Nella vecchia fattoria, ia ia...

By AndreeaMBlioju

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Gabe Coldwell, uno degli scapoli più ambiti di New York, ha trascorso una nottata particolare per il suo tren... More

Trama e personaggi
1 Gabe
2 Fiona
3 Gabe
4 Fiona
5 Gabe
6 Gabe
7 Fiona
8 Gabe
9 Fiona
10 Gabe
11 Gabe
12 Gabe
13 Fiona
14 Fiona
15 Gabe
16 Fiona
17 Fiona
18 Fiona
19 Fiona
20 Gabe parte 1
20 Gabe parte 2
21 Fiona
22 Fiona
23 Gabe
24 Gabe
25 Fiona
26 Fiona
27 Gabe
28 Gabe
29 Fiona
30 Fiona
31 Gabe
32 Gabe
33 Gabe
34 Fiona
35 Gabe
36 Fiona
37 Fiona
38 Fiona
39 Fiona
40 Gabe

41 Gabe

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By AndreeaMBlioju

Buongiorno. Ultimo capitolo💔😢. Ci ho messo una vita a pubblicare perché non sto bene, fisicamente e mentalmente. In più, ho anche i bimbi malati. Un periodaccio. L'epilogo arriverà, ma non so dirvi quando. Potrebbe essere tra una settimana o un mese. Scusatemi.

Capitolo 41
GABE

Dopo altri cinque minuto di folle corsa sono nella hall di Bastian Clinique. Ho il fiato corto e sono tutto sudato, ma queste sono le ultime delle mie preoccupazioni.

La signora che siede dietro al bancone della reception mi riconosce prima che le comunichi le mie generalità. Oltre al mio volto noto, Gwen si è preoccupata di avvisarla del mio arrivo.

«Ho bisogno di parlare con il medico che si occupa di Fiona Mayor!», sbraito verso di lei, anche se non meriterebbe un simile trattamento da parte mia. Ma sono fuori di me e non ho tempo per le buone maniere.

La donna si schiarisce la voce, in evidente imbarazzo per il mio atteggiamento. «Doctor Waterloo e il suo staff si trovano ancora nella sala operatoria. Non si preoccupi, la sua fidanzata è in ottime mani. Appena possibile, la informeremo quando potrà...»

«Devo vederlo adesso!» Tiro un pugno al bancone e la donna trasalisce mentre i suoi occhi diventano più grandi.

«Gabe!» La voce di mia sorella mi impedisce di mettere sottosopra qualsiasi cosa abbia intorno.

«Che cazzo hai avuto in mente, eh?» Mi avvicino a lei e mi fermo a un palmo di distanza dalla sua faccia, con le braccia lungo i fianchi e i pugni ben serrati.

«Smettila! Se continuerai a dare spettacolo verrai sbattuto fuori». Con un lieve cenno mi indica la guardia che si sta avvicinando a noi.

Chiudo gli occhi per un istante e provo a calmarmi in qualche modo. Ma come cazzo faccio? Sono un concentrato di nervi pronto a esplodere. La donna che amo mi ha mentito e ha deciso di mettere fine alla vita di nostro figlio senza neanche avvisarmi della sua esistenza. Sfido chiunque al mio posto di riuscire a mantenere i nervi saldi.

«Signore, va tutto bene?», chiede la guardia, osservandomi con gli occhi socchiusi.

«Ci scusi, mio fratello è...»

«Va tutto bene», taglio corto, anche se mi sento come se fossi finito in una centrifuga.

Il tizio mi lancia un'altra occhiata sospettosa, dopodiché annuisce e torna a sostare davanti alla porta.

Io rabbrividisco per un momento, ma dubito che sia a causa dell'aria condizionata.

Prendo Gwen per il braccio ingessato e la porto in un angolo appartato. Lei fa una smorfia di dolore e abbandono la presa su di lei.

«Mi dispiace, Gabe. L'ho accompagnata qui ieri pomeriggio e l'ho fatta parlare col mio ginecologo. Ho aspettato nella sala d'attesa che finissero. Quando Fiona mi ha confermato che fosse incinta, mi ha pregato di non dirti nulla perché convinta che non avresti preso bene la notizia», ripete Gwen, con un tono di voce avvilito. «Era sicura che le avresti chiesto di abortire e io ho rispettato il suo volere credendo che...»

«Avresti dovuto dirmelo!»

«Non spettava a me farlo, ma te l'ho comunicato lo stesso. È da stamattina che provo a mettermi in contatto con te. Non è colpa mia se ti trovavi su un maledetto aereo, in modalità offline».

«È arrivata qui... da sola, oggi?», domando affranto.

Gwen annuisce. «Mi ha mandato un messaggio un po' confuso, dicendomi che avrebbe voluto che tu fossi con lei mentre avrebbe fatto la cosa più brutta della sua vita. Ho subito intuito che si trovasse qui, ma non avevo idea che avesse preso un appuntamento. Non me l'ha detto. Ti giuro, ieri non mi ha lasciato intendere che volesse abortire, sembrava più propensa a parlare con te per far sì che non dessi di matto nel momento in cui avresti scoperto la verità. Sono arrivata qui di corsa subito dopo aver ricevuto il suo messaggio e sono riuscita a parlare con il dottore poco prima che entrasse nella sala operatoria. Fiona era già stata portata lì e io non ho potuto raggiungerla».

Gwen si ferma per un attimo e io non riesco a scrollarmi di dosso il senso di colpa. Avrei dovuto ascoltare mia madre, quella sera alla festa, e non fidarmi di uno stupido pezzo di plastica. Se l'avessi fatto, ora Fiona non avrebbe messo fine alla vita di nostro figlio.

Nostro figlio...

Un senso di calore mi invade lo stomaco e risale fino al cuore. Subito capisco che non mi sarei tirato indietro. Non questa volta.

«Cosa ti è successo, Gabe? Perché Fiona ha tanta paura della tua reazione?», domanda mia sorella e io riesco come per magia a trattenere le lacrime intrappolate negli angoli degli occhi.

Mi piacerebbe parlarle, confessarle i miei tormenti, tuttavia non c'è tempo per i rimpianti e le chiedo l'unica cosa che mi preme sapere: «Dove si trova quella maledetta sala in cui l'hanno portata? Ho bisogno di saperlo, Gwen! Magari sono ancora in tempo per...»

«Ms Coldwell?»

A interrompere il mio misero discorso ci pensa un uomo che sembra poco più grande di me, vestito da medico.

Mia sorella mi lascia una stretta su una spalla in segno di conforto, poi si precipita a raggiungerlo, al che capisco che deve essere il dottore che si è occupato di Fiona. Ne ho la certezza quando vedo che sulla targhetta attaccata all'altezza del petto campeggia la scritta Doctor Mathew Waterloo.

«Come sta?», gli chiede Gwen e se non fossi tanto nervoso mi renderei conto di quanto suoni preoccupato il suo tono di voce.

La situazione ha dell'incredibile dal momento che ero certo stesse detestando la mia fidanzata.

Io attendo che il dottore parli senza muovere un muscoloso. Dubito che il mio cuore sappia fare ancora il suo lavoro.

«Ms Mayor è in evidente stato di shock, le abbiamo somministrato un tranquillante. Però...»

«Devo vederla!», dico brusco, cercando di controllarmi e di non dare definitivamente di matto.

«Scusi, lei è?»

«Sono il suo fidanzato».

Lui sposta per un attimo lo sguardo su mia sorella prima di aggiungere: «Prima però dovete sapere che...»

«Ora!», insisto.

Lui inarca un sopracciglio. «La prego di abbassare i toni», dice pacato.

«Cazzo, pensi che me ne freghi qualcosa dei convenevoli? Dimmi dove sta la mia fidanzata altrimenti giuro su Dio che...»

«Glielo dica, la prego. Siamo pronti a pagare profumatamente per il disturbo», interviene Gwen.

Doctor Lo Stronzo Waterloo mi lancia un'occhiata contrariata ma, dopo un sospiro esageratamente lungo, finalmente mi comunica le indicazioni che mi servono per raggiungere Fiona, il che dimostra che forse l'unico stronzo qui sono io.

Non lo ringrazio; corro invece verso la stanza in cui è ricoverata Fiona. Grazie al cielo, la struttura non è enorme e ci metto meno del previsto a raggiungerla.

Appena arrivato, trovo la porta semi chiusa. Anche se tutto quello che vorrei fare in questo momento è sfondarla per farla sparire dalla mia vista il prima possibile, mi prendo un attimo, giusto il tempo di chiudere gli occhi e impormi un po' di calma.

Appoggio la fronte contro il legno freddo e respiro dal naso, mentre nella mia mente continuano a ripetersi le stesse domande: "Perché mi hai mentito? Perché non mi hai detto la verità? Perché hai voluto affrontare tutto da sola? Di cos'hai paura?"

Dopodiché spingo piano l'uscio, aprendolo del tutto. L'ambiente è in penombra, ma i miei occhi stanchi riescono a individuare in fretta il letto. Mi avvicino lentamente, convinto che Fiona sia sedata, e di conseguenza si trovi sotto le lenzuola, ma il cuore mi salta in gola quando capisco che di lei non c'è traccia.

«Dove cazzo sei, Fiona?», mormoro, guardandomi in giro. La porta del bagno è spalancata e la luce è spenta.

Dove diavolo potrebbe essere andata dopo essersi sottoposta a un dannato aborto?

Esco fuori dalla stanza e sto per andare a informare chiunque che la mia fidanzata è sparita, quando il mio sguardo viene attratto dalla porta antipanico. Dietro il vetro trasparente, vedo delle scale che portano sul tetto.

Senza pensarci due volte, spingo la porta e metto una sedia per far sì che non si chiuda dietro di me. Ho una vaga idea di dove possa essersi cacciata, anche se non so come abbia fatto a salire le scale nello stato in cui versa. Non me ne intendo, non so nulla di gravidanze e aborti, ma immagino che, dopo un intervento del genere, non è proprio facile camminare sulle proprie gambe.

Finito di salire la rampa di gradini, il fiato mi si spezza in gola. Sbatto le palpebre un paio di volte, ma Fiona è ancora lì, seduta sul cornicione del tetto. Per un attimo, ho temuto di essermela soltanto immaginata. Le sue spalle sussultano a un ritmo irregolare.

Il mio cuore inizia a battere con forza, come a voler scavare un buco in mezzo al mio dannato petto per poter evadere dal corpo e andare da lei.

Tutte le parole che pensavo di dirle si perdono nel nulla, da qualche parte intorno a noi. Mi avvicino a lei in silenzio, con il dolore nelle ossa e in ogni dove dentro di me. 

«Fiona...» Riesco a sussurrare il suo nome solo una volta arrivato alle sue spalle.

Lei si volta verso di me e lo sguardo che mi rivolge è una stilettata al cuore.

Il sole le bacia il viso inondato dalle lacrime che continuano a scendere dai suoi occhi gonfi. Le mani strette con forza intorno al cornicione, le gambe penzoloni, l'espressione di chi soffre maledettamente tanto.

«Gabe...», farfuglia incredula, con la voce rotta, ma il contatto tra i nostri occhi dura soltanto per un istante.

«Scendi da lì», aggiungo perché, proprio come immaginavo, capisco che non è in sé. Anche se la struttura è situata su un unico piano, le basterebbe sporgersi di poco in avanti per cadere e farsi davvero male.

«Non ce l'ho fatta», dice e scuote la testa, facendo fluttuare i suoi capelli lunghi e spettinati.

Quando comprendo che non mi darà ascolto, mi siedo accanto a lei, con le gambe distese verso il vuoto. Il mio cuore si riempie di speranza.

«Non...», mando giù il nodo che mi stringe la gola e ci riprovo. «Non ce l'hai fatto a fare cosa?»

Guardo il suo profilo e trattengo il respiro mentre attendo la sua risposta.

Fiona continua a tenere lo sguardo fisso sulle sequoie centenarie che circondano il parco e che fanno sembrare che la Bastian Clinique si trovi nel bel mezzo di un'oasi situata nella City.

Vorrei allungare un braccio e toccarla, attirarla a me e abbracciarla forte, sgridarla e continuare ad amarla, ma non so più come comportarmi. In questo momento, mi sembra di conoscerla da sempre ma, tuttavia, di non conoscerla affatto.

Quando vedo la sua bocca muoversi, mi concentro sulle parole che dice, nonostante i battiti del mio cuore riecheggino furenti nelle orecchie.

«Gabe Coldwell, io ti amo con tutta me stessa. Non ho mai provato un sentimento così forte per nessuno in vita mia e l'ultima cosa che voglio è farti soffrire. Però...», abbassa le palpebre per un secondo, sospira, poi si volta a guardarmi con le lacrime che continuano a scendere copiose sulle sue gote. Mi mordo l'interno delle guance con gli occhi che sento inumidirsi sempre di più. Fiona stacca una mano dal cornicione e se la porta sul ventre, sopra il camice di degenza fornito dalla clinica. «Non ce l'ho fatta... Qui dentro c'è una parte di me. Di noi. Non ce l'ho fatta, lo capisci?»

Strilla l'ultima frase che mi trapassa, mi riduce a pezzi e mi ricompone allo stesso tempo.

«Tu...» La guardo come terrorizzato, non del tutto certo di aver capito bene. È come se fossi appena stato risucchiato in un altro mondo in cui il vecchio Gabe Coldwell non esiste più. Mi sento rintontito, vulnerabile e privo di raziocinio. «Quindi... sei ancora incinta?»

La sua testa si muove appena in un cenno d'assenso. «Mi dispiace, Gabe...»

«Cazzo, Fiona! Sei ancora incinta?!» Il mio grido è stupore e terrore, gioia e dolore.

Balzo in piedi con le mani tra i capelli e sono certo di avere un'espressione da squilibrato dipinta sul volto.

«Lo so che non sei pronto a diventare padre e che... cosa stai facendo, Gabe?»

Fiona mi guarda come se avesse davanti un pazzo. E forse ha ragione. Un po' pazzo lo sono. Perché sto per chiederle di sposarmi sul tetto di una maledetta clinica.

Mi sono inginocchiato davanti a lei e ho allungato un braccio nella sua direzione, quindi la sua domanda è più che lecita. Con la mano libera, accarezzo la scatola che custodisco tuttora nella tasca dei pantaloni.

Al diavolo tutto! Avrò tempo dopo per rimproverala e dirle che il suo comportamento mi ha ferito.

Amo follemente questa donna che, grazie al cielo, porta ancora in grembo nostro figlio.
Sto per diventare padre.
Quello che sto per fare mi sembra la cosa giusta, ora più che mai.

«Vieni qui», le chiedo.

Fiona si pulisce le lacrime con il dorso della mano, poi si gira con cautela e si alza in piedi. Mi prende per mano e io faccio intrecciare le nostre dita e la attiro a me, sotto il suo sguardo smarrito.

Sul mio volto, provato da tutte le emozioni a cui è stato sottoposto in un lasso di tempo tanto breve, prende vita un sorriso.

«Gabe?!», insiste Fiona, impaziente di scoprire cosa ho in mente.

Il mio sorriso diventa più ampio. «Non credo che sarei stato in grado di perdonarti nel caso avessi abortito», le dico e i suoi occhi si incupiscono. «Avrei voluto che me ne parlassi, che fossi in grado di capire che il Gabe di oggi non è più quello che era prima di incontrarti. Mi hai cambiato la vita e stai per rivoluzionarla di nuovo».

Le lascio la mano, ma solo per poter aprire la piccola scatola che ho in mezzo al palmo. Le mostro il solitario in platino e lei spalanca gli occhi prima di incontrare i miei. È confusa, ma riesce a portarsi una mano alla bocca e a sussurrare il mio nome tra le dita.

«Sconvolgimi ancora una volta, Fiona Mayor, diventa mia moglie».

Lei scuote la testa con un timido sorriso a incurvarle le labbra. «Gabe...»

Abbandono il cofanetto e il gioiello per terra e mi alzo in piedi, le prendo il volto tra le mani e avvicino la bocca alla sua. Il suo profumo al cocco mi fa sentire subito a casa. «Ti amo».

Fiona si aggrappa con forza ai miei polsi. «Gabe...»

«Sposami», parlo sulle sue labbra che muoio dalla voglia di baciare.

«Prima però devi... devi sapere una cosa», parla tra le lacrime che hanno ricominciato a scivolare sulle sue guance.

Gliele asciugo una ad una. «Se non sei pronta possiamo...», dico, ma lei mi interrompe.

«Il bambino...»

«Che c'è che non va?», chiedo allarmato.

«Gabe, noi... Diventeremo genitori di due gemelli».

I miei occhi si spalancano fino a sentirli bruciare. «Cazzo!»

«Quindi...» Fiona è preoccupata e inizia a dondolare sui talloni, in attesa che aggiunga qualcos'altro.

Dopo un attimo di smarrimento, porto di nuovo le mani tra i suoi capelli e la avvicino a me. «Quindi vorrà dire che chiederemo al figlio di Mr. Bowie di costruirci un'altra culla».

Il suo sguardo si allarga nuovamente e rilascia un sospiro di sollievo. «Tu non...»

Non le permetto di dire nient'altro. La bacio. Faccio scivolare la lingua sulla sua bocca e le schiudo le labbra che si aprono per accogliermi. La bacio lentamente e la stringo a me prima di scendere con le mani sul suo ventre.

«Probabilmente non sarò il padre migliore del mondo, ma ti prometto che impiegherò tutte le mie forze per diventarlo. Sono felice di condividere questa esperienza con te e non ti ringrazierò mai abbastanza per aver scelto di starmi accanto anche quando non me lo meritavo. Ti amo, Fiona Mayor. Ti amo dannatamente tanto».

Il suo sguardo è sorridente e ora sono certo che le lacrime che versa sono di gioia.

«Sì», annuisce passandomi le mani tra i capelli.

«Sì?»

«Sì, un milione di volte sì. Voglio diventare tua moglie», annuisce con maggior enfasi, riempiendomi il cuore di gioia.

«Oh, a saperlo avrei ingaggiato qualcuno per far sparare dei fuochi d'artificio», esclama la voce trafelata di mia sorella, alle nostre spalle.

Senza interrompere il contatto tra i nostri corpi, io e Fiona ci voltiamo verso di lei. Ha una mano appoggiata su un fianco e il respiro ansante, prova che ci ha cercato a lungo, ma dal sorriso che ha sul volto si capisce che non è scocciata come vuol sembrare. È felice per me. Per noi.

Stringo Fiona ancora di più a me e la guardo. Lo fa anche lei. La sua espressione innamorata mi fa capire che non potevo chiedere di meglio dalla vita. Avrò due figli e sposerò la donna che amo.

Avvicino di nuovo il volto al suo e le rubo un bacio. «Vieni, piccola, torniamo a casa», la prendo per mano e la porto via, certo che non ci lasceremo mai più.

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