44- ANNA

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Un raggio di sole che filtrava da una tenda chiusa male mi colpì sul viso e mi svegliò.

Quando aprii gli occhi, realizzai di essere nel letto di David. Era sdraiato su un fianco, accanto a me. Mi soffermai a guardarlo. Avevamo fatto l'amore e quella era stata la più bella notte per me. Mi sentivo felice come non mi era mai successo, nonostante il bruciore tra le gambe e la pesantezza dei miei seni.

David non aveva semplicemente tratto da me il proprio piacere, me lo aveva anche dato e lo aveva fatto in modo speciale. Era stato attento a farmi sentire bene e aveva rispettato il mio corpo come fosse qualcosa di prezioso.

Mi alzai lentamente per non svegliarlo e, in punta di piedi, andai in bagno. Diedi uno sguardo alla mia immagine riflessa nello specchio sopra il lavabo e vidi un'altra me che mi sorrideva.

Con un dito mi toccai le labbra. Erano rosse e gonfie per i troppi baci.

Per un attimo il mio pensiero corse ad Antonio e lo misi a confronto con David.

Con Antonio non avevo mai sperimentato una felicità simile a quella che provavo in quel momento. Dei suoi tocchi non mi era rimasto altro che il ricordo del bruciore degli schiaffi sulle mie guance e le strattonate violente che non mancavano mai. Era rude, irrispettoso, forse per lui ero soltanto uno sfizio che voleva togliersi. David non si era mai comportato così. Per lui ero importante. Aveva fatto scomparire da me l'ombra di Antonio che, nonostante avesse segnato la mia vita e condizionato il mio rapporto con gli altri, era un ricordo che si allontanava sempre di più fino a essere soltanto un qualcosa di sfocato, di indistinto.

Dopo quelle considerazioni, tornai in camera e lentamente scivolai di nuovo accanto a lui che socchiuse appena gli occhi e con una mano mi attirò a sé. Un istante dopo sollevò le palpebre, regalandomi il primo dolce sguardo di quel giorno meraviglioso.

«Buongiorno...» mi sussurrò, sfiorandomi la punta del naso con l'indice. «Dormito bene?»

«A meraviglia, anche se per poche ore» risposi, trattenendo un sorriso. «E tu?»

«Erano notti che non dormivo così tranquillamente. Non riposavo così bene da tanto di quel tempo... È tutto merito tuo.»

Sorrisi e con la punta delle dita percorsi il suo petto in una languida carezza. Il mio sguardo cadde sul tatuaggio che aveva sulla spalla destra. Con l'indice percorsi il contorno della piccola gabbia che racchiudeva l'aquilone.

Quel tatuaggio mi aveva incuriosita fin dalla prima volta che lo avevo visto, il giorno in cui David, dopo essere stato disarcionato da Hurricane, si era sbottonato la camicia per permettermi di disinfettare la ferita che si era procurato. In quel frangente non conoscevo ancora abbastanza David da porgli domande in proposito, ma adesso era il momento di soddisfare la mia curiosità.

«Che cosa significa?» domandai, continuando a percorrerne il contorno.

Vidi David esitare. Forse non gli andava di spiegarmi il significato di quel tatuaggio, forse era qualcosa di troppo personale e avevo sbagliato a indagare. Aprii la bocca per scusarmi, ma lui mi anticipò.

«Rappresenta la condizione dell'essere umano. Tutti pensano che non ci sia niente di più libero di un aquilone e spesso crediamo di non avere limiti e di poter volare liberi senza catene. Ma tendiamo a non pensare che l'aquilone stesso non sarà mai libero perché sarà sempre legato a un filo.»

Quella spiegazione così seria mi colpì. Quelle parole erano sature di una profonda nostalgia, una tristezza che risiedeva nel centro dell'animo di David. Dunque lui si sentiva incatenato, legato a un filo che lo tratteneva, come l'aquilone. Mi chiesi quale fosse per lui quel filo invisibile ma forte, e la curiosità crebbe. Volevo saperne di più, conoscerlo meglio. In cuor mio desideravo che si aprisse con me, che mi mettesse al corrente di tutto ciò che lo tormentava, ma sapevo di non poter pretendere una cosa simile.

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