When the children play

נכתב על ידי AlenGarou

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[Vincitore agli Oscar Wattpadiani 2017 come: Miglior Scenografia e Miglior Protagonista Maschile, vincitore W... עוד

Presentazione SERIA dell'opera
Prologo
1. Cappuccetto Rosso e il branco non richiesto
2. Pennington Mansion
3. A Mad Samhain Party
4. Una chiacchierata tranquilla
5. Good morning little... f*ck
6. Un duetto perfetto
6.2. Porcorosa Fluffoloso
7. Il blasfemo esorcista non collabora
8. Alla ricerca della fata scomparsa (con annessa polvere fatata)
Bonus pt1: L'incontro
Bonus pt2: il tentato omicidio
9. A bullet for everyone in this room
10. Mr. Gilman
12. Io non stuzzico i morti, sono loro che stuzzicano me
In questo piccolo angolo di disagio
13. Con un poco di zucchero la pillola va giù
14. Un prete, un angelo e il bambino di Omen entrano in una chiesa
Do you remember?
C'è posta per il bradipo pt.1 (nella speranza di un seguito)
15. Salvate il soldato Gregory
16. Qualcosa di inevitabilmente scomodo
17. Le idee... quelle pessime
18. Dite "amici" ed entrate
18.5 The Lone Wolf and the Little Bunny
19. Sogno di una notte di Samhain pt.1
Chi non muore si rivede (purtroppo)
19. Sogno di una notte di Samhain pt.2
Why you don't remember?
20. Alexander passione bimbi pt.1
20. Alexander passione bimbi pt.2
21. La casa per bambini normali di Mrs. Pennington
A little gift for you... sorta
Quello che la gente chiama cast, io lo chiamo "una cagata pazzesca"
"Se ci sei batti un colpo!" *E nel mentre sbatté su tutti gli spigoli di casa*
21.2 La casa per bambini quasi normali di Mrs. Pennington
21.3 La casa dei bambini diabolici di Mrs. Pennington pt. 1
21.3 La casa dei bambini diabolici di Mrs. Pennington pt. 2
22.1 Quel Rottweiler della Rottermeier
22.2 Ring around the rosie, a house full a bodies
23. No Spoiler
24. Andiam, andiam, andiamo a farci ammazzar
25. Il volo dello yurei
26. Appuntamento a tre nel seminterrato
27. Dahlia Cassidy Reynor
28. Curiosity killed the cat
29. Ciao, Sgorbio...
30. Quel capitolo... sì, quello che terrorizza l'autrice
31. L'unica parte da cui stare
32. Non potrebbe andare peggio di così

11. Re diesis e sol bemolle

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נכתב על ידי AlenGarou



Non stava correndo. Nossignore. La sua andatura era una semplice via di mezzo tra "Sto camminando come se nulla fosse" e "Faccio jogging inseguita da un muta di belve idrofobe. Tutto regolare". In effetti, non era la prima volta che incappava in una simile situazione, sebbene il triste incidente avvenuto al parco fosse riconducibile all'invitante hot dog che aveva tenuto impunemente in mano. Il tutto era terminato con un bel po' di leccate in piena faccia da parte dei suoi aguzzini e due dollari sprecati, ma in quel frangente non era il rischio di un'ingente quantità di saliva puzzolente contro la sua epidermide a preoccuparla. Tutt'altro. Con i sensi in allerta e il cuore che le pulsava forte nel petto, Alex dovette usare ogni singolo grammo del suo autocontrollo per trattenere l'impulso di voltarsi. Non avvertiva alcuna presenza alle sue spalle, eppure l'inquietudine non l'abbandonava, rendendole gli arti rigidi come pezzi di legno. Non era certo una ragazzina impressionabile, ma gli ultimi avvenimenti si erano rivelati un po'... inaspettati.

Mentre camminava a passo svelto, macinando metri su metri a tempo record, la sua mente era impegnata a elaborare ciò che aveva appreso. E a fare i conti con i fantasmi del suo passato. Doveva aver compiuto chissà quali atti indicibili in una sua vita passata per meritarsi una serata del genere, ma considerando come stava trascorrendo quella attuale, non riuscì a esserne sorpresa. E dire che si sforzava di apparire normale!

Ormai in prossimità della sua meta, rallentò in un'andatura più quieta finché non si fermò del tutto. La sua mano corse verso la borsa nascosta sotto la mantella, saggiandone la superficie consunta dal troppo utilizzo con la punta delle dita, colte da un lieve tremore. Conteneva tutto quello che le serviva, che la tentava... che odiava.

Rendendosi conto della sua titubanza, Alex scosse il capo con decisione, i capelli le frustarono il viso a ogni movimento. Si diede della stupida. Non era il momento adatto per perdersi nei sentimentalismi. Aveva una missione da compiere e, dato che il dormitorio e l'ufficio di Mrs. Pennington erano temporaneamente off-limits, la sua sola possibilità di capirci qualcosa era quella di affidarsi all'uomo che aveva provato a ristrutturare quella dimora, con l'unico risultato di riesumare più scheletri dall'armadio di quelli sotterrati in un cimitero. Anche se i pronostici non erano dalla sua parte, sperò con tutto il cuore che quella deviazione l'avrebbe portata sulla pista giusta, scongiurando così il pericolo di tornare al punto di partenza. O quasi.

Arrivata davanti alla sala di musica, Alex si bloccò. Tese le orecchie, cercando di percepire la minima variazione nell'ambiente attorno a lei, ma le rispose solo il silenzio. Ormai certa di avere via libera, prese un profondo respiro e si costrinse ad abbassare la maniglia. La porta oppose una lieve resistenza, emettendo un cigolo sommesso, segno che nessuno entrava in quella stanza da molti anni. Come immaginato, lo spettacolo che l'accolse si rivelò ordinario, per non dire deprimente come il resto della villa: aria avvizzita, pochi mobili e un manto di polvere così denso da potersi sdraiare per terra e fare un angelo di... polvere. Si spostò lungo il muro, cercando con il tatto l'interruttore della luce. Dopo qualche istante di silente preghiera, il lampadario disposto sul soffitto singhiozzò, rallegrando i dintorni con un bagliore così soffuso da provocarle un'emicrania.

Chiuse la porta alle sue spalle con un tonfo, tagliando fuori il resto del mondo e gli eventuali scocciatori. La sua attenzione si focalizzò sullo strumento che spiccava al centro della sala, celato da un lenzuolo impolverato. Prima di concedersi il lusso di cambiare idea, Alex ghermì il tessuto consunto tra le dita e lo gettò senza troppi complimenti in un angolo della stanza.

Pessima mossa.

Il pulviscolo che si era depositato nel corso dei decenni l'aggredì sotto forma di nube tossica, causandole un violento accesso di tosse. Non bastavano i fantasmi, no... Persino i mobili dovevano rendere tutto più difficile! Frastornata, Alex smise d'imprecare non appena il suo sguardo scorse il malandato pianoforte. Si stropicciò gli occhi, inebetita dalla sorpresa. Quello non era un normale piano; si trattava di un Bösendorfer e probabilmente valeva più della casa stessa. Il modello era uno dei primi Imperial, il corpo costituito da abete rosso. Delle decorazioni oro che ornavano la cassa era rimasto ben poco, ma la bellezza di quello strumento risultava senza tempo.

Colta da un'infrenabile desiderio di toccarlo come una maniaca, Alex si bloccò appena in tempo, ricordando il motivo che l'aveva spinta a esplorare quella stanza. Chiuse gli occhi e contò mentalmente fino a tre, in modo da trattenere l'impazienza che le scorreva nelle vene, poi abbassò lo sguardo sul pavimento. Spazzando via lo sporco con la punta di un suo stivale, scorse gli inequivocabili segni dovuti a un trascinamento. Dunque era vero. Avevano provato a spostarlo e, a giudicare dalle tracce lasciate, ogni tentativo non era andato a buon fine.

Buono a sapersi.

Gettando la borsa  di fianco lo sgabello, Alex si rimboccò le maniche e incominciò a spingere il piano finché non udì le gambe grattare contro il pavimento. Subito si ritrasse, guardandosi attorno in cerca di qualche traccia di ectoplasma.

Niente.

Riprovò di nuovo, questa volta dal lato opposto, ma la bambina non si fece viva. Impaziente, Alex si grattò il naso, lasciandoci sopra l'ennesima macchia di sporco. Che cosa doveva fare per attirare la sua attenzione? Cospargerlo di alcol scadente e dargli fuoco? Subito si pentì di quel pensiero e protese le dita fino ad accarezzare il coperchio superiore con gentilezza. Poi, senza alcun preavviso, tirò un calcio a quel gioiello dell'artigianato. Forse più forte del dovuto. Un profondo gemito si levò dal pianoforte e, per un istante, Alex ebbe il timore di vederlo ridotto a un ammasso di segatura sul pavimento. Fortunatamente per ciò che rimaneva della sua moralità, lo strumento resse il colpo con stupefacente resistenza.

«Mi dispiace» singhiozzò, abbracciandolo d'impulso. «Ha fatto più male a me che a te. Te lo assicuro.»

Delusa da quella perdita di tempo, Alex strinse le labbra e recuperò la borsa, pronta ad andarsene. Forse Gilman si sbagliava e quella bambina voleva solo vederlo disperarsi all'idea di non poter rivendere quella montagna di soldi con i tasti d'avorio. Si diresse con un sospiro verso la porta, ma prima ancora di arrivarci si bloccò.

Tornò indietro.

Senza riuscire a resistere all'impulso viscerale che l'aveva colta, appoggiò una mano sulla struttura in legno, provando qualcosa di rassomigliante alla nostalgia. Era passato così tanto tempo dall'ultima volta. Così tanto che a fatica ricordava la sensazione dei tasti sotto le dita. Il gemito che le uscì dalle labbra risuonò malinconico persino alle sue stesse orecchie. Dopotutto la musica era stato il primo vero contatto che aveva instaurato con i suoi genitori. L'avevano aiutata a trovare un modo per potersi esprimere liberamente laddove le parole vacillavano prive di significato. Quando suonava, poteva trasmettere qualcosa, liberare le emozioni che tanto ripudiava e sentirsi uguale al suo pubblico. In fondo cos'era la musica se non un insieme di forme, cadenze, variazioni, legami e toni? A livello matematico era facile da comprendere.

Ma non aveva tempo per perdersi nei ricordi. Nein! Doveva rimanere concentrata. Per questo si stupì di se stessa quando si ritrovò seduta davanti al pianoforte, lo sgabello posizionato perfettamente al centro della tastiera e le dita sollevate, frementi di mettersi all'opera.

Alex sbarrò gli occhi, ma ben presto si ritrovò a stringersi nelle spalle con nonchalance. Chissà, magari sarebbe stata la volta buona; forse la bambina l'avrebbe degnata della sua presenza, incavolata nera con lei per aver toccato quel prezioso strumento senza il suo consenso. Tanto per fare una prova, pigiò un tasto.

L'eco sublime del sol risuonò nell'aria per qualche istante, estinguendosi nel silenzio. Niente. Provò altre due note, poi un accordo e non accadde assolutamente nulla. Per lo meno, il pianoforte era ancora accordato e armonioso, segno che qualcuno se ne prendeva cura.

Chiudendo gli occhi, Alex si concentrò, le mani che si muovevano da sole sopra la tastiera. All'inizio l'esecuzione si rivelò incerta, nonostante ricordasse alla perfezione lo spartito del brano, ma poi, notando che le sue dita non sbagliavano un accordo, acquistò sicurezza e con essa la giusta cadenza.

La musica risuonò nella stanza come una marea, avvolgendola, scaldandola, donandole un momento di pace. Riversò in essa tutto quanto: i suoi timori e dubbi, l'incertezza, l'impazienza... si lasciò trasportare al punto che non si accorse del lieve cigolio che emise la porta. Non subito almeno. L'ostinazione dello sguardo che sembrava trapassarla dissolse tutta la magia del momento.

Alex riaprì gli occhi. Non si voltò, né smise di suonare. Si limitò a stringere le labbra in una smorfia infastidita. «Sapevo che era solo questione di tempo. Riuscirò mai a liberarmi di te... Fauster?»



La preoccupazione che fino a qualche momento prima l'aveva stretto in una morsa gelida sembrò dissiparsi nell'aria alla vista di quello sgorbio intento a suonare. Ren rilassò i muscoli, dandosi dell'idiota; era tutto a posto, fortunatamente si era trattato solo di un falso allarme.

L'impulso di andare da lei per strigliarla a causa della sua sconsideratezza era irresistibile, ma si costrinse ad aspettare, godendo di quello spettacolo più unico che raro dalle retrovie. Era la prima volta che la vedeva in quello stato: così assorta, così rilassata. Sebbene il suo aspetto la rendesse più simile a una selvaggia che a una pianista, nei suoi movimenti era insita quell'eleganza che tanto l'aveva ammaliato in passato e che ancora adesso gli mozzava il fiato. Per una volta, Alexander appariva nel suo elemento, perfettamente a suo agio nel contesto.

Senza rendersene conto, Ren si ritrovò a sorriderle dolcemente, ma fu un sorriso fugace, che si spense non appena ricordò il motivo per cui era corso a cercarla. Poteva ancora avvertire le insinuazioni di Gregory rimbombare nelle sue orecchie. A primo acchito potevano apparire scontate, specialmente nel considerare dove si trovavano, ma erano state sufficienti per metterlo in allerta.

Forse stava solo esagerando. Forse erano solo delle paranoie inconcludenti e si era sbagliato. Ma doveva sapere. Dopo quello che aveva scoperto sulla ragazza, dopo tutto quello che era accaduto da quando avevano messo piede in quel buco infernale, doveva avere la certezza che Alexander non rappresentasse un pericolo per loro. O per se stessa.

Quel pensiero lo fece fremere. Strinse la mano ancora avvolta attorno alla maniglia fino a far scricchiolare il guanto di cuoio che la guarniva, dandosi dello stupido. Considerato che aveva rischiato di essere posseduta e di rimanere schiacciata dal cadavere di Dakota, forse era lecito preoccuparsi per lei in maniera più personale. Ma rinchiuderla nuovamente nel salotto non sarebbe servito a nulla. Non dopo che si era messa a vagare in quei corridoi per conto suo trovando chissà cosa. Sbottò. Ormai tenerla d'occhio stava diventando un lavoro a tempo pieno e, quel che era peggio, nemmeno retribuito.

Richiuse la porta alle sue spalle, coprendo per un momento la melodia che la ragazza stava eseguendo. Non fece nemmeno in tempo a raggiungerla che Alex s'irrigidì. Beccato.

«Sapevo che era solo questione di tempo. Riuscirò mai a liberarmi di te... Fauster?» gli chiese senza degnarlo di uno sguardo.

«Non dimenticare che sono il tuo stalker. Seguirti è la mia vocazione; trovarti nuda mentre fai la doccia e unirmi a te è la mia missione di vita» rispose con un ghigno.

Come sempre, Alex non lo calcolò e andò dritta al punto. «Allora che cosa ci fai qui?»

Era arrivato il momento di vuotare il sacco. «Gregory mi ha chiesto di cercarti. Ok, forse non si è espresso esattamente così, ma quando è ritornato nell'androne e non ti ha più vista, ha avuto una crisi di panico. Sai, voce da soprano, mani che gesticolano, fatalismo del "oddio oddio, ora muore"?»

Alex raddrizzò la schiena nell'udire il nome dell'amico e fu l'unica reazione che riuscì a strapparle. Per il momento. «Sicuro di non descrivere la tua reazione. Combacia perfettamente con la tua personalità e...» Si voltò verso di lui. Il suo sguardo glaciale lo esaminò senza riserbo. «... sprizzi preoccupazione da tutti i pori.»

Ren sbuffò irritato. Poteva anche essere la persona meno empatica e più fastidiosa al mondo, ma non le sfuggiva mai nulla. «Permettimi di dissentire. La mia voce è molto più mascolina. E non ero preoccupato.»

Le labbra di Alex si strinsero in una smorfia eloquente. «Dopo che ti avrò colpito i gioielli di famiglia se non uscirai da questa stanza entro cinque secondi, sta pur certo che non sarà così. E non sei credibile.»

«Lo sai che non devi dimostrarti così aggressiva. Hai il mio permesso di lucidarli quando vuoi.»

Alex incassò il colpo con uno sbuffo. «Insomma, che cosa vuoi?»

Forse sbagliava, ma sembrava impaziente di liberarsi di lui. Beh, più del solito a dire il vero. Un motivo in più per rimanere e andare in fondo a quella faccenda. Invece di dirigersi verso la porta, Ren le si avvicinò, arrivando a sfiorare il fianco del pianoforte. Non ebbe il coraggio di toccarlo o di usarlo come punto d'appoggio. Dallo sguardo che gli rivolse, la ragazza sembrava pronta a saltargli addosso e a strappargli una mano a morsi se solo avesse osato lasciarci sopra le sue impronte digitali.

Sospirò, passandosi una mano tra i capelli. «Te l'ho detto. Sono venuto a cercarti. Beh, in realtà avrei dovuto trascinarti dagli altri fin dal principio per evitare il triste inconveniente di prima, ma sono rimasto veramente sorpreso dalla piega che hanno preso gli eventi.»

Alex prese tempo. Uno, due accordi. Dato che non continuò il discorso, la udì sospirare affranta. «Immagino che dovrei chiederti di essere più specifico...»

«Lo so che muori dalla voglia di approfondire l'argomento. Non mentirmi» sogghignò lui, chinandosi verso di lei. I loro sguardi si scontrarono di nuovo. «Sai, dicono che la musica sia in grado di rispecchiare l'anima di chi la esegue.»

«Quindi?» domandò Alex, distogliendo lo sguardo con una rapidità sconvolgente.

Ren fece spallucce. «Quindi sono sorpreso che tu ne abbia una. Di anima intendo. E persino dalla melodia sdolcinata. Il prossimo pezzo quale sarà? Für Elise¹?»

Alex non rispose, ma lo ripagò con un'espressione frustrata e arrabbiata. Il sorriso di Ren si spense. Incominciava a essere un po' stufo di quei punti morti. E, quel che era peggio, stava temporeggiando come un codardo. Doveva pur esserci un modo per...

Fece scorrere lo sguardo tra lei e il pianoforte, finché non gli venne in mente un'idea. Senza darle alcun preavviso, si sedette di peso su un lato dello sgabello, costringendola a scivolare verso l'altra estremità per non farsi travolgere dalla sua persona. Ignorando l'occhiata micidiale che Alex gli rivolse, Ren le fece l'occhiolino e incominciò a suonare a sua volta, seguendo il componimento che stava eseguendo. Poi, di punto in bianco, modificò completamente melodia, prendendo in mano le redini della situazione.

Alex si bloccò, stordita dal repentino cambiamento, almeno finché non riconobbe la canzone. «Dance of Death²... Sul serio?» Fece per aggiungere altro ma si trattenne, ben consapevole che lui non aspettava altro.

«Che c'è? Mi pare adatta al momento. E dato che l'unico modo per conversare civilmente con te è trovare un terreno comune...» lasciò intendere Ren, il sorriso mefistofelico che gli illuminava il viso. Il suo corpo iniziò ad assecondare il ritmo; le sue dita tamburellarono più energicamente contro la tastiera, le sue spalle si alzavano e abbassavano, mentre con un piede scandiva il tempo.

«Perché non puoi semplicemente lasciarmi in pace?» gemette lei, immobile. Rimase a osservarlo di sottecchi, i suoi grandi occhi brillavano confusi nella penombra. Sembrava quasi inorridita all'idea che sapesse suonare il piano ma, soprattutto, che potesse tenerle testa. Tuttavia Ren la conosceva, forse molto meglio di quanto lei conoscesse se stessa. Bastò un'ammiccatina, uno sguardo di sfida e lei gonfiò le guance come una bambina. Riprese a suonare senza troppi complimenti.

Le loro dita incominciarono a seguirsi veloci sulla tastiera, senza mai toccarsi davvero. Malgrado ciò, Ren poté avvertire una certa intesa crescere tra loro. Si beò di quella sensazione cercando di approfittarne il più possibile, ma quando abbassò lo sguardo per sorriderle soddisfatto, si accorse che la spontaneità che la ragazza aveva manifestato prima del suo intervento era svanita, soffocata dalla sua inseparabile armatura di freddezza. Distratto, Ren sbagliò un passaggio, distruggendo per un istante l'equilibrio della melodia. Si riprese in fretta, ma Alex non lo rimbeccò soddisfatta per quell'errore. Sembrava improvvisamente concentrata sull'esecuzione.

Il silenzio che scese tra loro si fece ben presto insostenibile.

«Allora, com'è andata la tua esplorazione in solitaria?» le domandò, cercando di riprendere la conversazione. Doveva farla parlare, darle un motivo per rivelarsi ed esprimersi.

Il sopracciglio di Alex ebbe uno spasmo. «Bene, direi.»

«Trovato qualcosa di utile?»

Altro spasmo. Non era un buon segno. «Ci stavo giusto lavorando, ma a quanto pare non è destino. Probabilmente moriremo tutti.»

«Ah, quanto adoro il tuo ottimismo» sentenziò Ren con un leggiadro sospiro. Inclinò il capo all'indietro con un'espressione falsamente drammatica, ma poi il suo sorriso si spense. I suoi occhi si strinsero ferini e un'ombra gli calò sul viso, soffocando l'ilarità che illuminava il suo sguardo. Tornò composto, scrutandola di sottecchi alla ricerca di una falla nella sua barriera. Stavano per eseguire gli ultimi accordi quando decise di gettare l'amo. «Hai fatto qualche incontro interessante nel frattempo?»

Questa volta fu Alex a mancare un passaggio. Ren non perse tempo a farglielo notare. Attese in silenzio una sua risposta.

Alla fine, Alex mugugnò. «Può essere. Dopotutto è una casa affollata.»

«Affollata e sinistra, non c'è dubbio. Eppure Gregory si è lasciato sfuggire qualcosa a proposito dei fantasmi dei bambini morti tra queste mura.»

Preparata, Alex continuò a suonare come se nulla fosse. «E se anche fosse, ti sorprenderebbe?»

Ren si limitò ad alzare le spalle. «No. O almeno, sarei sorpreso se non avessi letto la tua cartella.»

Un frastuono lo costrinse a fermarsi, segno che lo spettacolo era appena iniziato. Abbassando lo sguardo, si rese conto che Alex aveva premuto le mani sulla tastiera così forte da schiacciare buona parte dei tasti nella sua metà, incurante o meno dei possibili danni allo strumento. Ren si limitò a guardarla impassibile, sebbene dentro di lui non riuscisse a trattenere la soddisfazione di vederla manifestare una simile reazione. Il viso della ragazza, normalmente pallido, era divenuto cereo; gli occhi erano sgranati quanto la sua piccola bocca aperta per la perplessità. Quanto avrebbe voluto scattarle una foto...

«TU COSA?» sbraitò Alex, tremando come una foglia. «Tu... Tu... Tu... Hai...?»

«Occupato la linea telefonica? A quanto pare sì» le rispose, incapace di trattenersi.

Alex non la prese bene. Una volta immagazzinata quell'informazione e averla processata, la sorpresa si dissipò dal suo viso, lasciando il posto a una rabbia così profonda e bruciante da metterlo a disagio.

«Tu... Non hai alcun diritto di...» ringhiò, cercando disperatamente di calmarsi.

«Ehi, mi stavo annoiavo e devi ammettere che in presidenza cambiano le riviste una volta ogni decina d'anni. Dato il nostro primo incontro -te lo ricordi, vero?- ero ansioso di scoprire qualcosina di più sul tuo conto e quale modo migliore di svelare i tuoi panni sporchi se non quello di rubare la tua cartella dall'archivio e leggerla comodamente seduto sulla poltrona della preside?»

«Certo che mi ricordo dell'ora più sprecata della mia via! Nemmeno l'elettroshock è riuscito a cancellarla dalla mia memoria. Ma questa non è una buona scusa, Fauster!» Sibilò il suo nome come se fosse qualcosa di disgustoso. «Quello che hai fatto è illegale! Tu non hai idea...»

«Di cosa? Del fatto che hai ragione? Cos'è che avevi detto? Ah, sì. "È alienante pensare che a un individuo della tua reputazione sia dato il permesso di girovagare per questi corridoi"» blaterò, cercando d'imitare senza troppo successo l'intonazione della sua voce. «Mi hai tolto le parole di bocca. Specialmente dopo aver letto frasi come "tendenza all'isolamento", "difficoltà a inserirsi nel gruppo", "scarse capacità relazionali", "alessitimia", "episodi passati di allucinazioni visive". Devono prestare molto affidamento alla tua intelligenza fuori dalla media per permetterti di frequentare luoghi pubblici. Probabilmente si sono resi conto che sei troppo furba per lasciare un cadavere sotto gli occhi di tutti.»

Alex incassò ogni singola parola con fredda determinazione. Del flebile legame creato tra loro durante l'esecuzione non era rimasta alcuna traccia. «Che cosa vuoi insinuare, Fauster?» sbraitò. «Credi che sia pazza? Che la morte di Dakota sia colpa mia? Bene, accomodati. Non m'importa. Dopotutto sono abituata a essere il capro espiatorio di turno!»

«Davvero? Allora rispondi a questo: come posso fidarmi di te se fin dal principio non sei mai stata sincera?»

Alex boccheggiò. I suoi occhi si scurirono d'odio. «Non è vero! Io...» Aprì la bocca per difendersi da quelle accuse, ma si ritrovò senza parole. Per un breve istante, la sua corazza venne meno. Sussultò come se quelle parole l'avessero colpita nel profondo, lasciandola esposta e fragile, una bambina rassegata alla mera apparenza. «È proprio questo il problema» mormorò, distogliendo lo sguardo ormai offuscato e lontano. «Sono sempre stata sincera. Troppo sincera. Perché le brave bambine non compiono peccato, non mentono. Non è così, Ren? Eppure, sono stata punita lo stesso. Solo perché sono... diversa.»

«No, non è così» sentenziò Ren. Senza darle il tempo di controbattere, si protese verso di lei e le ghermì un polso, costringendola ad avvicinarsi a lui. Non strinse la presa, né provò a farlo. Si limitò a imprigionarla in una stretta illusoria. Alex avrebbe potuto liberarsi facilmente in qualsiasi momento, ma lei si paralizzò, concentrata sulla mano che le avvolgeva il braccio. Anche Ren non poté fare a meno di perdersi un istante in quel contatto. Sebbene la pelle della ragazza fosse fredda al tatto, attraverso il guanto poté sentire le sue terminazioni nervose fremere come se avesse ricevuto la scossa.

«Ren... lasciami...» mormorò lei.

«No, Alex. Ho bisogno di alcune risposte e tu me le darai. Intesi?»

«Lasciami.»

La ignorò. «Che cosa provi, Alexander?»

Lei alzò lo sguardo. Panico e rabbia si mischiarono dentro i suoi occhi in una danza inebriante. Deglutì. «Non lo so.»

«Non lo sai o non vuoi saperlo?»

«Ha importanza?» gemette lei, incominciando a divincolarsi.

«Certo che ha importanza. Ricordi il discorso sulla fiducia di poco fa? Riproviamo. Che cosa provi?»

«Non lo so! Lasciami!» sbraitò, affondando le unghie della mano libera sul suo braccio.

Ren non fece una piega. «Come posso fidarmi di quello che dici se non riesci nemmeno a essere sincera con te stessa? Come puoi sapere se quello che vedi è reale o meno se non sei in grado di distinguere la realtà dalla fantasia?»

Di nuovo, Alex sussultò. Dimenticò la sua mano e alzò il capo per incrociare il suo sguardo. Aveva capito dove voleva arrivare, dunque.

«Sai perché in tutti questi anni ti sono stato alle costole?» le chiese, cercando di addolcire il tono della sua voce con scarso successo. «Perché volevo capirti. Capirti davvero. Volevo andare oltre i preconcetti che la gente ha su di te, ma forse mi sbagliavo. Forse è vero che sei solo pazza.»

Si pentì immediatamente di aver pronunciato quelle parole. Era vero. Voleva spingerla al limite per farle provare qualcosa, per costringerla a giocare a carte scoperte senza più segreti tra loro, ma con quell'ultima frase aveva oltrepassato la soglia del non ritorno. L'aveva ferita.

«Lasciami! Ho detto lasciami!» Alex incominciò ad agitarsi. Il suo respiro accelerò, le sue pupille si assottigliarono e tentò di graffiargli la mano con l'unico risultato di lasciare delle strisce bianche sul cuoio del guanto. Per puro istinto, Ren serrò la presa su di lei e quella minima variazione di pressione bastò a farla uscire di testa.

«Lasciami! Lasciami!»

«Alex, calmati...»

«LASCIAMI!»

Un sonoro schiocco risuonò nell'aria, propagandosi nel silenzio. Ren sgranò gli occhi, la testa voltata di lato, colta da una fiammata di dolore laddove Alex l'aveva colpito. Nessuno dei due ebbe il coraggio di muoversi; la mano di Alex era ancora protesa tra loro, tremante e arrossata. Poi, riscossa dal torpore che l'aveva sopraffatta, la ragazza scivolò lungo lo sgabello cercando di mettere quanta più distanza tra loro. Si accoccolò su se stessa, avvolgendosi ancora di più nella mantella e massaggiandosi il polso, più per istinto che un vero e proprio dolore.

Ren si costrinse a respirare. Chiuse gli occhi provando a calmarsi, per poi ritornare composto. Si voltò verso di lei, osservandola apprensivo. «Alexander...»





Doveva respirare. Sapeva che stava trattenendo il fiato, i polmoni incominciavano a bruciarle per l'assenza di aria, ma non riusciva a smettere di tremare. Impiegò diversi secondi per calmarsi abbastanza da lasciarsi andare al primo sofferto respiro. E poi un altro e un altro ancora. Una volta regolarizzata la respirazione e la frequenza cardiaca, la sua attenzione si focalizzò sul polso che Ren aveva osato stringere. Non le aveva fatto male eppure... eppure la sua mano era stata così simile a un cappio che l'aveva fatta sentire imprigionata. E lei odiava quella sensazione!

Chiuse gli occhi, vergognandosi di se stessa, della sua reazione, della sua debolezza. Ora che aveva recuperato la lucidità necessaria per pensare come un essere umano, dovette trattenersi dal prendersi la testa tra le mani e urlare per la frustrazione. Come diavolo aveva potuto perdere il controllo in quel modo davanti a lui? Soprattutto dopo quello che aveva insinuato! Non era da lei farsi vedere così debole, così fragile, così fottutamente pazza!

Ren la chiamò con una voce talmente preoccupata che le fece venire voglia di sputargli in un occhio. Prese tempo, facendo finta di essere troppo agitata per parlare, mentre nella sua mente era in corso un dibattito di proporzioni epiche per decidere un piano d'azione. Tra tutte le alternative, quella più semplice e allettante consisteva nello sbarazzarsi del ragazzo e occultarne il cadavere da qualche parte nella villa. Dopotutto l'aveva detto lui che "era troppo furba per lasciare un cadavere sotto gli occhi di tutti". Ma c'erano delle grosse lacune in quel piano. Certo, aveva dalla sua l'effetto sorpresa, ma Ren era molto più forte di lei, oltre che pesare trenta chili in più.

Abbassò lo sguardo sulla borsa che giaceva sul pavimento, abbandonata tra di loro. Anche se fosse riuscita ad afferrarla e a estrarre ciò che le serviva, Ren l'avrebbe fermata senza alcuna difficoltà e...

«Alexander, smettila di pensare a come uccidermi. Abbiamo altro di cui discutere!»

Presa alla sprovvista, Alex si paralizzò. Stringendo la mantella tra le dita come se fosse uno scudo, si voltò lentamente verso il ragazzo, scrutandolo con un'espressione criptica. «Non stavo pensando a niente. Per colpa tua sono sconvolta.»

Ren le rivolse uno sguardo eloquente. «Quando pensi a me, nel modo che meno mi piace s'intende, ti s'illuminano gli occhi e inizi a sorridere come la sociopatica che sei. Quindi è abbastanza palese che la tua mente diabolica ha ripreso a funzionare come sempre.»

Bastardo...

Alex schioccò la lingua sul palato, distogliendo lo sguardo abbattuta.

Rimasero in silenzio per qualche momento, dopodiché Alex udì il ragazzo sbuffare.

«Senti, mi dispiace per prima. Ho superato il limite...»

«Dirai qualcosa agli altri?» gli chiese, interrompendo quelle inutili scuse che non aveva voglia di sentire. Lo guardò di sottecchi, cercando di capire quali fossero le sue reali intenzioni. Ren, dal canto suo, continuo a scrutarla con un'espressione enigmatica. Alla fine, lo vide scuotere il capo e iniziò a rilassarsi un pochino.

«No, te l'ho già detto. Mi servi viva per uscire da qui e mettere in discussione le tue facoltà mentali con il resto del gruppo sarebbe una mossa controproducente. Oltretutto non posso certo additarti come una pazza, dato che...» deglutì, incerto. «Li ho visti anch'io...»

Alex, che nel frattempo stava ricordando il loro scontro nel corridoio dopo la seduta spiritica, si bloccò. «Aspetta, cosa? E sei ancora qui?» gli chiese con uno sguardo allibito.

Ren alzò un sopracciglio. «Dovevo andare da qualche parte? Dopotutto sono nel posto che mi spetta per diritto di nascita, insieme a una corona d'oro tempestata di diamanti, dieci castelli più altrettante ville estive, un magnifico destriero puro sangue e...»

«Ma non ti hanno attaccato?»

Nello scorgere l'espressione stupefatta di Ren nell'udire quella frase, Alex si rese conto di aver fatto un passo falso. Si morse l'interno della guancia, cercando di mantenere la calma.

«Stiamo entrambi parlando dei bambini, giusto?» Lo sguardo di Ren si fece più sottile, come se avesse intuito qualcosa che non andava. «Perché se quelli rappresentano un pericolo, possiamo pure rilassarci e ubriacarci fino al mattino. Mi stai nascondendo qualcosa, non è vero? Quindi il discorso di prima...»

Sussultò. «Esatto, parliamo invece del discorso di prima! Se non hai intenzione di denunciami agli altri, né di ostacolarmi, allora... Non è servito a nulla!»

Prima che potesse colpirlo di nuovo, questa volta con l'intento di fargli veramente del male, Ren si scostò di lato e la bloccò con sorprendente facilità. Il ragazzo fece indugiare lo sguardo sul pugno chiuso che lo minacciava, poi sulla sua mano stretta intorno al suo braccio ed ebbe la decenza di lasciarla andare senza altre pretese. Ma prima che potesse allontanarsi abbastanza, Ren si protese verso di lei e le pizzicò il naso tra le dita, pulendole la pelle dai segni di sporco che si era lasciata durante la sua scampagnata in solitaria.

Alex gemette portandosi una mano al volto, ma prima che potesse lamentarsi, il ragazzo riprese a parlare. «No, Alex. Non è stato inutile. Vedi, nonostante tutto mi fido di te, anche se sono consapevole che sia un azzardo oltre che una grande cazzata, mentre tu... no. Quello che volevo farti capire è che devi imparare a fidarti degli altri. Solo così potremmo...»

Lei lo guardò talmente male e con una tale furia che fu quasi soddisfatta nel vederlo titubante.

«Ok, forse ho esagerato. Volevo assicurarmi che non fossi uscita fuori di testa a causa di quello che è successo e poi...» Altra pausa, nella quale Ren si prese del tempo per trovare le parole giuste. «Volevo solo farti capire che non devi fare tutto da sola, Alexander. Non sei l'unica ad essere rimasta bloccata in questa situazione. Non sei la sola ad avere... paura. Quindi non pretendere troppo da te stessa. Possiamo aiutarti, possiamo uscire da qui, insieme. Tutto quello che devi fare è chiedere aiuto.»

Ok, quello la stupì un poco. Alex lo osservò con le labbra socchiuse dalla sorpresa. Lo sguardo di Ren era fermo, convinto di quello che aveva appena affermato. Non voleva additarla come una pazza, non voleva allontanarla dal resto del gruppo; voleva semplicemente collaborare, aiutarla.

Forse aveva ragione. Forse... Si bloccò, stringendo la bocca in una linea dura.

«Dunque mi stai dando il permesso di usarti?» mormorò, senza guardarlo negli occhi.

Ren sussultò. Strinse le dita sul bordo dello sgabello, come se fosse a disagio. «Non ho detto questo, ma in mancanza di un termine migliore... sì, puoi contare su di me.»

Alex rimase in silenzio per qualche momento, soppesando la sua risposta. Poi lo guardò negli occhi e annuì. L'espressione di Ren si fece immediatamente rilassata, ma poi un lampo di comprensione gli illuminò lo sguardo.

«Ma certo, che idiota. È da prima della tua fuga che volevo darti una cosa. Consideralo come un pegno di pace. Aspetta...» Prese a frugare energicamente tra le tasche della giacca finché non trovò quello che cercava. Senza troppi complimenti, Alex si ritrovò davanti al viso un orsacchiotto fatto a mano un po' sbilenco e spelacchiato. La reazione fu istantanea.

«So che ti piacciono queste cose -il perché non lo capirò mai dato che sono raccapriccianti- per cui...» Ren smise di parlare e Alex gliene fu grata.

Prendendo in mano il giocattolo, incominciò a passare le dita tra le cuciture imperfette e sfilacciate, non riuscendo a trattenere l'accenno di un sorriso. Era consapevole di apparire infantile mentre gongolava con le pupille dilatate rivolte verso l'orsacchiotto, ma una volta terminato l'effetto sorpresa, la sua espressione gioviale si spense.

«Ren... Dove l'hai trovato?» chiese, mentre la frenesia prendeva possesso nel suo corpo. Incominciò a osservare da ogni angolazione quel giocattolo, ignorando l'occhiata confusa che il ragazzo le rivolse.

«Di sopra, all'interno di un baule. Perché... Alex, aspetta!»

Lei non lo fece. Mentre stava finendo di parlare, saltò in piedi come una molla. Agguantò la borsa e uscì dalla stanza, correndo a perdifiato verso l'androne senza lasciare a Ren il tempo di seguirla. Una volta arrivata a destinazione, l'attenzione di Alex si focalizzò sul quadro, in particolare sulla bambina in esso rappresentata. Un sorriso ferino le illuminò il volto. Aveva ragione.

«A quanto pare quell'idiota non è inutile come sembra» mormorò, confrontando l'orsacchiotto che reggeva in mano con quello della piccola. Era il medesimo. Sebbene Ren l'avesse distolta momentaneamente dalla sua missione, impedendole così di poter verificare quanto Gilman aveva riportato nel suo diario, le aveva quantomeno fornito una preziosa merce di scambio.

Ma, come sempre, la sua allegria ebbe vita breve.

Non fece in tempo a far scivolare il peluche all'interno della borsa che alle sue spalle percepì un rumore sospetto. All'inizio era un lieve cigolo, qualcosa di riconducibile a una vecchia asse traballante, ma man mano che si avvicinava, diveniva sempre più sinistro.

Erano passi. La loro cadenza era irregolare, zoppicante, accompagnata non solo da degli scricchiolii raccapriccianti e acuti, ma anche da un suono di fondo umido e appiccicoso.

Alex rimase immobile. Non si voltò, né ebbe l'impulso di farlo, perché la vista di ciò che si stava avvicinando alle sue spalle non avrebbe potuto impressionarla più di tanto. Era già a conoscenza della sua identità.

Dunque era proprio vero: a volte ritornano.





¹ Piccolo tributo a Folie à Deux di IvanaGBellamy .

Per chi non la conoscesse, la melodia è Per Elisa di Beethoven.

² Dance of Death degli Iron Maiden. Ecco qui il link di una cover:




Benvenuti, benvenuti! Felici Hunger Games a tutti.

Sono in ritardo solo di un giorno sulla tabella di marcia. È un miglioramento, non trovate? Soprattutto dopo quello che è accaduto negli ultimi giorni. Sì, il mio computer è impazzito, nonostante abbia sprecato un'intera serata per aggiornarsi. Le gioie eh?

Ad ogni modo devo ammetterlo, scrivere questo capitolo si è rivelato tutt'altro che semplice. E dire che è solo di transizione. Circa. Facciamo metà e metà.

Lasciar trasparire il lato fragile di Alex è sempre una sfida, soprattutto qui. Ho paura di correre troppo e bruciare così le tappe, oltre che fare di quegli spoiler pazzeschi. Ma, ahimè, sembra essere il mio destino. Per lo meno Ren è finalmente riuscito a regalare l'orsacchiotto alla sua amata. Ancora un po' e se lo portava a casa... sempre se ci arriva.

Insomma, che dite? Non siete ancora andati in confusione, vero?

Pian piano tutti i nodi vengono al pettine, specialmente quelli di Alex, che ha davvero bisogno di una pettinata. Insomma, Ren era a conoscenza delle sue allucinazioni fin dall'inizio e temeva in una sua ricaduta a causa dello stress provocato dalla loro prigionia, però alla fine ha dovuto ricredersi, dato che persino lui ha avuto un contatto con i fantasmi. Non dimentichiamoci però che gli unici ad averli visti e a essere ancora vivi sono appunto loro due. Ergo chissà come prenderanno la notizia gli altri...

Per quanto riguarda Alex, le sue allucinazioni hanno una "base" medica (tra l'altro) ed esiste già un capitolo di lei che da piccola ne affronta le conseguenze. Chissà... magari più avanti potrei metterlo come bonus se mi gira. Inoltre, è venuto fuori un termine nuovo, che spiego qui giusto per buon senso. L'alessitimia è un disturbo che compromette la capacità di riconoscere ed esprimere le proprie emozioni, ma non preoccupatevi. Approfondirò questa sua condizione più avanti.

Spero che fin qui sia tutto chiaro. Forse sto facendo troppi balzi indietro... Beh, fatemi sapere se c'è qualcosa che non vi torna.

Come sempre ringrazio infinitamente tutti quelli che hanno votato, commentato e messo questa storia tra le loro liste. Un grazie speciale va a AvenalAlecNekoTouka23 per il loro supporto... e per sopportare ogni tanto i miei schizzi XD

Detto questo vi saluto e vi auguro una buona settimana :3

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