8- DAVID

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Raggiunsi il locale proprio mentre stava ricominciando a piovere forte. Entrai e mi incamminai verso il bancone. Era un locale dove ero già stato. Non era un granché rispetto ai pub in cui andavo di solito, ma non mi interessava la categoria a cui apparteneva.

Ordinai una lager media. La presi e mi accomodai su uno dei divanetti, cominciando a sorseggiarla, nell'attesa che una delle ragazze presenti si facesse avanti.

Era così ormai da tempo. Quando mi sentivo più solo del solito, quando l'angoscia si faceva insopportabile, quando avvertivo il bisogno di spegnere il cervello e non pensare, mi comportavo così, in quel modo squallido che a mio fratello non piaceva. E neppure a me.

La mancanza di comprensione ci fa smarrire il cammino della giusta via e ci fa perdere inesorabilmente nel sentiero della scelleratezza.

Di nuovo, le parole di Henry mi apparvero davanti come un monito, ma le scacciai. Al diavolo il suo perbenismo. Ne avevo abbastanza di venire costantemente redarguito per ogni cosa che facevo e che a lui non andava bene. Per quanto avesse ragione, non avevo altri modi per concedermi un attimo di respiro.

Alcune ragazze mi conoscevano, in quel locale. Era il luogo dove potevo avere un po' di svago senza impegno, dove nessuno pretendeva niente se non soltanto un po' di divertimento, la stessa cosa che cercavo anch'io. Lì, nessuno sapeva chi ero, non avevano idea dei miei problemi e, soprattutto, nessuno mi puntava il dito contro, indicandomi come quello strano dal quale stare alla larga. No, lì le ragazze mi davano ciò di cui avevo bisogno, senza fare domande e senza sapere nulla di me.

Ma è davvero questo ciò di cui ho bisogno?

Ultimamente mi ponevo spesso quella domanda e la risposta che trovavo era sempre la stessa: sì.

Ma, allora, perché dopo essere stato con una ragazza mi sentivo tanto vuoto?

Il momento del sesso era l'unico che mi facesse sentire vivo, normale, l'unico momento in cui potevo liberare la testa dai pensieri ricorrenti e sfogare rabbia, frustrazione e angoscia. Ma sapevo che era una mera illusione. Una volta passato quel momento, tornavo a essere apatico, come se la mia vita fosse qualcosa di inutile. 

Pensavo anche che offrire il mio corpo in cambio di uno svago passeggero, perché era proprio ciò che facevo, fosse completamente senza senso. L'attimo di svago non era altro che l'ennesima illusione che la mia mente si creava nel disperato tentativo di salvarsi da una realtà che faceva schifo.

Mi estraniavo da me stesso per un po', ma quando tornavo in me stavo peggio di prima. Ancora più prigioniero, ancora più abbandonato a me stesso, ancora più incapace di controllare la mia vita.

Dopo pochi sorsi di lager, una ragazza mi si avvicinò. Indossava un top nero che le lasciava scoperta la pancia e una minigonna rosa. Nella penombra del locale riuscii a mettere a fuoco un viso carino incorniciato da un caschetto di capelli chiari.

«Ciao, sei tutto solo?»

«Sì, sono solo. E tu?»

«Anch'io. Posso sedermi accanto a te?»

«Certo. Qual è il tuo nome?»

«Pat» rispose. «E il tuo?»

Avrei potuto inventarmene uno qualsiasi, ma perché? In fondo, non mi interessava far sapere il mio nome. Un tempo preferivo non dirlo, ma ormai non mi importava più. «David.»

Appoggiò sul tavolino di fronte il suo bicchiere contenente un liquido indecifrabile e sedette proprio accanto a me.

«Sai, David, sei davvero un bel ragazzo. Non capisco come tu possa essere solo.» Mentre pronunciava quelle parole, appoggiò la mano sulla mia coscia. 

The Mind Owner - 1 La tua mente è miaWhere stories live. Discover now