21- DAVID

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La mattina seguente mi alzai presto. Avevo pensato ad Anna per quasi tutta la notte. Non mi era mai successo di pensare a qualcuno in modo simile. Ero deciso a scoprire cosa la spaventava, ma lei non mi permetteva di avvicinarmi. Non volevo che fosse tanto triste e scostante.

Che cosa le sarà successo? continuavo a chiedermi.

Non sopportavo che avesse paura di me. Volevo che si fidasse. 

Invaso da un profondo malumore, mi lasciai cadere sulla poltrona della mia stanza. Appoggiai i gomiti sulle ginocchia, mentre con le mani mi reggevo la testa appesantita dai troppi pensieri che mi assillavano.

Non mi sembrava di averle fatto nulla di male. Forse i miei approcci erano sbagliati? Forse avrei dovuto usare altri metodi? Quegli interrogativi, però, rimanevano senza risposta.

Mi rendevo conto di quanto quella ragazza mi piacesse nella sua bellezza mediterranea. 

Restai lì per un po', ma si stava facendo tardi e avrei fatto bene ad andare in ufficio, altrimenti avrei dovuto sorbirmi l'interrogatorio di mio padre e di Henry.

Così mi alzai e mi preparai.

In ufficio non riuscivo a concentrarmi. Non erano i soliti pensieri ricorrenti ad assillarmi, ma Anna. Mi persi a cercare di capire cosa potesse esserle successo per renderla così diffidente, mentre sentivo sempre di più il desiderio di avvicinarla. Perché non riuscivo a farle capire che avevo bisogno di lei? Non sapevo spiegarmi nemmeno io il perché, ma era così. E quella cicatrice... Poteva essere stato un incidente, certo, ma qualcosa mi faceva desistere dal crederlo. Forse la mia mente si stava creando cose non vere, eppure...

«David.»

I pensieri svanirono e mi voltai verso Henry.

«Dobbiamo rispondere a un paio di autori e fissare un appuntamento con...» si interruppe quando vide che lo schermo del computer che avevo davanti era oscurato, segno che non lo stavo usando da un po'. «Che stavi facendo?» 

«Secondo te?» risposi con un'alzata di spalle.

«David, per favore, si può sapere che intenzioni hai?»

«Nessuna.»

«Ti disturba così tanto lavorare con noi?»

«Forse avrei fatto meglio a non accettare la proposta di nostro padre di prendere parte della Anderson Publishing e seguire, invece, la mia strada.»

«La tua strada? E quale sarebbe?»

«Una qualsiasi, purché non incontri la vostra.»

Pronunciare quelle parole faceva male. Negli occhi di Henry vidi l'amarezza. Avrei dovuto essere soltanto io quello amareggiato.

«Perché dici queste cose? Se papà ti ha proposto di lavorare con noi è perché ci tiene, perché ti vuole qui.»

«Forse per avermi sott'occhio e accertarsi che non combini qualcosa.»

«No, non è così.»

«Non lo so. Più passano i giorni, più mi rendo conto che avrei fatto meglio a non accettare. Avrei dovuto fare di testa mia, andarmene e continuare a sopravvivere lontano dagli Anderson.»

«E dove saresti andato?»

Quella domanda riaccese la rabbia. «In qualsiasi luogo lontano da qui. Pensi che non ne sarei stato in grado? Pensi che sia talmente incapace da non riuscire a vivere la mia vita?»

«Qui nessuno crede che tu sia un incapace.»

«Invece lo pensano tutti quanti.» E avevano pure ragione. Io, per primo, sapevo di non essere in grado di vivere la mia vita senza qualcuno che tenesse a bada i miei pensieri.

«Ascolta, che tu ci creda o no, io non lo penso affatto. Sono contento che tu lavori qui. Mi dispiace che tu ti trovi così a disagio.»

«A disagio? Credo piuttosto che sia io a mettere a disagio voi» dissi tristemente. «Avrei dovuto togliere il disturbo molto tempo fa.»

«Ma che stai dicendo?» Nella voce di mio fratello c'era una punta di allarme.

«Tranquillo, non ho intenzione di gettare altro scandalo sulla Anderson Publishing. Rilassati.»

«Non dire sciocchezze, io sono preoccupato per te.»

Mi finsi sorpreso. «Davvero? Che carino! Il mio fratellino che si preoccupa per me» lo derisi.

Henry sbuffò. «È impossibile discutere con te. Ti lascio al tuo lavoro. Se hai bisogno, sono nel mio ufficio.»

Non appena uscì, trassi un profondo sospiro. A una parte di me dispiaceva aver parlato in quel modo a mio fratello. Un'altra parte gioiva nell'aver sfogato quella rabbia repressa.

Ero stanco di discutere. Non facevamo che litigare. Tra noi non avrebbe mai potuto esserci dialogo.

«Dov'è Anna?» chiesi quella sera, mentre sedevo a tavola, vedendo entrare la governante con i bambini.

«La signorina Anna dice di non sentirsi bene e per questo motivo non scenderà per la cena» rispose la donna.

Avvertii subito una punta di delusione. Per tutto il giorno avevo pensato a lei, aspettando con ansia l'ora di cena per poterle parlare, invece avrei dovuto rimandare.

In un primo momento mi chiesi che cosa avesse ma, mentre pensavo, ebbi la sensazione che non si fosse presentata soltanto per evitarmi. 

Perché fa così? mi domandai, smanioso di conoscere i suoi problemi, perché di sicuro ne aveva. Se davvero era arrivata a saltare la cena pur di non incontrarmi doveva avere delle ottime ragioni.

Fui tentato di andare da lei, ma accantonai subito l'idea. Sapevo che, se solo mi fossi avvicinato, si sarebbe messa sulla difensiva e mi avrebbe respinto. No, andare da lei non sarebbe stata una buona idea. Avrei cercato di parlarle il giorno seguente, magari quando sarebbero stati presenti anche i bambini così, forse, non mi avrebbe cacciato.

Kate servì la cena, ma il cibo era l'ultimo dei miei pensieri. Anna riempiva la mia mente, cancellando tutto il resto.

«Figliolo, non hai fame?» mi domandò mio padre.

«A dire il vero, no. Penso che andrò a fare due passi» risposi, alzandomi.

The Mind Owner - 1 La tua mente è miaDonde viven las historias. Descúbrelo ahora