Nella vecchia fattoria, ia ia...

By AndreeaMBlioju

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Gabe Coldwell, uno degli scapoli più ambiti di New York, ha trascorso una nottata particolare per il suo tren... More

Trama e personaggi
1 Gabe
2 Fiona
3 Gabe
4 Fiona
5 Gabe
6 Gabe
7 Fiona
8 Gabe
9 Fiona
10 Gabe
11 Gabe
12 Gabe
13 Fiona
14 Fiona
15 Gabe
16 Fiona
17 Fiona
18 Fiona
19 Fiona
20 Gabe parte 1
20 Gabe parte 2
21 Fiona
22 Fiona
23 Gabe
24 Gabe
25 Fiona
26 Fiona
27 Gabe
29 Fiona
30 Fiona
31 Gabe
32 Gabe
33 Gabe
34 Fiona
35 Gabe
36 Fiona
37 Fiona
38 Fiona
39 Fiona
40 Gabe
41 Gabe

28 Gabe

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By AndreeaMBlioju

Buongiorno! Ho di nuovo Giulia a casa, malata per la terza volta da quando ha iniziato l'asilo. Un incubo poiché dorme poco, ha la febbre e il muco, e chi né ha più né metta🤦‍♀️. Ne ho già le ovaie piene di quest'asilo. La terrei a casa per quest'anno, ma lei adora andarci, quindi non so ancora che fare.
Se tardo con gli aggiornamenti sappiate il perché.
Per ora è tutto, vi auguro buona lettura e vi mando tanti pupici♥️

Capitolo 28

Gabe

Ci ho impiegato un bel po' di tempo per calmarmi, ma infine ci sono riuscito. Mia sorella Tabatha ha sofferto di attacchi di panico durante la sua adolescenza e mi sono ricordato i metodi che utilizzava per tranquillizzarsi: lavorare sulla respirazione, ascoltare la musica preferita e pensare a un momento particolarmente felice.

Io ho ripensato a Fiona e a tutte le volte in cui siamo stati bene insieme e il mio cuore ha ritrovato il controllo.

Perché non le ho chiesto di persona di venire via con me? Forse, se l'avessi guardata dritto negli occhi, avrei potuto fare qualcosa per convincerla a seguirmi.

Dopo essermi fatto una doccia, mi sono vestito di tutto punto e ho detto a Tom, il mio autista, che sarei andato da solo a casa dei miei genitori. Avevo bisogno di guidare, di schiacciare il piede sull'acceleratore e scaricare in qualche modo lo stress accumulato. Non ho mai avuto queste problematiche e spero che l'episodio non si ripeta perché non è stato affatto piacevole.

Non so se sia stata la consapevolezza che non l'avrei più avuta accanto ad avermi fatto stare tanto male. Mi auguro di no perché sarebbe un bel casino. Fiona non mi raggiungerà e io da domani tornerò al lavoro, alla mia caotica vita.

Cosa ne resterà di noi? Perché ora la mia esistenza non mi sembra più meravigliosa come prima?

Lascio la mia Aston Martin Vulcan nelle mani del doorman, poi mi incammino verso l'ingresso della villa in stile coloniale. Il giardino, lussureggiante e fresco grazie alle piante secolari, è reso ancora più gradevole da una piscina rettangolare in pietra.

Rispondo al saluto del giardiniere che sta controllando l'impianto dell'irrigazione, poi inarco un sopracciglio e mi fermo di scatto. Accanto alla fontana artesiana posta di fronte alla villa sosta un'auto sportiva grigia. Appoggiato a uno degli sportelli si trova una persona che non ho mai visto prima d'oggi. Presumo sia l'uomo di cui mi parlava mia madre, quello che papà ha affiancato a Gwen.

Analizzo il suo aspetto mentre mi avvicino. È massiccio, veste tutto di nero, ha la testa rasata e uno sguardo glaciale. Non possiede l'eleganza di un bodyguard, più che altro ha l'espressione di un mercenario.

Mi fermo proprio davanti a lui e gli porgo la mano.

«Gabe Coldwell», dico.

La sua espressione si distende appena mentre mi stringe la mano. «Kriystan Kowalczyk», si presenta con un forte accento europeo.

«Condoglianze», aggiungo infilando le mani nelle tasche dei pantaloni.

Lui mi guarda stranito.

«Se la tua pazienza non è morta, lo farà a breve. Mia sorella è un osso duro. È praticamente impossibile avere a che fare con lei», ridacchio.

Lo fa anche lui, assumendo un atteggiamento più rilassato. «Me ne sono reso conto».

«Eserciti da tanto questo lavoro?», indago.

«Un paio d'anni», risponde vago.

«Bene. Ho come l'impressione che mia sorella sia in buone mani. Non posso dire lo stesso di te», sorrido e gli lascio una pacca sulla spalla.

«Me la caverò».

«Ci si vede», gli faccio il saluto militare prima di allontanarmi verso l'ingresso della casa in cui sono cresciuto.

Il primo a salutarmi è mio nipote Nathan, che mi corre incontro non appena mi vede entrare nel secondo salotto. La tavola è apparecchiata, ma nessuno si è ancora accomodato sulle sedie.

Mio cognato sta chiacchierando con mio padre, sono seduti su uno dei divani; mia sorella Gwen, imbronciata più che mai, sta dondolando nella poltrona sospesa accanto alla vetrata, con gli occhi puntati sul cellulare mentre mamma e Tracy probabilmente sono in cucina.

«Zio Gabe, sei tornato!», urla il piccolo di casa mentre lo afferro al volo e gli faccio fare l'aeroplanino.

«Ti sono mancato?», gli chiedo mettendolo a terra.

«Mmm, mmm. Sei solo? La mamma dice che hai una fidanzata», mi guarda con innocente curiosità, puntando i suoi occhioni scuri nei miei.

«La tua mamma dice un sacco di stron...»

«Bentornato a casa, Gabe!» Colin mi affianca e mi lancia un'occhiata di leggero rimprovero. «È bello rivederti, finalmente. Ci sei mancato», mi mostra un sorriso sincero.

Dal suo matrimonio con mia sorella non ci ho guadagnato un cognato, ma un fratello. Prima che si fidanzasse era proprio come me e Liam, sempre in cerca di divertimento, ma poi Tracy lo ha fatto diventare una specie di frate. Terribile, per quanto mi riguarda. Ha smesso di andare in giro per i locali da anni, l'unica cosa che fa di tanto in tanto è venire con noi allo stadio.

Non credo che sarei mai capace di permettere a una donna di cambiarmi fino a tal punto.

La mia coscienza ci tiene a ricordarmi che nell'ultimo mese e mezzo sono stato più che bravo e, da come vanno le cose, direi che non è successo solo perché sono stato costretto dalle circostanze.

Sospiro.

Fiona non mi ha più cercato e io non ho idea di come comportarmi. Dovrei chiederle scusa? O forse dovrebbe essere lei a farlo? D'altro canto, io non ho fatto niente di male. Le ho detto che mi manca e che la vorrei con me, e lei mi ha chiesto tempo e spazio.

Dannazione!

Mi impongo di respirare dal naso e di spostare la mia attenzione altrove.

«È bello essere tornato», dico prima di stringere la mano a mio padre.

«Sei da solo?», mi chiede proprio papà e il suo tono di voce non riesce a celare un velo di sorpresa.

Ci accomodiamo sul divano mentre Nathan va a giocare sul tappeto, dove vi sono sparsi un'infinità di giochi.

«Con chi dovrei essere?» Mando giù con fatica un rivolo di saliva e sento lo stomaco sottosopra. Non voglio più pensarla in modo così ossessivo, ma a quanto pare non riesco a farne a meno.

«Lo sapevo che Tabatha avesse preso un abbaglio. Figurati se uno come ti possa perdere la testa per una contadina», esordisce Gwen, fermandosi dietro al divano e scompigliandomi i capelli con la mano libera. Il braccio destro è ingessato in una posa scomoda, piegato sul petto.

«Anche per me è bello vederti. Specie se sei ancora intera», le butto un'occhiata di rimprovero.

Lei sollevo gli occhi al cielo. «È solo un graffio, santo cielo!»

«Che poteva essere sul cuore».

«Indossavo il giubbotto antiproiettile, genio», replica prontamente. «E non cambiare argomento! È vero che hai frequentato quella sempliciotta?»

«La conosci?», le chiedo in modo brusco. Quasi non mi rendo conto, ma le mie mani si chiudono a pugno.

Gwen inarca un sopracciglio, poi scoppia a ridere come la stronza qual è.

«Oh, mio Dio! Tu... con lei... sul serio?!» Fa una smorfia, come se avesse appena assaggiato un frutto particolarmente aspro, mentre fa il giro del divano.

«Fatela finita!», ci esorta papà, come quando eravamo più piccoli e lei trovava quel motivo o quell'altro per infastidirmi e io escogitavo i metodi più barbari per vendicarmi.

Mio cognato ci guarda con un sorrisetto divertito dipinto sul volto mentre io sento di averne già abbastanza di tutti loro.

«Quindi è vero», commenta anche Colin. «Tabatha ce l'aveva detto, ma io ero certo che fosse una storiella e via, giusto per passare l'estate. Devo venti dollari a Tracy».

«Avete scommesso sulla mia storia con Fiona?» Sono allibito.

«Sei sempre stato allergico alle relazioni. Pensavo di vincere facile», fa spallucce.

«Se è l'amore della tua vita, perché non l'hai portata con te? Scommetto che non vede l'ora di mettere le mani sui tuoi soldi. Scusa, volevo dire: che non vede l'ora di conoscere la tua famiglia». Gwen torna all'attacco e io scoppio come una molotov.

«La conosci?», ripeto balzando in piedi.

«Potrei aver visto qualche foto...», risponde in modo annoiato.

«Però non sai un cazzo di lei. Chiamala ancora in quel modo e...»

«Rilassati, per dio! Non volevo farti innervosire in quel modo», si scusa ma è più falsa di una banconota di quindici dollari.

La conosco, se ha detto quelle cose è perché le pensa veramente. E la situazione mi ferisce perché, anche se mi ha chiesto tempo e spazio ed è sparita di nuovo nel nulla, vorrei che Fiona piacesse a tutta la mia famiglia.

«Vado a prendere una boccata d'aria», dico dopodiché esco dalla stanza prima che scopi un vero e proprio litigio tra me e lei.

Attraverso il salone principale e, invece che uscire fuori, mi incammino verso la stanza che mi ha visto crescere finché non mi sono iscritto all'università. Apro la porta; è rimasto tutto uguale a come quando ero ancora adolescente: le mura dipinte di giallo e verde, il letto matrimoniale in mezzo alla stanza, una grossa libreria che sfiora il soffitto, la scrivania sopra il quale giace ancora il mio guanto usurato, i trofei che ho vinto grazie al baseball disposti su varie mensole, la parete dietro al letto tappezzata con i poster che ritraggono alcuni giocatori che hanno fatto la storia di questo sport.

Ai piedi del letto c'è anche una cassapanca che non vedevo da secoli e che un tempo conteneva alcuni dei miei vecchi giochi. Mi avvicino e mi inginocchio davanti. Mi tolgo la giacca e la abbandono sul pavimento, dopodiché sollevo il coperchio. Noto con un sorriso che all'interno ci sono ancora i miei giocattoli. Tiro fuori una grande macchina telecomandata e faccio strisciare le ruote sul pavimento lindo.

«Brum, brum», sussurro nostalgico guardando la macchina che va avanti e indietro.

Dopo un po' tiro fuori anche un orsacchiotto con la zampa scucita, vari supereroi, altre macchine, soldatini, poi la vedo: la mia polaroid.

«E tu? Lavorare a fianco di tuo padre è sempre stato il tuo sogno?»

«Non ho mai sognato di diventare qualcuno di diverso da ciò che sono oggi»

«Impossibile! Tutti i bambini hanno un sogno nel cassetto».

«Be', io non l'ho mai avuto. Fin da piccolo ho saputo che il mio posto sarebbe stato nell'azienda di papà».

«Trovo tutto ciò un po'... triste, ecco».

Un ingombrante peso mi schiaccia lo stomaco e, ancora una volta, sento quella fottuta mano serrarsi intorno al mio collo. I pensieri non mi danno pace così come la mancanza di Fiona.

«Sapevo che ti avrei trovato qui».

A parlare è Tracy. Avanza nella stanza e si siede accanto a me. Mi guarda con tenerezza, come se già sapesse cosa mi sta tormentando. Mi si lancia addosso e mi abbraccia forte, i suoi capelli scuri e ondulati mi solleticano la faccia.

«Bentornato a casa, piccolino», sussurra lasciandomi una dolce carezza sul volto.

Sorrido lievemente, la corda invisibile attorno al mio collo allieta la sua presa.

Sono molto più alto e robusto di lei, ma Tracy si ostenta a chiamarmi ancora "piccolino". Quando ero un ragazzino mi dava fastidio perché lo faceva anche davanti ai miei amici, ma adesso trovo amorevole il suo appellativo.

«Te la ricordi?», le sventolo davanti la polaroid. È vecchia e scarica, dubito funzioni ancora.

Tracy alza gli occhi azzurri al cielo. «Come potrei non ricordarla? Mi hai costretta a farti da modella per mesi», ridacchia.

Sospiro per la millesima volta. «Ti è mai capitato di sentirti come una specie di robot?» Appoggio la schiena contro il letto e sollevo le ginocchia, mi rigiro la polaroid tra le mani.

Lei imita la mia postura e prende tra le mani l'orsacchiotto malandato. «No, perché ho sempre fatto solo quello che desideravo fare. Perché questa domanda?»

Alzo una spalla, lo sguardo puntato ancora sulla polaroid. «Pensavo di essere felice, che la mia vita fosse uno spasso, ma ora che sono tornato, non so... Lavorare nell'azienda di papà non è mai stato il mio sogno e l'idea di tornare a chiudermi di nuovo in ufficio mi spaventa».

Non la guardo, ma sento che mia sorella sta sorridendo. «Ti sei innamorato?»

«Cosa c'entra?», la guardo furioso, anche se non se lo merita.

«Non è il lavoro in ufficio a spaventarti, ma vivere la tua vita senza di lei», mi osserva come dolcezza.

Ha colto perfettamente il succo delle mie paure, ma non glielo dico.

«Perché non le hai chiesto di seguirti? Tabatha ci ha detto che è una ragazza in gamba, avrebbe più opportunità in una città come questa».

Scuoto la testa. «Le ho proposto di raggiungermi e lei mi ha chiesto tempo e spazio», confesso amaramente.

«Dannazione, Gabe! Non posso vederti così sofferente!», sbotta Tracy e quasi trasalisco. «Sei Gabe Coldwell, uno degli scapoli più ambiti di New York! Sei forte, intelligente, bellissimo e determinato. Non lasciare che le sue parole ti buttino giù in questo modo. Piuttosto agisci di pancia e fai, per una maledetta volta, quello che vuoi davvero!»

La guardo con gli occhi spalancati. Non ricordo l'ultima volta in cui l'ho sentita parlare in modo così grintoso. Di solito è molto attenta a come si rivolge e a come si comporta dal momento che Nathan la sta imitando in tutto e per tutto.

«Io... voglio lei», ammetto semplicemente, rilasciando l'ennesimo sospiro.

«Allora muovi il culo e vai a prenderla!»

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