11- ANNA

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Dopo quel disguido, al negozio, le giornate ripresero a trascorrere tranquille. Nonostante avessero assunto una piacevole monotonia, non smettevo mai di pensare al giovane uomo dagli occhi color zaffiro e alle sue parole. Mi domandavo come, tra tante cose a cui avrei potuto pensare, proprio l'immagine di lui occupasse la mia mente.

Un giorno, precisamente una domenica mattina, dal momento che non sarei andata al lavoro, pensai di andare a fare una passeggiata. Proposi a Teresa di unirsi a me, ma rispose che preferiva restare a casa e riposarsi poiché aveva avuto una settimana molto faticosa.

Così presi la metropolitana e mi diressi verso Hide Park. Amavo quel posto, era un'oasi di pace in mezzo al traffico concitato della città. Entrai e iniziai la mia passeggiata per i vialetti fino a trovarmi nei pressi della Serpentine, il lago artificiale al centro del parco.

C'erano diverse persone, chi correva, chi passeggiava, chi portava i bambini a trascorrere un po' di tempo nel verde. Mi fermai un momento a guardare le anatre che sguazzavano nell'acqua, poi ripresi il cammino, quando una voce maschile che mi parve subito familiare sembrò rivolgersi a me.

«Ehi, aspetta! Aspetta!»

Senza smettere di camminare, cominciai a guardarmi intorno per capire chi era stato a richiamare la mia attenzione. Volsi lo sguardo a destra e a sinistra, poi mi resi conto che chi aveva appena parlato si trovava alle mie spalle. Mi voltai indietro e, nel distrarmi per mettere a fuoco la figura in piedi a pochi passi da me, inciampai in una radice che affiorava dal terreno e caddi.

Immediatamente avvertii che qualcuno mi afferrava e mi rimetteva in piedi. Un buon profumo, agrumato e legnoso, raggiunse le mie narici. Ma ero troppo imbarazzata per focalizzarmi su quella fragranza inebriante.

Improvvisamente realizzai che un uomo mi stava tenendo per il braccio, osservandomi con quei suoi occhi bellissimi e malinconici. Era così vicino che mi spaventai.

«Ti sei fatta male?» mi chiese.

«Ancora tu!» esclamai, riconoscendo il tipo affascinante che sembrava apparire sempre durante qualche imprevisto poi, rendendomi conto che mi stava ancora stringendo delicatamente il braccio, non riuscii a trattenermi. «Non mi toccare!» scattai, sottraendomi alla sua mano. «Non posso crederci. Per caso mi stai seguendo?!»

Lui, di sicuro spiazzato dal mio comportamento tanto aggressivo, con una punta di sarcasmo disse: «Accetto il tuo ringraziamento per averti soccorsa». Senza smettere di guardarmi, aggiunse: «Comunque, per tua informazione, io stavo facendo una passeggiata. Ma tu, possibile che ti debba cacciare sempre in situazioni particolari?»

«Se non mi avessi chiamata con tanta insistenza, non sarei caduta» ribattei.

«Be', credo che questa volta sia proprio colpa mia» ammise lui. «Ma quando ti ho vista mi sono detto che non potevo lasciarti andare via senza aver scambiato due parole con te.»

«E per quale motivo vorresti scambiare due parole con me?»

«Innanzitutto perché non facciamo che incontrarci e non è una cosa tanto comune in una città come Londra. Poi, vorrei che tu non continuassi a sentirti in colpa per quanto è successo.»

«D'accordo. Mettiamoci una pietra sopra.»

«Bene. Mi dispiace che tu sia caduta per colpa mia. Ancora non mi hai detto se ti sei fatta male.»

«Non mi sono fatta nulla.» Era vero. Avvertivo un leggero bruciore a un ginocchio ma, a parte quello, non sentivo niente. Ero stata fortunata a essere caduta sull'erba. In ogni caso, anche se mi fossi fatta male, non lo avrei certo ammesso con lui.

«Ne sono contento. Comunque, per farmi perdonare, ti offro un invito a cena in un ristorante italiano. Che ne dici?»

Lo guardai basita.

Prima che potessi replicare, lui aggiunse: «Ho capito subito che sei italiana dal tuo modo di parlare. Penso che potrebbe farti piacere mangiare qualcosa di tipico del tuo paese. Conosco...»

Lo interruppi: «Senti, non pensare che io sia una di quelle facili che si lasciano abbindolare con la scusa di una cena. Ma dico, cosa ti viene in mente? Non ci conosciamo, non so niente di te!»

«Una cena serve anche per conoscersi.»

«Io non voglio conoscerti, non voglio sapere nulla di te. Ti ho già chiesto scusa per quanto è successo, chiuso il discorso.»

«D'accordo, come vuoi. Sarebbe stata solo una cena, credevo che avresti accettato.»

«Cosa te lo ha fatto credere?» sbottai con rabbia. «Forse hai pensato che, siccome sono straniera, avresti potuto approfittarti di me? Mi hai forse presa per una stupida?!»

«Perché dici così?»

«Perché accettare le proposte di uno sconosciuto è davvero una cosa sciocca.»

«Su questo non posso darti torto, ma io non ho cattive intenzioni, te l'assicuro. Comunque, ho pensato che avresti accettato il mio invito perché è difficile dire di no a un bel ragazzo come me» disse in tono ironico, come se stesse prendendo in giro se stesso. Eppure, sul fatto che fosse bello non vi erano dubbi. «Sai, tante ragazze sarebbero contente di cenare con me. Mi sembra un motivo valido, non trovi?» aggiunse.

«Proprio perché in tante sarebbero contente della tua compagnia, non hai bisogno di chiedere a me. Non mi importa che tu sia un bel ragazzo» replicai.

Lui rimase spiazzato dalle mie parole gelide. Di sicuro non si era aspettato nulla di simile. Evidentemente era abituato a essere sempre accettato dalle donne. Ero ben contenta di mostrargli che non proprio tutte erano disposte a cadere ai suoi piedi.

«Guarda che stavo scherzando. Mi dispiace che tu abbia frainteso. Lascia almeno che mi presenti. Mi chiamo David.» Fece un passo verso di me, porgendomi la mano.

Lo ignorai. «Non mi interessa sapere chi sei. Per favore, vattene.»

«Siamo in un parco pubblico, non puoi mandarmi via. Inoltre, cacciarmi non ti sembra un po' poco carino?»

«Hai ragione. Me ne vado io. Sono rimasta ad ascoltarti anche troppo.»

«Quanta fretta…  Non avrai paura di me, spero. Ti assicuro che non sono l'orco cattivo che divora le belle fanciulle.»

Se non fossi stata arrabbiata e spaventata avrei sorriso a quelle parole. In fondo, quello sconosciuto sembrava proprio non avere nulla di pericoloso, ma io avevo imparato a mie spese che le apparenze ingannano.

«Lasciami in pace. Anche se non hai cattive intenzioni, sei sicuramente una testa vuota come tanti» mi lasciai sfuggire. Forse ero stata offensiva nei suoi confronti, ma ormai l'avevo detto.

Mi allontanai.

«Ehi, aspetta! Io non sono una testa vuota!» Cercò di fermarmi, ma non mi voltai.

The Mind Owner - 1 La tua mente è miaWhere stories live. Discover now