27- DAVID

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Senza parole, mi ritirai in camera. Il bacio di Anna mi aveva sorpreso e, nello stesso tempo, aveva suscitato in me strane sensazioni assimilabili alla felicità. Almeno lo credevo. Era difficile dirlo, dal momento che la felicità, per me, era un qualcosa di sconosciuto.

In ogni caso, mi sentivo euforico.

Speravo seriamente che con quel gesto avesse finalmente deciso di fidarsi di me. Non avevo mai agognato la vicinanza di qualcuno come mi succedeva con Anna. Sentire la carezza lieve delle sue labbra sulla mia guancia era stata una sensazione impagabile. Il suo profumo inebriante mi aveva accarezzato come il più delicato dei petali, un profumo femminile misto all'aroma di rosa di cui andai subito pazzo.

Non avevo mai ricevuto un bacio così dolce e sincero, un bacio pieno di gratitudine.

Avrei voluto le sue labbra anche in altri posti, ma non dovevo correre troppo, anzi, avrei fatto bene ad accontentarmi di quel lieve contatto e serbarne il ricordo come un tesoro prezioso. Tuttavia non potevo ignorare il modo in cui il mio corpo aveva reagito alla vicinanza di Anna. Se un semplice bacio sulla guancia mi aveva provocato simili sensazioni, non potevo immaginare come sarebbe stato assaporare la sua bocca.

Mi sdraiai sul letto. Quando avevo appreso che era stata vittima di un'aggressione, la preoccupazione provata era stata insopportabile, ma adesso che lei era nella sua camera potevo finalmente tirare un sospiro di sollievo.

Nel silenzio della notte, mi persi nelle mie riflessioni. Ero stato attratto da lei fin da quando l'avevo vista la prima volta e quell'attrazione non aveva fatto altro che rafforzarsi. Sapevo che non si trattava soltanto di attrazione fisica. No, con Anna c'era qualcosa di diverso, qualcosa di speciale e unico che trascendeva il mero interesse di un uomo per una donna.

Per la prima volta mi sentivo felice, sentivo che la parte più oscura di me si era acquietata.

Sapevo che per Anna quel bacio significava qualcosa. Dovevo essere paziente e lasciare che fosse lei a decidere e vedere cosa sarebbe accaduto.

La mattina seguente, mi preparai e scesi per la colazione.

Quando Anna arrivò mi sorrise e io le andai incontro. «Come ti senti? È passato lo spavento?» le chiesi subito.

«Sì, è passato» rispose, sedendosi al tavolo e versandosi del caffè caldo.

«Non ti sarai pentita del bacio di ieri sera, spero» mi informai, notando che era silenziosa.

«No, non mi sono pentita.»

Le sue parole mi tranquillizzarono. Osservai la ferita alla fronte e notai che si stava già lentamente cicatrizzando. «La spalla ti fa molto male?»

«Un po'. Ho un brutto ematoma, ma guarirà in fretta.»

«Il mio cuore invece no» dissi, con un sospiro teatrale. Da quando mi comportavo in un modo così infantile? Non era da me.

Anna si portò la tazza alle labbra e bevve un lungo sorso di caffè, più che altro per nascondere il viso e non scoppiare a ridere.

«Sai, mi aspettavo un altro bacio dopo quello di ieri sera» le dissi.

Lei fece finta di nulla e continuò a sorseggiare il suo caffè.

Avrei desiderato trattenermi e godermi la sua compagnia, ma avevo un dannatissimo appuntamento di lavoro e, a quel punto, era tardi per rimandare. Così, terminai il mio tè e mi alzai.

«Mi dispiace, Anna, devo andare. Ci vediamo questa sera.»

«Certo.»

Prima di uscire indugiai con lo sguardo su di lei che mi stava sorridendo con spontaneità.

Una pattuglia della polizia si presentò al cancello della villa proprio mentre stavo uscendo. Un agente scese dall'auto. «Lei è il signor Douglas Anderson?» mi chiese.

«No, io sono il figlio. È successo qualcosa?»

«Niente, non si preoccupi. Ci risulta che una certa Anna Holden lavori qui.»

«Holden?» ripetei sorpreso.

«Sì, la ragazza che è stata scippata ieri sera e che ha lasciato questo indirizzo agli agenti intervenuti sul posto. È stata portata alla stazione di polizia questa borsa, rinvenuta nei pressi della metropolitana di Tottenham Court Road. Dentro sono stati lasciati i documenti e qualche effetto personale che agli scippatori non interessavano. Guardi lei stesso» disse l'agente, porgendomi la borsa.

Presi i documenti e guardai subito la foto. Era proprio Anna.

Io credevo che si chiamasse Poggi… pensai, senza capire.

«Prego, accomodatevi.» Feci strada ai due agenti e li condussi in sala da pranzo dove Anna stava terminando la colazione.

Lei si alzò di scatto.

«Anna, la polizia ha ritrovato la tua borsa con i tuoi documenti.»

I poliziotti gliela consegnarono, poi uno dei due disse: «Purtroppo, non vi erano né soldi né telefono.»

«E... dello scippatore non si a nulla?» si informò lei.

«Purtroppo no. Non sono state trovate tracce, ma continueremo a indagare. È stato un peccato che lei non abbia fatto in tempo a vedere in faccia l'aggressore perché avremmo potuto fare un identikit e confrontarlo con foto di scippatori a noi già noti.»

«Vi ringrazio comunque.»

A quel punto, la polizia uscì e restammo soltanto io e Anna.

«Signorina Holden, vorrei scambiare due parole con te» le dissi. «Vorrei che tu mi dicessi il motivo per cui mi hai tenuto nascosto questo particolare della tua vita.»

«Non ti ho tenuto nascosto niente, ti ho soltanto detto di chiamarmi Anna Poggi. È il cognome di mia madre. Dorothy sa benissimo qual è il mio vero cognome.» Sospirò. «Mi chiamo Holden perché mio padre, Edward, è inglese e io sono nata a Kingston.»

Quella rivelazione mi sorprese non poco. «Cosa? Sei nata in Inghilterra? Ma se il tuo cognome è Holden, perché ti fai chiamare Poggi?»

«Perché mio padre se n'è andato quando avevo dieci anni, lasciando sole me e mia madre. All'inizio l'ho odiato e ho preferito non ricordarlo. Così ho cominciato a usare il cognome di mia madre.»

Finalmente cominciavo a capire il perché della sua diffidenza. Suo padre l'aveva abbandonata, ovvio che non si fidasse degli uomini.

«Hai detto che all'inizio l'hai odiato. Adesso non più?» domandai.

«Il tempo dovrebbe attenuare anche l'odio, no?»

La sua risposta non mi sembrava sincera, ma decisi di lasciar perdere. Vedevo che si sentiva in difficoltà nel parlare di suo padre e non volevo. In fondo, non ero nessuno per impicciarmi della sua vita privata. Forse, un giorno, avrebbe deciso di sua volontà di parlarmene. Lo speravo. Inoltre, stavo facendo tardi al lavoro e non avevo voglia di discutere con mio fratello.

Mi voltai per uscire, ma la sua voce mi fermò.

«Sicuramente penserai che abbia troppi segreti...»

«Non preoccuparti, ognuno di noi ne ha.»

Con quelle ultime parole, uscii.

Continuando a pensare ad Anna, salii in auto. Ero felice di aver scoperto qualcosa su di lei, sul suo passato. Ciò mi permetteva di comprenderla meglio e di colmare un po' della distanza che ci divideva. Di sicuro, l'abbandono di suo padre era stata un'esperienza che l'aveva segnata e che l'aveva resa tanto sospettosa, ma avrei fatto di tutto per dimostrarle che di me avrebbe potuto fidarsi. Volevo Anna nella mia vita, ne avevo bisogno. Riguardo ai segreti... be', io ne avevo sicuramente molti più di lei e anche peggiori.

The Mind Owner - 1 La tua mente è miaWhere stories live. Discover now