38- ANNA

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Durante il tragitto, David rimase silenzioso.

Lo guardavo. Appariva assorto ma, per una volta, non sembrava che fossero pensieri cupi a tormentarlo. Il suo viso era disteso, sulle sue labbra era presente l'accenno di un sorriso, come se nella sua mente stessero passando pensieri piacevoli.

«David, perché sei così silenzioso? Ti sei forse pentito di avermi invitata a cena?» domandai, scherzando.

«Non pensarlo neppure. Uscire con te è ciò che desidero più di qualsiasi altra cosa» rispose serio. «Scusami se sono stato silenzioso finora, ma ancora stento a credere che tu abbia accettato il mio invito.»

Ci teneva davvero così tanto... Allungai una mano e gli sfiorai una guancia. «Ho accettato, David. Sono qui.»

Lui mi rivolse un sorriso fugace, prima di tornare a concentrarsi sulla strada. 

«Dove stiamo andando?» chiesi, poco dopo.

«Te l'ho detto, in un ristorante sul Tamigi.»

«Ma dove di preciso? Sono curiosa.»

«Abbi ancora un po' di pazienza e la tua curiosità sarà soddisfatta. Sarà un luogo molto carino.»

«Va bene, mi fido di te.»

Quando scendemmo dall'auto era buio. Tutte le luci della città erano accese e si riflettevano sull'acqua del fiume, creando un'atmosfera molto suggestiva che ci spinse ad abbracciarci. Ci incamminammo così, stretti l'uno all'altra, per un breve tratto, fino a raggiungere alcuni scalini coperti da una tettoia in vetro e tappezzati da una moquette blu. Dei faretti illuminavano i passi di chi entrava in quel locale. Dall'insegna capii che si trattava di un ristorante italiano. In cima agli scalini, un uomo elegante in abito nero ci diede il benvenuto e ci aprì la porta d'ingresso. All'interno, un altro uomo, anch'esso in abito impeccabile, ci salutò e ci accompagnò al tavolo che David aveva prenotato.

Mi guardai intorno. Le pareti erano in parte in muratura, in parte costituite da ampie vetrate. Le luci erano soffuse, ma si riflettevano sui vari specchi che tappezzavano le pareti in muratura, dando l'impressione che ogni cosa brillasse di luce propria.

Attraversammo tutta la sala disseminata di tavolini sui quali erano stese tovaglie azzurre. Tovaglioli dello stesso colore erano ripiegati ad arte per contenere le posate. Facendoci strada tra i tavoli, in parte già occupati, arrivammo nel punto in cui due pareti a vetrata si incontravano, formando un angolo dove si trovava un unico tavolo abbastanza isolato dagli altri. L'uomo che ci accompagnava ci fece accomodare. 

Era un angolino appartato dal quale potevamo intravedere, attraverso le vetrate, parte della Londra notturna. Non molto lontano da noi, il Parlamento e il Big Ben illuminati riflettevano le loro sagome sul fiume.

Era tutto meraviglioso. 

«Ti piace qui?» mi chiese David, speranzoso nel vedere il mio sguardo stupito.

Annuii, incapace di parlare, completamente rapita da quel luogo.

«Ho prenotato questo tavolo proprio sul lato che si affaccia sull'acqua. Romantico, non trovi?»

«Altroché!» risposi, sempre più ammirata.

Da troppo tempo non mi sentivo così libera, quasi spensierata e... importante. Sì, David aveva il potere di farmi sentire tale. 

Mentre contemplavo lui e quel luogo, una ragazza dai capelli color rosso fuoco, raccolti in una coda, occhi verdi e viso cosparso di lentiggini si avvicinò al nostro tavolo e mi porse uno stupendo mazzo di rose rosse.

«Sono per lei, signorina» esordì.

«Per me?» domandai incredula, portandomi una mano al petto. «Deve esserci uno sbaglio.»

The Mind Owner - 1 La tua mente è miaWhere stories live. Discover now