58- ANNA

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Arrivai alla villa degli Anderson in lacrime. Per tutto il tragitto avevo continuato a pensare alle parole di Claire, allo scherzo che aveva pianificato per umiliarmi.

Chiesi al tassista di aspettare e corsi alla porta.

Fu Kate ad aprirmi.

«Anna, sei già tornata... Santo cielo, ma stai piangendo! Cos'è successo?»

«Non ha importanza, Kate. Davvero.»

«Se posso fare qualcosa per te...»

«Grazie, ma non serve.»

Non volevo essere scortese con Kate, lei era sempre gentile, ma in quel momento non me la sentivo di raccontare l'accaduto. Volevo soltanto restare da sola per riflettere e sfogare le lacrime.

Raggiunsi la mia camera e mi lasciai cadere sul letto. Mi sentivo sfinita. L'umiliazione continuava a bruciare. Ripercorsi con la mente ogni momento passato dai Foster, circondata da sconosciuti che ridevano di me. Ripensai all'espressione trionfante di Claire e, ancora una volta, mi resi conto di come fosse diversa la mia vita dalla sua, da quella di David e delle persone che frequentavano. C'era un divario troppo grande tra le nostre esistenze.

Non posso credere che David mi abbia ingannata. No, non può avermi ingannata anche lui, non è possibile. In ogni caso non posso restare qui. Sarebbe sbagliato. Devo andarmene.

La disperazione e la rabbia si mescolavano dentro di me. Mi rialzai, tolsi il vestito e lo abbandonai sul letto, poi indossai un paio di jeans e una maglia, continuando a pensare a ciò che era successo.

E se Claire avesse mentito e David fosse all'oscuro dei suoi piani? Comunque, su una cosa quella vipera ha ragione: siamo troppo diversi ed è giusto che io me ne vada. Tornerò in Italia...

Presi un foglio e una penna e, con la mano che mi tremava, scrissi un biglietto per Dorothy, cercando di dare una giustificazione al mio comportamento, senza menzionare ciò che era accaduto alla festa e ammettendo invece che, per motivi personali, ero stata costretta a lasciare la famiglia. Conclusi il biglietto pregando Dorothy di perdonarmi. Quella donna era sempre stata buona con me e avrei voluto spiegarle come stavano realmente le cose, ma non potevo. Era molto meglio andarsene e dimenticare tutto. Mi dispiaceva molto lasciare i bambini senza neppure un saluto. Se li avessi aspettati per salutarli, sarebbe stato tutto più difficile. Sicuramente si sarebbero sentiti traditi a causa del mio comportamento, ma speravo che una volta superata la delusione iniziale mi avrebbero dimenticata e avrebbero ripreso la loro vita come prima di conoscermi.

Preparai in fretta e furia il mio bagaglio, gettandovi alla rinfusa abiti ed effetti personali, poi uscii. Approfittando del fatto che in casa non c'era nessuno a parte Kate, in quel momento occupata in cucina, sgattaiolai fuori senza essere vista e raggiunsi il cancello. Prima di varcarlo, mi voltai un istante e rivolsi un ultimo sguardo a quella grande casa dove mi ero trovata così bene e dove ero stata anche felice, dove mi ero illusa di poter cancellare il passato. 

Perché devo sempre soffrire per un uomo?
Perché l'amore deve essere sempre così doloroso?
Perché voler bene sembra essere una fregatura?

Quelle domande mi tormentavano. Forse ero io a sbagliare sempre tutto. Forse ero io troppo ingenua da credere nel vero amore, nelle favole, nel lieto fine. Del resto, come avevo detto una volta a David, mi sembrava di essere la principessa protagonista di una favola. Avevo sbagliato a credermi tale, non c'era nulla di fiabesco in ciò che era successo. Forse avrei fatto bene a restare ancorata ai miei propositi di quando avevo lasciato l'Italia per inseguire la speranza di un nuovo inizio e restare con i piedi per terra, evitando di cadere nella trappola dei sentimenti e di un bel paio di occhi color zaffiro.

Eppure, credere nei sogni e nelle favole mi aveva anche aiutato. In passato, avevo sognato a occhi aperti, avevo fantasticato su scenari possibili in cui io ero una ragazzina allegra con un padre che non l'aveva abbandonata, poi avevo immaginato di aver trovato un uomo diverso da Antonio con cui essere felice, perché, come sosteneva mia madre, non potevano essere tutti uguali.

Senza dubbio la colpa era soltanto mia che sbagliavo continuamente a scegliere le persone con cui stare. E l'ultimo errore che avevo commesso era stato quello di venire in Inghilterra con il miraggio di cambiare vita, di ricominciare da zero, di dimenticare. Avrei fatto meglio ad accettare la mia esistenza così com'era in seguito alla rottura con Antonio, senza pretendere nulla di diverso, senza sperare in qualcosa di meglio. Avrei dovuto continuare a vivere negando la mia fiducia a chiunque, senza amore e senza mio padre. Avrei dovuto semplicemente continuare a ritenerlo l'uomo senza cuore che ci aveva abbandonate, invece di sperare che fosse diverso.
L'avevo addirittura trovato e non avevo avuto il coraggio di affrontarlo. Il mio ennesimo errore.

Il cuore mi si colmò di malinconia e gli occhi di nuove lacrime ma, in fondo, era una cosa che avevo sempre saputo. 

Avevo provato a far parte di un mondo totalmente diverso dal mio e mi ero resa conto che ciò non era possibile. Claire aveva contribuito a farmelo capire. Speravo solo che David non mi avesse usata come passatempo passeggero poiché la sola idea mi faceva inorridire.

Dopo quei pensieri, dalla borsa presi il cellulare e, una volta sul taxi, chiamai Teresa.

The Mind Owner - 1 La tua mente è miaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora