XXXVII

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Adriel's pov

-Howell, fai le valigie, ti sono venuti a prendere- balzo in avanti sulla brandina, passando una mano fra i capelli corvini.

Non me lo faccio ripetere due volte e tiro fuori da sotto il letto la valigia vuota.

-Ragazzo, ehi, sei stato fortunato!- mi urla dietro il mio compagno di stanza mentre ormai sto lasciando il posto in cui ho abitato per tre mesi.

Percorro il lungo corridoio, velocemente.
Non mi stupisco del fatto che neanche in quest'istituto siano riusciti a capire la causa del mio problema.

Lo IED, di solito nasce per traumi infantili o cose simili. L'avrei capito e accettato, se fosse stato così, ma ciò che mi fa più rabbia è che io ci sono nato, guastato.
Niente mi ha cambiato, sono nato così e non ho potuto evitarlo.
Sono già nato rotto.

Esco dall'istituto, convinto di vedere i miei genitori sul ciglio della strada.
Invece vedo una donna, stretta nelle spalle e che mi sorride da lontano.

-Margaret- mormoro a bassa voce, correndo fra le sue braccia.
-Adriel, come stai?- singhiozza, accarezzandomi i capelli.
-Mi dispiace, non avresti dovuto stare qui- sussurra.
-Dove ... dove sono i miei genitori?-
-Meredith e Phill non sanno che siamo venuti a prenderti-
-Siamo?-
-Si, ci sono John e Alhena in macchina- mi sorride.

La guardo confuso.

-Non dovevate venire, io dovevo stare qui, qui potevano curarmi, aiutarmi- inizio a farfugliare velocemente.
-No, no, ascoltami. Tu non hai niente che non vada Adriel, non sei malato, vai bene così- si piega sulle ginocchia, arrivando alla mia altezza.

Continuo a scuotere la testa, guardando da lontano due occhi cerulei di una bambina guardarmi confusi.

-Sono sbagliato-
-Sei perfettamente giusto, questo è certo- mi lascia un bacio fra i capelli, accompagnandomi poi verso l'auto.

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-Questi sono trecento- osservo i soldi sul bancone, serrando la mascella.
-Non erano questi i patti- sibilo, poggiando le nocche sul legno.
-Era il tuo primo incontro, ragazzo, più di questo non diamo per il primo incontro- controbatte l'uomo davanti a me.

Rimango con gli occhi fissati sulla sua figura, sentendo i nervi tendersi.
Non erano questi i fottuti patti.

-Gli spettavano quattrocento, al ragazzo- una voce alle mie spalle mi fa voltare, e assottigliare lo sguardo.

Una figura alta e imponente si erge davanti a me, appoggiato alla porta del capannone.
Un occhio nero, l'addome fasciato, il gesso al braccio.
Joyd.

-Hai coraggio a farti vedere di nuovo qui- sbuffo una risata.
-Credi di avermi spaventato Adriel?- alza un sopracciglio.
-Se non l'ho fatto potrei rimediare subito- il tono serio.
Susseguono minuti di silenzio, in cui lo vedo avanzare nella mia direzione.
-Come sta la piccola Lhena?- solleva un angolo del labbro.
-Solo Alhena, per te- stringo le labbra in una linea sottile.
-E comunque adesso devi scordarti del suo nome, Joyd, non ho più nulla a che fare con lei- tiro fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca della tuta.

Ed è vero.
Alhena adesso mi ripudia, mi detesta, non vuole vedermi.
Ed era questo il mio intento.
Doveva odiarmi più di prima.

Da bravo bastardo quale sono ho saputo toccare i tasti giusti per ferirla, per far capire a Joyd che lei non mi sta a cuore, e che non deve usarla come mezzo per ferirmi perché non conta nulla, per me.

Fiori Di NarcisoWhere stories live. Discover now