Nella vecchia fattoria, ia ia...

By AndreeaMBlioju

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Gabe Coldwell, uno degli scapoli più ambiti di New York, ha trascorso una nottata particolare per il suo tren... More

Trama e personaggi
1 Gabe
2 Fiona
3 Gabe
4 Fiona
5 Gabe
7 Fiona
8 Gabe
9 Fiona
10 Gabe
11 Gabe
12 Gabe
13 Fiona
14 Fiona
15 Gabe
16 Fiona
17 Fiona
18 Fiona
19 Fiona
20 Gabe parte 1
20 Gabe parte 2
21 Fiona
22 Fiona
23 Gabe
24 Gabe
25 Fiona
26 Fiona
27 Gabe
28 Gabe
29 Fiona
30 Fiona
31 Gabe
32 Gabe
33 Gabe
34 Fiona
35 Gabe
36 Fiona
37 Fiona
38 Fiona
39 Fiona
40 Gabe
41 Gabe

6 Gabe

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By AndreeaMBlioju

Capitolo 6

Gabe

«Su, cos'aspetti?»

Fiona mi sta allungano un badile da più di un minuto ormai, dopo avermi costretto ad abbandonare le mie Giorgio Armani edizione limitata in cambio di un paio di stivali di gomma sporchi che mi stringono dal momento che non corrispondono al mio numero di scarpa.

«Non ce la faccio, la puzza si sente fin da qui e mi dà il voltastomaco», dico assumendo un tono di voce che non accetta repliche.

Ma lei non sembra minimamente impressionata dalla mia inesistente voglia di collaborare. «Ti ci abituerai. Dai, non è il momento di comportarti da principino. Fammi vedere quanto sei uomo!» Sbatte le palpebre e mi mostra un sorrisetto del cazzo che farei sparire volentieri a furia di badilate sui denti.

«Io sono un vero uomo», ci tengo a precisare, fulminandola con un'occhiata. «Dà qua!» Ferito potentemente nell'orgoglio da una sempliciotta, le strappo il badile dalle mani.

Se qualcuno mi avesse detto alcune settimane fa che sarei finito in una dannata e puzzolente stalla, circondato da mucche e da letame da spalare, gli avrei riso in faccia. Invece eccomi qui, pronto a vomitare anche il cenone dello scorso Capodanno.

«Le ha già munte Seth quindi per adesso ti mostrerò soltanto come si pulisce una stalla».

Soltanto?!

Fiona entra nella stalla con disinvoltura. Io la seguo e affondo il naso nell'incavo del gomito.

La stanza che mi si presenta davanti è gigantesca oltre che altissima, ed è dotata da delle finestre posizionate in alto alle quali non si può arrivare se non con l'utilizzo di una scala. L'ambiente è ben illuminato e la temperatura all'interno sembra perfetta. In fondo alla stalla vedo dei covoni di paglia e fieno che quasi sfiorano il soffitto a cupola.

Le mucche hanno un solo spazio comune che potrebbe tranquillamente ospitare un numero molto più elevato, oltre le dieci che riesco a individuare. Da un lato del recinto c'è un abbeveratoio dove due delle mucche si stanno dissetando; dall'altro le sbarre sono larghe affinché gli animali possano tirare fuori la testa e mangiare il fieno sparso a terra. Il restante di loro lo fanno proprio in questo momento senza curarsi della nostra intrusione.

«Muuuu!», muggisce un'altra vacca, la più grassa di tutte, quella bianco e nera, l'unica a essere sdraiata a terra, e io sobbalzo, guardando diffidente Fiona che va ad aprire il cancello che mi tiene al riparo dalle bestie.

«Cosa diavolo stai facendo?», chiedo.

«Prima di pulire dobbiamo portarle al pascolo».

Fiona si sposta accanto alla vacca sdraiata e la incita ad alzarsi finché non si mette in piedi, seppur con fatica. Poi, in fila indiana, le mucche escono dal cancello e Fiona lascia ad ognuna una carezza.

Io, come se stessi assistendo a chissà quale tragedia shakespeariana, inizio ad indietreggiare. Non aspetto che mi raggiungano e me la do a gambe, uscendo fuori dalla stalla e allontanandomi a passi rapidi dopo aver lanciato il badile a terra.

«Gabe, torna qui, non ti fanno niente!», sento la voce di Fiona alle mie spalle, ma non la sto a sentire.

Nonostante le scarpe strette, accorcio in fretta la porzione di terreno che mi separa dalla cascina e raggiungo i gradini che mi conducono al porticato. Resto a guardarla mentre si allontana insieme alle mucche verso la vasta distesa d'erba presente accanto al frutteto, delimitata da un recinto di legno.

«Col cazzo!», brontolo intenzionato a mettere radici sul portico.

«Guarda che sono erbivori».

Mi volto e vedo Seth alle mie spalle. Oggi indossa un paio di jeans usurati e una T-shirt slabbrata con il logo di una rock band. Non avevo idea che vivesse qui anche lui.

«Lo so. Ma per oggi pensavo di stare a guardare e imparare il vostro modo di agire».

Lui addenta una mela e mi si avvicina.

«È semplice. Si fa quello che si deve fare. Tu che facevi a New York?» Mi si mette di fianco, appoggiandosi con una spalla a una delle colonne che sorregge la tettoia. È più basso di me di una spanna. Chissà da quanto tempo è sveglio se ha già munto le mucche? A differenza mia, lui non sembra minimamente provato.

«Hai presente Richard Gere in Pretty Woman?», gli domando.

«Andavi a puttane?», sgrana gli occhi, visibilmente interessato all'argomento.

Evito di alzare lo sguardo al cielo e ringrazio mentalmente Fiona per non aver raccontato a tutto il paesello il vero motivo che giustifica la mia presenza qui. Perché è chiaro che Seth non abbia ancora idea del perché un newyorchese sia finito nella fattoria di Mary Lo e non sarò io a farglielo scoprire.

«No! Sono un Chief Operating Officer e, proprio come faceva Gere, mi occupo di comprare compagnie dissestate per poi risanarle e rivenderle».

«Dev'essere interessante...» Seth sbatte le palpebre, dandomi l'idea di non aver capito granché.

«In pratica, mi occupo di affari. Il mio lavoro consiste nell'acquistare aziende sull'orlo del fallimento e...» Sto per spiegargli meglio il concetto, ma la voce di Fiona mi impedisce di farlo.

«Gabe Fifone Coldwell, torna subito qui!», urla per farsi sentire.

Grugnisco infastidito. Fosse stata un'altra al suo posto saprei perfettamente in che modo annientarla per la confidenza che si è presa senza che gliela concedessi. Ma, purtroppo, è solo Fiona, una campagnola rompipalle a cui è stato dato il compito di sfinirmi fisicamente. E a ordinarglielo è stato l'unica persona al mondo a cui non ho mai negato niente, per cui ho le mani legate.

«Seth, vai tu dalle galline?», continua a gridare.

Lui solleva un braccio e le mostra il pollice.

«Vado, il dovere mi chiama!», avvisa Seth, dando un altro grande e rumoroso morso alla mela prima di scendere con un salto tutti i gradini e atterrare in perfetto equilibrio a terra.

Poco dopo e lo vedo fare il giro della cascina per poi sparire dalla mia visuale.

«Gabe!», insiste Fiona, facendomi segno con una mano di raggiungerla.

Sospiro. Sono a pezzi, non ho dormito granché la notte scorsa e non oso immaginare quando potrò riposare a dovere.

Scendo gli scalini e torno da Fiona, pur di non sentire ancora una volta il suo richiamo fastidioso.

«Non sono un fifone», le ringhio in faccia prima di entrare nella stalla con nonchalance. «Dio, la puzza è insopportabile! Cosa diavolo date da mangiare a queste mucche? I topi morti?», chiedo trattenendo a stento un conato di vomito.

Fiona mi ridà il badile e mi invita a entrare nello spazio in cui è concentrata una dose considerevole di letame.

«Non è colpa del letame stesso se la puzza è tanto intensa. I batteri che scompongono la materia organica rilasciano composti come l'ammoniaca e l'idrogeno solforato che sono responsabili dell'odore», spiega.

«Wow! Hai studiato la merda delle vacche?», ridacchio senza schiodarmi, con gli occhi che pizzicano per la puzza intensa.

«Sono diplomata in agraria, biologia, chimica organica e tecnologie agroalimentari. Ma il mio sogno è sempre stato un altro», ammette spostando una carriola all'interno del recinto. Ho colto una sfumatura malinconica nella sua voce e decido di non punzecchiarla con alcuna battuta.

«Il letame va nella carriola?», domando poiché lei ha iniziato a spalare.

«Sì. Più tardi, il signor Moore verrà a prenderlo, lo trasformerà in concime e poi lo venderà», spiega. «Vieni qui!»

Pensavo se ne fosse dimenticata e che mi avrebbe risparmiato, ma la verità è che la nana malefica non vede l'ora di vedermi "all'opera".

La raggiungo stando attento a non calpestare la merda, ma è pressoché impossibile e uno stivale affonda nello sterco.

Non so esattamente in che modo, ma riesco a dominare la collera che mi ribolle dentro. Tolgo il piede e mi impongo di restare calmo. Un mese e mezzo passerà in fretta.

«Maledizione, mi lacrimano gli occhi!» Con lo stomaco sottosopra raccolgo un minuscolo mucchio di merda mefitica che trasferisco poi nella carriola.

«Quando bevi il latte e mangi i vari derivati non ti bruciano gli occhi?», chiede Fiona raschiando il pavimento per adunare quanto più letame in un unico posto, ossia vicino a me.

«Che cazzo c'entra? Ci sono persone portate per fare questo lavoro. Io non sono una di queste».

«Nella vita ci si adatta a quello che il destino ci mette davanti».

«Il destino a volte lo si deve affrontare di petto e superare le proprie paure», dico ricordando il momento in cui, subito dopo essermi laureato, non mi sentivo in grado di lavorare a fianco di mio padre. Lui è potente, nato per essere un capo; i dipendenti pendono dalle sue labbra, si fidano di lui e lo stimano.

Io ho seguito le sue orme perché non ho avuto altra scelta. La linea del mio destino me l'ha sempre tracciata lui e io non ho mai opposto resistenza perché, in cuor mio, non ho mai voluto deluderlo. Col tempo mi sono abituato al mio ruolo e il mio lavoro mi piace, ma se qualcuno si fermasse a chiedermi qual era il mio sogno da bambino non saprei che risposta dargli. Sapevo fin da piccolo che avrei lavorato nell'azienda che mio padre ha fondato dal nulla e non ho mai permesso alla fantasia di creare degli scenari diversi.

«Non è facile farlo. Non se vivi da queste parti», dice Fiona, scaricando una grande quantità di letame nella carriola che si sta pian piano riempiendo.

«Cosa ti piacerebbe fare mentre non sei impegnata a raccogliere letame?»

«La parrucchiera», dice semplicemente, poi impugna i manici della carriola ed esce fuori dalla stalla.

Io mi raddrizzo e faccio scrocchiare le ossa.

Mi chiedo perché Fiona non abbia mai inseguito i suoi sogni che, diciamocelo, potrebbero essere raggiunti facilmente. Forse è una di quelle persone fortemente attaccate alle proprie radici e non ha mai preso in considerazione l'idea di andare via da qui per provare a dare una svolta alla sua vita.

Poco tempo e torna con un'altra carriola, più grande della precedente.

«Quindi spacciate il letame da queste parti?», le chiedo per smorzare un po' la tensione che si è venuta a creare prima.

Stiamo lavorando fianco a fianco e col tempo il mio olfatto si è abituato alla puzza e non ho più voglia di correre a vomitare.

Lei scoppia a ridere. «Meglio quello che le sostanze che ti hanno fatto finire qui».

«Quindi sai tutta la storia?» Mi fermo e la guardo, inarcando le sopracciglia fino all'attaccatura dei capelli. Pensavo che mio padre si fosse risparmiato la storia delle droghe.

Fiona annuisce, imitando la mia postura. Tra di noi, le nostre mani sono attaccate ai manici dei badili che quasi si sfiorano.

«Perché lo fai?», mi domanda guardandomi dritto negli occhi. La sua espressione non è di rimprovero, più che altro sembra realmente interessata a qualunque cosa abbia da dirle.

«Non sono un drogato, se è quello che stai pensando. Quella maledetta notte ho provato la cocaina per la prima volta nella mia vita, te lo giuro. Volevo fare le cose in grande per i miei trent'anni e il mio migliore amico mi ha organizzato questa super festa a base di sesso sfrenato, alcol e droghe. Il secondo giorno stavo male come una bestia e non ricordavo neanche il mio nome».

Lei arrossisce vistosamente e si china a radunare il letame rimasto pur di non dovermi più guardare.

«Hai uno strano concetto di fare le cose in grande», mi fa notare.

Io mi appoggio con i polsi incrociati all'estremità del manico del badile.

«Non hai mai fatto una cosa che ti sembrava giusta ma che poi si è rivelata a essere il peggior sbaglio della tua vita?»

Tuttavia, non ho il coraggio di confessarle che il motivo per il quale sono finito a Greenlung, nella lista delle cazzate fatte, è al secondo posto.

«Puoi parlare e muovere le mani contemporaneamente, sai?», mi redarguisce e io riprendo a lavorare, piegandomi a raccogliere un badile pieno di letame che scarico poi nella carriola. «Siamo esseri umani. È impensabile pensare che possiamo vivere una vita intera senza commettere degli errori».

«Qual è il tuo errore più grande?», chiedo curioso di scoprire cosa possa aver mai fatto di spropositato una come lei.

Penso che non mi risponderà, è una risposta intima che non la si dà al primo arrivato, ma lei mi sorprende.

«Essermi fidata della persona sbagliata. Ora muovi le mani più velocemente, mi sembri una lumaca», dice ritrovando lo spirito che la contraddistingue, ma per un attimo ho colto l'amarezza nel suo tono di voce e non riesco a non domandarmi chi sia la persona sbagliata a cui ha accennato e cosa le abbia fatto. Tuttavia, non indago oltre. Non sono fatti miei.

Tre carriole di letame dopo, sono libero di respirare aria pulita e quasi mi metto a ballare per la gioia quando Fiona mi dice che posso andare a riposare.

Mi ritiro nella mansarda dopo aver lasciato le scarpe fuori e i vestiti abbandonati sul pavimento, accanto alla scala. Probabilmente li butterò poiché non ho più intenzione di riutilizzarli. Avrei voluto andare a farmi un'altra doccia, ma ora non c'è più l'acqua calda e finché il maledetto boiler non farà il suo dovere mi toccherà stare con la puzza attaccata addosso.

Il sole non è del tutto spuntato all'orizzonte, ma io sono già sfinito. Mi lascio cadere sul materasso privo di lenzuola nello stesso momento in cui un gallo inizia a cantare. Sospiro pesantemente e chiudo gli occhi. Quelle che mi aspettano saranno sei settimane infernali.

🦃🐴🏡🐕🐄

Buon venerdì.
Qualcun* mi ha segnalato la storia e mi chiedo cosa ci sia da segnalare nelle foto dei protagonisti💩🤦‍♀️. Ho visto immagini ben "peggiori" di queste che girano su wattpad, ma a quanto pare le mie danno fastidio a qualcuno che non ha altro da fare. Vabbe'...
Forse è stato Gabe stesso a segnalarsi perché non vuole restare a Greenlung😝.
Grazie a chi mi segue ancora con passione nonostante gli anni d'assenza♥️.

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