VI

28.3K 904 417
                                    

Mi stringo nella mia felpa extralarge, cercando di non far cadere in frantumi quella mia povera crocchia malconcia che ho provato a realizzare.

Sono ferma, bloccata con le spalle tese e il labbro impigliato fra i denti.

Fisso la casa praticamente attaccata alla mia, come se fosse la prima volta che la vedo, come se non ci avessi passato metà della mia infanzia, come se non ne conoscessi tutti i rumori, gli odori.
Eppure sospiro, avanzando verso la porta.

Premo il tasto del campanello, ormai consumato da tutte le volte che andavamo a cena da loro, passavamo interi pomeriggi insieme.
La porta si spalanca, e una Meredith tutta pimpante mi si para davanti.
-Oh entra cara, ho fatto i pasticcini- e sembra quasi una frase da film horror se non conoscessi i pasticcini di Meredith.
Alla crema e ben cotti, come piacciono a me.
E senza pensarci due volte entro, percependone già il profumo.

-Ma no Mer, devo solo prendere il vestito- balbetto non avendo nemmeno bisogno di guardarmi intorno.
Perché so già che alla mia sinistra trovo un divano moderno, sempre in ordine.
Alla mia destra un open-space che collega direttamente alla cucina, e proprio di fronte a me le foto di famiglia.
Dove ci siamo anche noi.

-Non fare complimenti, raccontami un po'- squittisce come se fosse la peggio pettegola del paese, mettendomi davanti dei pasticcini fumanti.
-Cosa?- ne prendo uno, portandolo alle labbra.
-Come va a scuola?-
-Mh, bene- assaporo la dolce crema gialla di cui è farcito il pasticcino.
-Avanti Lhena, dov'è finita la tua parlantina?- sbuffa togliendomi da davanti quelle delizie.
-Uff- sbuffo poggiando i gomiti sulle ginocchia e il mento sulle mani.
-Sono andata a questa festa- inizio, mentre il suo sguardo mi incita a continuare.
Ovviamente non tirerò in ballo né il fatto che ho trovato suo figlio in bagno con una né che ho conosciuto Mike.
-Io e Judit ci siamo divertite- divago con faccia tranquilla
-E hai conosciuto Mike, avanti arriva al sodo!- sbotta facendomi arrossire d'un colpo.
-Mer come sai di Mike?- sbianco, stavolta.
-Tesoro, faccio yoga con Linda- ridacchia, e io voglio sotterrarmi.
Nascondo la faccia fra le mani -mi ha dato il suo numero-
-Cosa?- si acciglia.
-Mi ha dato il suo numero- sussurro aprendo due dita per vedere la sua espressione sconvolta.
E poi succede, come sempre.
-O mio Dio! O mio Dio!- urla.
A volte mi chiedo se ho a che fare con adulti.
-Tesoro ma è fantastico- squittisce rompendomi quasi un timpano.
-Non lo so- inizio a mordicchiare l'unghio.
-Andiamo Alhena, hai 17 anni è normale-
-Si, forse. Sta di fatto che siamo solo amici- mi alzo in piedi, strisciando le mani sul mio sotto di tuta grigio.
-Dai su, vai a prendere il vestito- si ripulisce dalle molliche dei pasticcini.
-Sta nella mia stanza- aggiunge poi, ma io sono già sparita al piano di sopra.

Forse per evitare l'argomento ragazzi, che mi mette sempre un'ansia assurda.
Percorro canticchiando il corridoio, notando poi un grosso vestito avvolto nel cellofan sopra la scrivania della stanza di Meredith e Phill.
-Beccato- lo afferro, pronta a girare i tacchi e andarmene, quando la curiosità mi sovrasta nel notare la porta della stanza di Adriel semichiusa.

Sono stata poche volte nella sua stanza. Non voleva mai che entravo quindi ci entravo sempre di nascosto.
Una volta ho letto su un articolo che il cervello umano non percepisce il senso del "no", quindi è impossibile dirgli di non fare qualcosa perché prima o poi, la farà.

Un letto disfatto, una scrivania in disordine e un armadio da cui intravedo alcune delle sue felpe.
Libri, libri e ancora libri.
Ma allora studia! Ma non si applica, non c'è altra spiegazione.
La stanza non è molto guarnita, apparte un quadro.
Mi avvicino, tenendo le braccia conserte al petto.
Dei cani che giocano a poker. Originale.
Abbasso lo sguardo sulla scrivania.
La sua calligrafia scomposta ma elegante riaffiora fra le pagine bianche di un quaderno ad anelli. Dei fogli di disegni sparsi qua e là, che rappresentano persone sconosciute. Il tratto è delicato, ma preciso, senza esitazioni.
Un libro di chimica, biologia e filosofia.
Mi acciglio, non facciamo filosofia a scuola.
Poi però faccio camminare il cricetino.
Sarà sicuramente di una delle tante ragazze che gli girando fra i piedi.
-Che ci fai qui?- un tono scuro e più incazzato del solito arriva alle mie spalle, ed io strizzo gli occhi cercando di trovare una scusa plausibile.
-Mi era parso di vedere un gattino fuori dalla finestra e sai, lo volevo aiutare perché se era in pericolo è troppo tardi per chiamare i pompieri quindi- mi accorgo della cavolata appena detta e mi volto di scatto.

È a petto nudo e sul suo torace si intravedono delle gocce perlate di sudore. I capelli umidi ricadono sulla sua fronte e le sue sopracciglia sono aggrottate.
Solo dopo mi accorgo del borsone da palestra che tiene in mano e dell'asciugamano sulla spalla.
Merda.
-Non ti hanno insegnato a bussare?- incrocio le braccia al petto, guardandolo truce.
Non ho scusanti.
Sul suo viso si apre un ghigno amaro -è la mia stanza, nana- e lascia cadere il borsone a terra.
-A te non hanno insegnato a non entrare senza permesso?- ribadisce afferrando l'asciugamano dalla spalla.
-La porta era aperta..-
-e quindi hai pensato bene ad entrare e frugare tra le mie cose- serra la mascella e io mi sento messa alle strette.
Odio avere torto.
E lui ama troppo avere ragione.
-Oh tranquillo, non ci sono solo cose tue- ridacchio e mi accorgo solo l'attimo dopo, per come mi guarda, che l'ho detto ad alta voce.
-Questi non sono cazzi tuoi- stringe i denti.
-Se non ti hanno insegnato l'educazione dovrò farlo io e credimi, non ti piacerà- ringhia, e stavolta ha lui il coltello dalla parte del manico.
Stringo i pugni ai lati della schiena, oltrepassandolo. Ma una presa ferrea sul mio braccio mi blocca, e la sua voce arriva direttamente al mio padiglione auricolare.
-Stai attenta a chi ronzi intorno, Alhena- e questa volta, più che la solita minaccia, mi è sembrato un avvertimento.
Rimango perplessa dalla sua frase appena pronunciata, tant'è che accigliata mi metto a fissare ogni particolare del suo viso.
Ha un'espressione seria, molto seria. Gli occhi chiari mi perforano crudeli, la mascella pronunciata è tesa e i capelli ancora scompigliati.
Poi però la rilassa, e schiude le labbra carnose e rosee.
La sua presa per un momento si fa più lenta sul mio braccio, ed io non mi sono nemmeno accorta che siamo fermi così da almeno cinque minuti.
Slaccio violentemente il braccio dalle sue dita, oggi scarne di anelli perché si allenava.
E poi provo a dire qualcosa, ma non ci riesco. Non so che dire, non so cosa intende.
Osservo le sue spalle sparire dietro la porta, chiudendola con un tonfo assordante.
Concetto afferrato, Narciso.

Angolo autrice
Salve a tutt* fanciull*! Oggi capitolo più breve perché altrimenti lo avrei fatto troppo lungo. Cosa ne pensate?


Fiori Di NarcisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora