28- ANNA

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Terminai di fare colazione, cercando di non pensare a mio padre. Ogni volta che veniva sollevato quell'argomento, mi intristivo. A distanza di anni, non avevo ancora accettato che lui se ne fosse andato. 

Dorothy mi raggiunse, seguita dai bambini.

«Buongiorno, Anna» mi disse, mentre Paul e Tommy correvano da me.

«Buongiorno.»

Mentre i piccoli facevano colazione, scambiai qualche parola con Dorothy. Non appena lei uscì per portare Paul a scuola e andare al lavoro, io mi dedicai a Tommy.

Il tempo era soleggiato e ci permise di passare buona parte della giornata all'aria aperta. A metà pomeriggio, quando Paul tornò da scuola si unì a noi. Mentre il tempo passava e li osservavo giocare, mi resi conto di provare una sensazione che non avrei mai creduto possibile, qualcosa di simile alla nostalgia. All'improvviso, avrei voluto che David fosse lì alla villa. Era un pensiero assurdo, eppure...

Proprio in quel momento, il cancello si aprì e l'auto di David entrò.

Sentii il mio cuore saltare un battito. Non potevo crederci, stavo pensando a lui ed eccolo lì.

Scese dall'auto e mi soffermai a guardarlo. Indossava pantaloni neri e una camicia bianca e, gettata su una spalla, aveva una giacca scura. Era bello, anche se sembrava portare quegli abiti come una condanna, come fossero una gabbia. In mano teneva una piccola busta bianca.

Paul e Tommy gli corsero incontro. 

«Zio David! Che bello che sei tornato prima!» esclamò Paul.

Mi sorpresi a seguirli verso David, ma mi fermai a pochi passi di distanza, continuando a guardarlo.

«Siete contenti?» domandò ai nipoti.

«Tanto» rispose il piccolo Tommy.

Subito lo sguardo di David si posò su di me. «Spero che a te non dispiaccia che io sia qui.»

«No» risposi con un filo di voce. Perché mi poneva una simile domanda? Insomma, era a casa sua, aveva tutto il diritto di fare ciò che voleva.

«Resti un po' qui con noi, zio?» chiese Paul.

«Sì, ti prego!» aggiunse Tommy.

David mi guardò come per chiedermi il permesso di restare e, quando rimasi in silenzio, rispose: «Ma certo».

I bambini esultarono e cominciarono a rincorrersi intorno a noi.

David mi si avvicinò e mi porse la busta che aveva in mano. «Tieni, è per te.»

La presi e all'interno trovai una scatola. Era un cellulare nuovo di zecca e di sicuro uno degli ultimi modelli sul mercato. Non potevo credere ai miei occhi.

«Oh David, ma non dovevi. Ti sarà costato moltissimo…»

«Non ha importanza. È un regalo.»

«Io…» Non sapevo che dire. «Grazie.»

«Come vedi la scatola è aperta. L'ho fatto attivare ed è pronto all'uso.» Mi sorrise. «Vado a cambiarmi e vi raggiungo. Te lo porto in casa, d'accordo?» chiese riferendosi al telefono.

Assentii e glielo porsi e lui si avviò verso la porta.

Sedetti su una panchina e i bambini presero posto accanto a me. Ancora stentavo a credere che mi avesse comprato un cellulare nuovo e molto costoso. Era stato un gesto così significativo che mi aveva lasciata senza parole.

Poco dopo, David tornò. Al posto dell'abbigliamento da ufficio di poco prima, adesso indossava un maglione e un paio di jeans, ma anche così era incredibilmente bello. Sembrava anche molto più a suo agio. Mi convinsi che amasse la libertà, proprio come me.

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