri gesti inopinati.

Mio padre provò a farle cambiare idea, assicurandola che mi sarei preso le mie responsabilità e che l'avrei aiutata a crescere il bambino, ma non fu verso di farla ripensare. E io ne fui estremamente sollevato perché non ero pronto a rivoluzionarmi l'intera esistenza per quella che ho sempre considerato una cazzata.

Papà usò le sue conoscenze e la portò in una clinica privata. Pagò lui tutto; in più, le diede dei soldi e le fece firmare un accordo di riservatezza. Lei accettò e dopo che uscì dalla clinica non ebbi più sue notizie. Sparì nel nulla insieme al fardello che quella storia mi aveva procurato.

Quando tornò a casa, papà mi colpì per la prima - e ultima - volta nella sua vita. Era incazzato, pronto a mandarmi in Svizzera per il resto della mia adolescenza, mi aveva detto che mai si era vergognato così tanto. Io avevo incassato il tutto in silenzio, con il capo chino, consapevole di aver commesso, seppur inconsciamente, un grave errore.

Col finire dell'estate le acque si calmarono e, per non provocare dei sospetti negli altri membri della famiglia, papà mi permise di continuare gli studi nella scuola privata che stavo frequentando con la sola regola di proteggermi sempre durante i rapporti sessuali.

Non abbiamo mai più parlato di ciò che è successo, ma probabilmente, in cuor suo, porterà sempre un pizzico di rancore nei miei confronti perché l'ho costretto a una scelta che altrimenti non avrebbe mai preso.

Da quel momento in poi, ho sempre cercato di rigare dritto ed emulare i suoi comportamenti. Se ho raggiunto certi risultati nella vita, l'ho fatto perché spinto da quell'assurda voglia di renderlo orgoglioso di me e cancellare la vergogna che gli avevo fatto provare. Nonostante sia una macchina da guerra nel mio lavoro, dubito che ci sia riuscito poiché non mi ha mai dimostrato di essere soddisfatto di quello che faccio.

Poche volte mi sono concesso di pensare a come sarebbe stata la mia vita se avessi avuto un figlio, ma ho cancellato in fretta le immagini dalla mia testa. Penso che ci siano degli uomini nati per diventare padri e io non sono uno di questi. Quando vado a trovare mia sorella, ci gioco volentieri col mio nipotino, ma è un impegno che non voglio accollarmi mai nella vita e sto sempre attento prima di andare a letto con una donna.

«Che dirà il signor Crown quando non mi vedrà arrivare all'appuntamento di giovedì? Quel contratto va firmato entro la fine della settimana», cerco di arrampicarmi sugli specchi.

«Non pensare a nient'altro che non sia esclusivamente la tua persona. All'appuntamento col signor Crown si presenterà Colin e lo terrà buono per un po'», allude a mio cognato. «Il contratto si firmerà lo stesso al tuo rientro», aggiunge in quanto il signor Crown si fida solamente del sottoscritto. «Posso capire perfettamente il tuo disagio, ma ti ripeto, non cambierò idea. Questa esperienza ti aiuterà a capire tante cose, ne sono certo. Ah, un'ultima cosa: non provare ad adulare Liam perché non ti aiuterà a evadere prima. Anche lui ha la sua gatta da pelare dopo quella nottata disastrosa. Chiamami solamente per raccontarmi i tuoi progressi. Buona serata, Gabe».

Dopodiché tronca la chiamata senza darmi la possibilità di ricambiare il saluto, lasciandomi a fissare lo schermo di un cellulare con lo schermo malandato.

Chiudo per un istante gli occhi e mi impongo una calma che però non arriva. Cosa devo fare?

Nel frattempo, approfitto del telefono di Fiona e chiamo anche Liam, che però non mi risponde. Passandomi una mano tra i capelli decido di telefonare a Miranda. Non stiamo insieme, ma è l'unica a cui ho concesso di prendersi il mio corpo per più di una volta. Forse potrei chiedere a lei di venire a prendermi e tenermi nascosto nel suo appartamento per il prossimo mese e mezzo, anche se dubito che lo farebbe davvero.

A differenza di Liam, Miranda ci impiega poco tempo ad accettare la chiamata.

«Pronto!», risponde con la sua voce sensuale.

«Ciao, Miranda! Sono Gabe», dico affranto.

«Tesoro mio, ciao!», esclama entusiasta, come se non mi sentisse da anni invece che da poche ore. È stata lei ad avermi accompagnato all'aeroporto e a storcere il naso insieme a me davanti a un biglietto in seconda classe. «Da che numero mi stai chiamando?»

«Appartiene a una tizia che lavora in fattoria».

«Oh, Gabe, sono così contenta che tu mi abbia chiamata, ma non posso trattenermi a lungo. Sono appena scesa dal taxi, i nostri amici mi aspettano al Mango. Possiamo sentirci domani con più calma, se vuoi».

«Certo...»

Pensavo che sentirla mi avrebbe fatto stare meglio, ma è successo il contrario. Sapere che la vita di tutti quanti va avanti anche senza di me non è esattamente confortevole.

«A domani, Gabe». Non mi dà il tempo di chiederle niente. Non s'interessa di come sto, non mi domanda se ho bisogno di qualcosa; è solo frettolosa di andare a divertirsi e a farsi scattare le foto per postarle su Instagram.

Metto giù con la consapevolezza che per il momento non c'è un'altra via d'uscita se non arrendermi a quello che la vita di campagna ha in serbo per me.

Nella vecchia fattoria, ia ia LoveWhere stories live. Discover now