62- DAVID

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Con l'animo distrutto e il morale a terra andai in albergo, recuperai le mie cose e con un taxi raggiunsi l'aeroporto.

Fui fortunato a trovare un posto su un volo per Londra.

Sull'aereo non feci caso a niente di ciò che mi circondava. Non vidi un solo passeggero, non udii alcuna conversazione. Ero chiuso come in una bolla fatta dal mio stesso silenzio, un silenzio denso di pensieri, di riflessioni e di rimpianto.

Stavo male, mi sentivo come se qualcosa si fosse irrimediabilmente spezzato dentro di me, come se il filo che mi teneva vivo si fosse strappato senza alcuna possibilità di essere ricucito. Con le parole che mi aveva rivolto, Anna mi aveva sradicato il cuore e lo aveva gettato nella polvere come se non avesse alcun valore.

Ed era proprio così, non valeva nulla.

Il vuoto nel mio petto, quel vuoto nel quale avevo rischiato di precipitare e che era stato colmato da Anna, adesso si stava di nuovo aprendo in una voragine prossima a fagocitarmi. Questa volta vi sarei sprofondato senza più riemergere. Ancora non riuscivo a credere che lei avesse deciso di abbandonarmi, di restare in Italia dopo tutto ciò che c'era stato tra noi.

Non riuscivo ad accettare di non essere stato in grado di convincerla a tornare con me.

Avevo promesso a me stesso che non avrei permesso a nessuno di farla soffrire, invece avevo fallito. Claire l'aveva trattata come una nullità facendole pesare il fatto che non apparteneva al nostro mondo, l'aveva derisa davanti a tutti, sminuendola come fosse un qualcosa di cui vergognarsi e io non ero stato presente per difenderla.

Non ero riuscito a mantenere la mia promessa.

Mio padre mi aveva messo in guardia dicendomi che esistono molti modi per far soffrire una persona e uno di questi, per me, era stato quello di non essermi presentato in tempo a quella dannata festa per fermare la cattiveria di Claire e proteggere Anna. L'avevo fatta soffrire lasciandola in pasto a quella gente annoiata che cercava divertimento nel tormentare gli altri, nel prendersela con una persona che non poteva difendersi semplicemente perché non si sentiva nel suo ambiente.

Maledetti idioti che non sanno come riempire le loro insulse vite del cazzo se non facendo del male a chi non ha colpe, ringhiai dentro di me.

Potevo prendermela con quella gente, certo, ma sapevo che la parte più consistente della colpa, come al solito, l'avevo io.

Avevo imboccato un cammino che non era il mio. Al bivio dove due strade partivano, la mia, quella che il destino aveva segnato per me, e quella che mi richiamava con la stessa irresistibile insistenza del canto di una sirena, io avevo scelto quella sbagliata. Avevo voluto fare qualcosa che non mi apparteneva, avevo voluto provare l'illusoria ebbrezza di qualcosa di diverso, mi ero crogiolato nella falsa speranza di poter cambiare le cose, di poter cambiare me stesso e la mia vita in qualcosa di meglio. Non esisteva errore più grande.

Quel cammino sbagliato invece di condurmi alla concretizzazione della speranza di un lieto fine, mi aveva condotto davanti a una porta chiusa. La porta che Anna mi aveva sbattuto in faccia con il suo rifiuto.

Il sogno di ritagliarmi un angolo nel mondo, di una casa piena di calore con lei, era sfumato.

Quella casa desiderata, nella mia mente, non era diventata che una stamberga le cui luci si erano spente all'improvviso e il buio colava come pece dalle sue finestre dai vetri rotti.

Avevo tentato stupidamente di cambiare la mia esistenza e scrivermi un futuro, invece avevo finito per ritrovarmi ancora più intrappolato nella ragnatela di catene che la vita aveva stretto intorno al mio corpo, ingabbiandomi come un bozzolo.

The Mind Owner - 1 La tua mente è miaWhere stories live. Discover now