Nella vecchia fattoria, ia ia...

Oleh AndreeaMBlioju

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Gabe Coldwell, uno degli scapoli più ambiti di New York, ha trascorso una nottata particolare per il suo tren... Lebih Banyak

Trama e personaggi
1 Gabe
2 Fiona
3 Gabe
4 Fiona
5 Gabe
6 Gabe
7 Fiona
8 Gabe
9 Fiona
10 Gabe
11 Gabe
12 Gabe
13 Fiona
14 Fiona
15 Gabe
16 Fiona
17 Fiona
18 Fiona
19 Fiona
20 Gabe parte 1
20 Gabe parte 2
21 Fiona
22 Fiona
23 Gabe
24 Gabe
25 Fiona
26 Fiona
27 Gabe
28 Gabe
29 Fiona
30 Fiona
31 Gabe
32 Gabe
33 Gabe
34 Fiona
36 Fiona
37 Fiona
38 Fiona
39 Fiona
40 Gabe
41 Gabe

35 Gabe

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Oleh AndreeaMBlioju

Buongiorno🎄♥️

Capitolo 35
Gabe

Il mio telefono vibra con insistenza sul tavolo, attirando l'attenzione dei miei collaboratori. Sullo schermo piatto, il signor Izumi continua a parlare, tanto che il traduttore fatica a stargli dietro.

Lancio un'occhiata al display: a cercarmi è il mio autista. Inarco un sopracciglio con sospetto. Da quando lavora per me non mi ha mai chiamato, quindi la mia preoccupazione è più che lecita.

Chiedo una pausa di cinque minuti, a costo di far arrabbiare il signor Izumi, dopodiché mi catapulto fuori dalla sala riunioni. Il telefono ha smesso di vibrare per cui sono io a richiamare Tom, che mi risponde in un nanosecondo.

«Perché diavolo mi hai chiamato?», chiedo.

«È successa una cosa...», risponde restando vago.

«Ero in videoconferenza con un cliente di Tokyo, ci sono in ballo miliardi di dollari per cui ti conviene non farmi perdere tempo prezioso!», tuono camminando avanti e indietro per il corridoio.

«Ms Mayor ha avuto un incidente», dice Tom, tutto d'un colpo.

«Cosa?!» Mi fermo e appoggio la schiena al muro, urtando un quadro moderno disegnato da qualche pittore psichedelico.

«Si stava annoiando e mi ha chiesto se potesse prendere la Aston Martin. Non ho potuto dirle di no, il mio compito è...»

«Lo so qual è il tuo compito. Lei come sta?»

«L'impato non è stato violento, è soltanto un po' ammaccata. L'ho già portata in carrozzeria».

«Non la macchina, Santo Dio!»

Non mi sono mai rivolto a Tom in questo modo, ma sto per perdere la pazienza. D'altro canto, non mi sono mai preoccupato per nessuno se non per le cose materiali a cui ero fortemente legato prima di incontrare Fiona, dunque non posso biasimarlo per la sua risposta.

«La signorina sta bene».

«Posso parlarle?», domando dal momento che gli ho chiesto di non perderla di vista e di essere a sua completa disposizione.

«Temo di no, signore. In questo momento è un tantino... impegnata», risponde Tom a disagio mentre Colin sbuca sulla soglia e mi fa cenno che il tempo a mia disposizione è terminato.

Sollevo l'indice e gli chiedo un altro secondo. Lui si sbraccia, ma lo ignoro.

«Cosa diavolo sta facendo?», mi rivolgo di nuovo a Tom.

«Si è bruciata una delle lampadine della cappa centrale e sta cercando di sostituirla. Kinsley e Irina le stanno dando una mano tenendo ferma la scala», confessa nascondendo la sua risposta dietro a un colpo di tosse.

Nel frattempo, Colin continua a sbracciarsi nella mia direzione, chiedendomi di raggiungerlo.

Sospiro, imponendomi di restare calmo e di non buttarmi dal quarantottesimo piano e sperare che mi venga il potere di Flash per poter volare da Fiona e ordinarle di fare la brava e di non cercare di uccidersi almeno due volte al giorno.

«Chiedi immediatamente a Fiona di scendere da quella maledetta scala e di andare ad attendermi sul divano senza muoversi. Sarò a casa per l'ora di pranzo».

Stacco la chiamata e metto il telefono nella tasca dei pantaloni. Affianco Colin con le mani tra i capelli.

«Si stava annoiando e ha ben pensato di prendere una delle mie macchine e andare a farsi un giro per Manhattan. Ha avuto un piccolo incidente mentre ora è su una maledetta scala e sta provando a cambiare una lampadina come se fosse nella cascina. Neanche sapevo di avere una scala. Quella donna mi farà ammattire!»

L'espressione di Colin si distende fino a diventare divertita. «Tutti siamo in possesso di una scala, Gabe», mi mette un braccio sulle spalle. «Benvenuto nel mondo degli uomini ammattiti dalle donne, cognato!»

***

Non ho mai odiato come in questo momento il fatto di abitare all'ultimo piano di un grattacielo. Per fortuna, l'ascensore viaggia a 35 km orari e non devo attendere un'eternità per arrivare a casa. Esco dal cubicolo direttamente in salotto. Mi aspettavo di trovare Fiona ad attendermi seduta su uno dei maledetti divani, esattamente come avevo chiesto, e invece non c'è.

Lancio la ventiquattro in un angolo, poi inizio a urlare il suo nome mentre allento il nodo della cravatta.

«Fiona!»

Nessuno mi risponde.

Raddrizzo le orecchie e m'incammino verso la cucina nel momento in cui sento delle voci arrivare proprio da lì.

Sono nervoso e non solo perché Fiona ha rischiato di farsi male. La settimana prossima dovrò partire per il Giappone, la trattativa con il signor Izumi non è andata a buon fine e devo andare di persona per aggiustare le cose.

Prima, viaggiare non era un problema, andavo in qualsiasi angolo del mondo. Ora invece l'idea mi angoscia perché non so come la prenderà Fiona. Se dovesse stancarsi della mia assenza e decidesse di tornare a Greenlung non so come reagirei.

Mi passo una mano tra i capelli mentre avanzo in cucina. Irina e Fiona sono girate di spalle, impegnate a fissare chissà cosa nel forno.

«Buongiorno!», tuono, facendo sobbalzare entrambe che si girano verso di me.

«Buongiorno», risponde Irina.

«Amore, sei tornato!» Gli occhi di Fiona brillano di gioia non appena incontrano i miei.

Sono felice di vederla sorridente. Quello che è successo al MARQUEE con Miranda avrebbe potuto diventare un problema, ma fortunatamente Fiona è una donna intelligente.

«Irina, ci puoi lasciare da soli per un momento, per favore?», chiedo con lo sguardo fisso su Fiona che si aggrappa al bancone e diventa seria non appena si accorge della mia espressione furibonda.

«Certo», risponde Irina, poi se ne va.

Io e Fiona ci fissiamo in rilegiosio silenzio per un po'.

«Perché l'hai fatto?»

«Perdonami per aver rovinato la tua auto, ti ripagherò ogni danno».

Parliamo contemporaneamente mentre i nostri occhi continuano a guardarsi.

Avanzo verso di lei che ha le mani strette intorno al bancone e il labbro inferiore incastrato tra i denti.

«Pensi che possa fottermi qualcosa della maledetta macchina?» La mia domanda è dura, in contrasto con il mio tono di voce.

«Scusa, io pensavo...»

«Smettila di chiedere scusa. Sono praticamente volato fino a casa per potermi accertare di persona che stessi bene. Non farlo mai più», il mio braccio corre intorno alla sua vita, la attiro a me finché i nostri corpi non si toccano. «Se dovesse succederti qualcosa non lo potrei sopportare».

Dopo un attimo di tentennamento, le mani di Fiona s'intrecciano sulla mia nuca. «Non è successo niente, ho solo schiacciato un po' troppo il piede sull'acceleratore, quella macchina corre come una dannata. Pagherò la multa e anche i danni che ha riportato», dice mentre mi passa le mani tra i capelli, proprio come piace a me.

«Non voglio che paghi un bel niente, voglio solo poter lavorare in santa pace senza stare in pensiero per te».

«Mi stavo annoiando...»

Sospiro e appoggio la fronte alla sua, mentre le mie mani la sollevano da terra. La metto a sedere sul bancone e m'incastro tra le sue cosce calde, toniche e lisce.

«Lo so che è difficile aspettare il mio arrivo senza fare nulla per tutto il giorno. Ho parlato con alcuni miei amici, troverò un impiego degno di te al più presto».

«Gabe...», le sue mani scendono sul mio petto, la sua bocca si ritrae quando la mia la vuole sfiorare. «Posso farcela da sola. Non ho bisogno che ti preoccupi per me, non voglio diventare un peso per te».

«Non potresti mai diventarlo». Premo la bocca sulla sua e finalmente faccio scivolare la lingua tra le sue labbra.

La bacio con tutto me stesso. La bacio perché voglio. La bacio perché posso. La bacio perché sento che è la donna della mia vita e perché vorrei che lo sentisse anche lei.

«Sai cosa intendo...», mi morde un labbro e tutto il sangue che ho nel corpo si concentra nelle mie parti basse.

Ma non è il momento di dar sfogo agli istinti. Non prima di comunicarle del viaggio che mi aspetta.

«Ti devo dire una cosa». Mi stacco da lei a malavoglia.

«È grave?», chiede, guardandomi con un cipiglio confuso.

«Dipende dai punti di vista...»

«Gabe, che succede?»

«Lunedì devo andare in Giappone», butto d'un fiato.

«Oh...», sospira di sollievo. «Credevo che...» Stacca le mani da me e inizia a tormentarsi le punte dei capelli.

«Credevi che?», la sprono a continuare.

«Non lo so».

«Vuoi venire con me?» Glielo chiedo anche se so già che la sua risposta sarà negativa.

«Non credo di riuscire a reggere per quattordici ore di volo», fa una smorfia.

«Immaginavo. Starò via per pochi giorni e quando sarò di nuovo a casa pensavo di tornare a Greenlung».

Non so se l'abbia detto per alleggerire la pillola del Giappone o per farla felice. Probabilmente entrambe le cose.

I suoi occhi diventano più grandi e scintillanti. «Davvero?»

È felice alla sola idea di tornare a casa e, ancora una volta, mi maledico per averla strappata alla sua terra.

«Davvero», le rispondo inginocchiandomi davanti a lei. Le mie mani corrono ad abbracciarle la vita, appoggio una guancia sul suo ventre. «Ho bisogno di restare un po' così. È stata una giornata stressante», ammetto, abbassando le palpebre.

Le sue mani non tardano ad accarezzarmi i capelli. «Ti va di parlarne?»

Apro gli occhi e la guardo. «Sono cose che riguardano il lavoro», mento solo in parte perché non me la sento di confessarle che la maledetta paura di perderla è un chiodo fisso che non mi dà pace. «Stasera mamma ci ha invitati di nuovo a cena», cambio argomento e sento il suo corpo irrigidirsi.

«Non...»

«Gwen non ci sarà, sono stato chiaro con la mamma».

«Non mi va che litighi con tua sorella o qualcun altro a causa mia», sospira.

«Fiona Mayor, tu sei la persona più importante per me e gli altri dovranno accettarlo. Finché non ti chiederà scusa, Gwen può anche andare al diavolo».

«È tua sorella...», insiste, visibilmente dispiaciuta per la situazione che si è creata.

«È tu sei la donna della mia vita».

La mia confessione le fa spuntare un sorriso sul volto.

«Ti amo», farfuglia guardandomi con gli occhi luccicanti.

«Ti amo anche io. E sai cosa mi andrebbe di fare in questo momento?» Le tolgo le scarpe e inizio a massaggiarle i piedi.

Lei incastra il labbro inferiore tra i denti e reprime un sorriso.

«Cosa?», domanda mentre le mie dita risalgono sulle sue gambe, lasciando una leggera pressione sulla sua pelle.

«Vederti nuda. Su questo bancone». Le mie mani si fermano sui bottoni dei suoi pantaloncini.

«Gabe... Irina potrebbe tornare da un momento all'altro», protesta debolmente.

«Non lo farà», le tolgo i pantaloncini e le mutandine, le spallanco le cosce e mi abbatto sulla sua intimità.

Fiona ci mette poco a rilassarsi tra le mie braccia e presto inizia a godere della mia lingua che sprofonda in lei ancora e ancora. Amo il suo sapore, credo che non ci sia una via di ritorno per me. Sono pazzo di questa piccola grande donna.

La stuzzico, la mordo e la lecco fino a quando Fiona non si lascia andare, con un gemito che cerca di trattenere in qualche modo. Con la lingua, porto via tutti i suoi dolci umori finché il suo corpo non smette di tremare. Solo allora mi alzo di nuovo in piedi e mi slaccio la cintura. Sbottono i pantaloni e tiro fuori l'erezione sotto il suo sguardo lussurioso. I suoi occhi sono come lava bollente su di me.

«Ti amo», le dico. «Sono pazzo di te».

Non le do il tempo di rispondere. Le raccolgo i capelli in un pugno e li strattono all'indietro per avere la via libera al suo collo che aggredisco con baci infuocati.

«Gabe...», farfuglia eccitata.

Le mie labbra si schiantano sulle sue e la baciano con passione mentre scivolo in lei lentamente. E finalmente lo stress accumulato svanisce, lasciando spazio a due corpi che si cercano, si trovano e si amano con venerazione.

Tuttavia, nei meandri più nascosti della mia mente c'è un tarlo che non mi dà pace. Mi sento come se questa bolla magica che io e Fiona abbiamo creato intorno a noi presto dovesse scoppiare.

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Copertina a cura di @martywattpadiana su Instagram