Nella vecchia fattoria, ia ia...

By AndreeaMBlioju

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Gabe Coldwell, uno degli scapoli più ambiti di New York, ha trascorso una nottata particolare per il suo tren... More

Trama e personaggi
1 Gabe
2 Fiona
3 Gabe
4 Fiona
5 Gabe
6 Gabe
7 Fiona
8 Gabe
9 Fiona
11 Gabe
12 Gabe
13 Fiona
14 Fiona
15 Gabe
16 Fiona
17 Fiona
18 Fiona
19 Fiona
20 Gabe parte 1
20 Gabe parte 2
21 Fiona
22 Fiona
23 Gabe
24 Gabe
25 Fiona
26 Fiona
27 Gabe
28 Gabe
29 Fiona
30 Fiona
31 Gabe
32 Gabe
33 Gabe
34 Fiona
35 Gabe
36 Fiona
37 Fiona
38 Fiona
39 Fiona
40 Gabe
41 Gabe

10 Gabe

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By AndreeaMBlioju

Capitolo 10

Gabe

I miei testicoli sono in ottima forma, nonostante la forte botta presa all'altezza dell'inguine, me l'ha confermato la farmacista del paese, una signora di mezz'età.

Ex dottoressa che, stufa della vita in città, ha ben pensato di ritornare nel suo paese natale e aprire una struttura destinata alla vendita dei medicinali. Non male come idea dato che è anche l'unica farmacia presente nei dintorni. È andata da poco via dalla cascina, dopo avermi fatto un fin troppo appurato controllo e avermi consigliato, per la "felicità" di Fiona, di restare a riposo per oggi e di tenermi lontano dalle mucche.

Approfittando della pausa momentanea, zoppico verso il palo della luce e chiamo Liam, usando il telefono preistorico regalatomi da Fiona. Almeno ho potuto introdurre la mia vecchia SIM card e accedere ai miei contatti. Il mio migliore amico mi richiama dopo che ho lasciato squillare a lungo il telefono.

«Finalmente!», esordisco.

«Ciao», dice Liam e sembra più abbattuto di me.

«A te cosa è capitato?», passo direttamente al dunque.

Non abbiamo avuto modo di parlare di persona, mio padre mi ha colto alla sprovvista con la sua decisione e non ho potuto salutarlo poiché era fuori New York nel momento in cui sono stato costretto ad abbandonare tutta la mia vita, quindi non so esattamente cosa gli sia capitato in seguito all'esplosione della bomba sul mio compleanno. So solo che il suo nome era accanto al mio sui notiziari. Tutti sono a conoscenza del fatto che sia stato lui ad avermi organizzato la festa e sono certo che suo padre, questa volta, non gliela farà passare liscia.

«Lavoro socialmente utile. Sto lavorando fianco a fianco con i carcerati, Santo Dio!»

«Merda!», faccio una smorfia. «Vuoi fare cambio con me? Oggi una mucca mi ha tirato un calcio nelle palle». Nel frattempo, allungo una mano e raccolgo un paio di ciliegie che lancio in bocca. Red si alza sulle zampe e inizia a scodinzolare, probabilmente in attesa che gli dia qualcosa da mangiare.

«Oh, cazzo!», ride Liam dall'altra parte della linea. «Spero nulla di grave. So quanto ci tieni ai tuoi "gioielli"», continua a ridere.

Ignoro Red anche perché non posso dargli le ciliegie e mi sposto in tal modo da farlo staccare da me.

«Sono in ottima forma, il calcio mi ha soltanto sfiorato uno dei testicoli, ma ha fatto lo stesso un male infernale. In compenso, ho un grosso ematoma all'inguine», spiego ammonendo con un'occhiata quel testone di un cane che deve fare il bravo.

«Bene. Ora che abbiamo appurato che le tue palle sono in ottimo stato, per il resto cosa mi racconti? Come te la passi? Hai incontrato qualche bella figa contadina?»

«Può darsi...», rispondo rammentando con una smorfia la pantera di ieri sera, la proprietaria del bar in cui Seth mi ha portato. Non appena l'ho vista ho subito capito che ci sarebbe stata e dopo due drink mi ha invitato a raggiungerla nel magazzino. Purtroppo siamo stati interrotti sul più bello da uno dei suoi dipendenti e l'unico ricordo che ho di lei sono i graffi sulla schiena e il rossetto stravagante sulla camicia.

«Sei pessimo», ridacchia.

«Mai quanto te», replico facendolo ridere ancora di più.

Abbiamo frequentato l'università di Princeton insieme, io e lui.

Compagni di stanza e della squadra di baseball - io (lanciatore) giocavo per hobby, lui (battitore) perché voleva farlo diventare una professione - avevamo ovunque un alveare di donne intorno.

Siamo sempre stati delle vere teste di cazzo perché noi volevamo tutte e nessuna in particolare. Finché Liam non ha incontrato Kyla. Anche lei, come noi, era una studentessa dell'ultimo anno, ma era sempre passata inosservata ai nostri occhi.

Timida e goffa, era andata in infermeria proprio perché era caduta dopo aver inciampato in solo Dio sa cosa e finita lunga sul marciapiedi, ferendosi a un braccio. Liam si trovava lì per un infortunio alla caviglia.

Hanno dovuto aspettare insieme per un po' nella sala d'attesa e, chiacchierando, si sono resi conto di quanto li piacessero stare insieme. Più che altro Liam se n'era accorto poiché in seguito abbiamo scoperto che erano anni che Kyla nutriva una cotta per lui.

Erano una bella coppia, quei due. Lei mora con gli occhi azzurri, lui biondo con gli occhi color ghiaccio. La loro intesa era unica e speciale.

Non hanno funzionato e non perché non si amassino.

Ve l'ho detto che Liam Smith è una testa di cazzo, no?

Stava per firmare un contratto con gli Yankees, mancava poco alla laurea e alla realizzazione del suo sogno più grande, ma le cose sono precipitate dopo che la nostra squadra è stata dichiarata come vincente del campionato.

Sono seguiti giorni di delirio, tutti stravedevano per noi e ci consideravano dei fottuti dèi poiché l'evento non si ripeteva da troppi anni.

Durante una delle sere dei festeggiamenti Liam aveva bevuto tantissimo e aveva fumato dell'erba. Era fuori di sé tanto che, rammento bene, stentavo a riconoscerlo persino io.

Ha tradito Kyla. Quel grandissimo bastardo era andato a letto con un'altra e Kyla lo aveva visto con i suoi occhi. Non c'era spazio per alcun fraintendimento. Ero alticcio anche io, ma ricordo di averla vista scappare via in lacrime, lontana da quel ragazzo che le aveva appena spezzato il cuore.

Quella stessa notte, nella fretta di raggiungere la sua fidanzata e farsi perdonare, Liam ha avuto la grandiosa idea di mettersi ubriaco alla guida della sua macchina, nonostante io e altri nostri amici abbiamo fatto l'impossibile per dissuaderlo. Ha avuto un incidente in cui è rimasto gravemente ferito. Ha perso tutto: la donna che amava e la possibilità di entrare nella MLB.

Le ferite del corpo si sono rimarginate dopo un paio di mesi, quelli del cuore sono certo che tutt'oggi stiano sanguinando.

Quando si è rimesso sui propri piedi ha provato a contattare Kyla che non gli ha mai risposto. In seguito, Liam, incazzato e col cuore a pezzi, ha deciso di andare via dagli Stati Uniti per girare il mondo e ritrovare se stesso.

Suo padre, a capo di uno studio legale prestigioso, non ha preso bene la notizia perché voleva che il suo unico figlio diventasse un avvocato rispettabile e di successo come lui, ma poi si è arreso alla volontà di Liam.

L'anno scorso è tornato a casa dopo anni di vagabondaggio in giro per l'Asia. A ventinove anni ha ripreso a studiare ed è riuscito a laurearsi. Ora fa il tirocinio nello studio di suo padre e non ha intenzione di fare mai più sul serio con una ragazza.

Ha sbagliato tanto nei confronti di Kyla e lo sa. Non vuole più ferire né essere ferito per cui pensa di restare single e godersi la vita per il resto della sua esistenza.

Da quando è tornato non mi ha più parlato di lei. Tuttavia, io lo conosco e so che non è mai riuscito a dimenticare Kyla che, nel frattempo, si è sposata con un altro.

Restiamo al telefono per altri venti minuti prima che Liam mi dica che lo stanno chiamando per tornare a pulire il Central Park. Chiudo dopo averlo salutato chiamandolo spazzino. Lui mi mi manda un messaggio dandomi del campagnolo. Gli rifilo un dito medio, poi rispondo ai messaggi sulla chat di gruppo che condivido con le mie sorelle. Ho mandato loro una foto con me sofferente e con il ghiaccio posato sulla mia patta e loro si sono subito preoccupate.

A scrivermi di rimando è solamente Tracy, la maggiore, che si dimostra felice nello scoprire che sto meglio. Mi manda una foto di suo figlio, il mio nipotino di tre anni, un piccolo tornado che le ha messo la casa sotto sopra. I giochi sono sparsi ovunque, noto una sedia girata al contrario e sul tavolo ci sono resti di cibo. Le invio le emoji delle scimmiette che si coprono gli occhi, dopodiché oscuro il display lasciando andare un lungo sospiro. Anche se il più delle volte è un rompipalle, la verità è che Nathan mi manca più di quanto avrei mai immaginato.

«Vieni, bello, andiamo!», ordino a Red, che, arrendendosi al fatto che non riceverà nulla da mangiare, si è seduto sull'erba, accanto all'albero.

Lui mi raggiunge e posa le zampe sulle mie ginocchia.

Sbuffo davanti ai suoi occhi grandi. «Ok, ma sarà la prima e l'ultima volta, intesi?» Lo prendo in braccio e lui mi lascia una lunga leccata sul volto. «No, non farlo, che schifo! Fa' il bravo sennò ti metto giù», minaccio e lui sembra aver colto il messaggio dal momento che posa il capo sulla mia spalla e si fa portare come se fosse un bambino.

Dall'altra parte vedo Fiona che trasporta del fieno dietro la fattoria con una carriola che è quasi più grande di lei. Le mucche sono al pascolo e non correrei alcun rischio nel dirigermi verso di lei, ma mi trattengo e vado verso la cascina.

Le è piaciuto avermi addosso stamattina, l'ho capito dal modo in cui ansimava e si muoveva sotto di me. E, dannazione, è piaciuto anche a me!

Non voglio scoprire se la mia sia stata soltanto una casualità o se al mio corpo piaccia il modo in cui il suo si modella al mio. Non importa se le mie orecchie siano ancora colme del suono dei suoi versi soffocati. Non posso permettermi di sentirmi attratto da lei - cazzo, non è neanche il mio tipo! - perché non voglio complicazioni durante la mia permanenza a Greenlung.

Fiona resta lontana per il resto della giornata, tempo che ho impiegato stando a letto e cercando di convincere mio padre a farmi tornare a casa. Risultato? Non solo non mi ha risposto, ma non ha neanche visualizzato i miei messaggi. Sono suo figlio, cazzo, ma forse se lo è dimenticato visto il modo in cui mi tratta!

Per ora di cena sono un fascio di nervi. Fiona continua a ignorarmi e fa bene; Seth chiacchiera con Mary Lo mentre Ciuchino guarda con interesse un'altra orrenda telenovela.

Finisco di mangiare una bistecca alla brace con dell'ottima insalata verde, poi afferro una mela ed esco fuori. Ho bisogno di far immagazzinare ai miei polmoni un po' d'aria fresca, stare tutto il giorno in casa mi ha rimbambito.

Red mi segue a ruota, dopo aver cenato con dei croccantini e la carne che gli ho passato di nascosto sotto al tavolo. Va a fare i suoi bisogni mentre io mi accomodo sull'imbottitura a fiori della panchina a dondolo posta sotto al porticato.

Inizio a oscillare dolcemente, intanto finisco la mela. Quando Red mi raggiunge mi guarda con tanto d'occhi che, infine, cedo al suo sguardo e lo metto seduto accanto a me. Maledetto cane! Adagia le zampe e la testa nel mio grembo e io lo accarezzo mentre la panchina riprende a ondeggiare.

Il cielo si è allargato e sono spuntate le stelle. Una leggera brezza profumata di fiori mi scompiglia i capelli. Chiudo gli occhi e mi rilasso, le mie mani si muovono pigramente sulla schiena di Red.

A un certo punto, quella che sembra una pietra cade dall'alto atterrando sullo sterrato e portandomi a sollevare le palpebre di colpo. Il rumore si ripete un'altra volta e balzo in piedi, a differenza di Red che continua a sonnecchiare indisturbato. Mi avvicino agli scalini e riesco a vedere che quello precipitato al suolo è un pezzo di tegola.

Sollevo il capo e vedo una luce arrivare dalla mansarda. Sulla tettoia si percepiscono dei passi felpati.

«'Fanculo!» Poco tempo e sento la voce di Fiona, seguita da un colpo di tosse. La sua imprecazioni mi strappa un sorriso. Poi vedo i suoi piedi spuntare oltre il cornicione.

Non dovrei farlo ma, senza pensarci più di tanto, entro in casa, dopodiché vado verso la mansarda. Una volta finito di percorrere gli scalini di legno scricchiolanti, mi avvicino al lucernario aperto. Guardo fuori e mi rendo conto che Fiona sta fumando una sigaretta, seduta sul cornicione della tettoia piana e robusta.

«Si può?», chiedo facendola sobbalzare. Per poco la sigaretta non le cade di mano quando solleva la testa e mi vede. La sua agitazione mi ruba un altro sorriso.

Senza attendere una sua risposta mi rannicchio per poter attraversare il lucernario. Ingoio un'imprecazione quando sento una fitta di dolore all'inguine.

«Cosa me lo chiedi a fare se poi fai come ti pare?» Fiona mi fulmina con un'occhiata nel momento in cui allungo le gambe per saltare sulla tettoia.

«Volevo essere cortese». La raggiungo, mi siedo accanto a lei e lascio che anche i miei piedi sfiorino il vuoto. Ci sono alcune tegole abbandonate qua e là intorno a noi, probabilmente sono resti della vecchia tettoia.

«Be', più che cortese sei invadente».

«Cosa ci fai qui, tutta sola?» Ignoro il suo malumore. Non ho voglia di litigare ancora, non a quest'ora.

«Non si vede?», mi mostra la sigaretta ormai bruciata a metà.

«Quando dicevi che ti deve passare il ciclo? Non sopporto più i tuoi sbalzi d'umore», le faccio sapere, premendomi una mano su una tempia, laddove c'è in corso un'emicrania.

«I miei sbalzi d'umore? Guarda che tra i due il più mestruato sembri tu», si volta verso di me e vengo investito da un'ondata al cocco.

«Io non mi preoccupo per te per poi ignorarti per tutto il giorno», sputo il rospo, una realtà che, per qualche strana ragione, non riesco a tollerare.

«Non ti ho ignorato. Ho semplicemente avuto da fare. E poi, il mio compito è quello di metterti a lavorare sodo, non interessarmi di come...», lancia uno sguardo veloce al cavallo dei miei pantaloni, «della tua salute», conclude.

«A volte potresti anche accantonare i compiti che ti sono stati assegnati, non devi eseguirli come un soldatino. Potresti invece trattarmi come se fossi un tuo amico».

«Tu non sei un mio amico», ci tiene a ricordarmi, tornando a guardare il cielo sopra di noi.

«Ma lo potrei diventare».

«Ne dubito fortemente».

«Perché?»

Non mi risponde. Finisce di fumare la sigaretta, la spegne in un piccolo vaso colmo di terra nel quale giacciono altri filtri di sigaretta, poi si stende sulla tettoia con le braccia incrociate dietro la testa e gli occhi fissi sulla coltre celeste tempestata da tanti puntini luminosi.

«Sai che sono la paesana più giovane, nonché l'ultima bambina nata a Greenlung?»

«Davvero?», le chiedo sorpreso, imitando la sua postura.

«Mmm, mmm. Mia madre mi ha partorita proprio lì, nella stalla, mentre vegliava una mucca incinta. Il veterinario che era venuto ad assistere la mucca ha aiutato la mia mamma a darmi alla luce. L'ambulanza è arrivata dopo pochi minuti che sono venuta al mondo», ricorda malinconica.

I nostri gomiti si sfiorano, ma nessuno dei due ci fa caso. Giro la testa per guardarla, il suo profilo è... carino. Ha gli zigomi alti, le ciglia lunghe al naturale e il labbro inferiore è più carnoso di quello superiore, che ha la forma del cuore.

Tolgo in fretta gli occhi da lei e li sposto sulla tela notturna.

Intorno a noi si sentono il muggito di una mucca, il frinire ovattato dei grilli, il fruscio delle foglie degli alberi mosse dolcemente da un leggero venticello, qualche cane che abbaia giù in paese. I suoni sono rilassanti, molto più del rumore bianco che ero solito sentire a casa mia prima di andare a letto, e credo che potrei anche addormentarmi qua fuori. Peccato che di notte la temperatura scenda drasticamente.

«Quando ero più piccola le persone che vivevano qui erano di più. Ora saremmo rimasti in cento, se non di meno», prosegue con una smorfia.

«È un paesello troppo piccolo. Non avete che una specie di farmacia, un bar e un negozio alimentare che vende insieme al pane le mutande del nonno. Non mi stupisco che nessuno voglia stare qui. Sii sincera: a te piace davvero vivere a Greenlung?»

Lei si stringe nelle spalle. «Greenlung è la mia casa, ci sono nata e cresciuta, al suo interno mi sento al sicuro».

«Hai mai pensato di andare via?»

«L'ho già fatto in passato, ma non è andata bene. Non sono fatta per la vita là fuori», indica in avanti, oltre le mura invisibili di Greenlung.

«Non è andata bene a causa tua o per colpa di qualcun altro?», indago.

«Ha importanza?»

«Certo. Perché se non è il tuo benessere il motivo, non dovresti permettere a nessuno di privarti di fare ciò che desideri».

«È successo tanto tempo fa, ormai non importa quasi più».

«C'entra un ragazzo?»

«Gabe Coldwell, sei troppo curioso per i miei gusti, questa sera», ridacchia e scuote la testa.

«Quindi è a causa di un ragazzo che hai rinunciato alla vita là fuori», indico anche io oltre le colline di Greenlung, che non si vedono a causa del buio, ma si percepiscono come delle braccia protettrici che avvolgono il paesino.

Lei non mi risponde, ma dopo un po' si volta di nuovo verso di me.

«A proposito di ragazzo...», risucchia le labbra all'interno della bocca, indecisa se continuare o meno, e io mi ritrovo a fissarle quella parte del volto finché le sue labbra non sono di nuovo ben visibili.

Mi lecco la bocca con la punta della lingua e Fiona dischiude le labbra dalle quali sfugge un piccolo respiro simile a un gemito. Poi si schiarisce la gola e io sbatto le palpebre, destandomi dallo stato di trance in cui la sua dannata bocca mi aveva trascinato.

«A Greenlung ci saranno anche poche persone, ma ci vivono i più grandi pettegoli della storia. Quando sono andata in farmacia per comprare i medicinali a Mary Lo alcune signore mi hanno chiesto se sono incinta e se tu fossi il padre del bambino che sto aspettando. Secondo la loro teoria, ti ho conosciuto a Lansing mentre sono stata ospite di Francisca, la mia migliore amica, e che hai deciso di trasferirti qui per assistere alla gravidanza». Sbotta a ridere non appena finisce il racconto.

Io invece serro di scatto la mascella e divento più teso. Accade sempre quando sento la parola "gravidanza". Nel momento in cui Tracy ha comunicato a tutta la famiglia che sarebbe diventata mamma il bicchiere che avevo tra le mani si è schiantato sul pavimento insieme al mio autocontrollo. Mi sono finto nervoso perché sarei diventato zio, così da non infondere dei sospetti negli altri, ma la verità è che non reggo il peso di quella parola ingombrante.

«Spero tu abbia smentito 'sta cazzata!», ringhio col respiro ansante.

Fiona smette di ridere e mi fissa incerta.

«Certo che l'ho fatto. Rilassati, Gabe, sembra che tu stia per avere un crollo di nervi».

Mi alzo a sedere e mi passo una mano tra i capelli. Chiudo gli occhi per un momento e inspiro una boccata d'aria.

«Posso?», indico il suo pacchetto di sigarette.

Fiona lo prende e mi porge un cilindro cancerogeno che non intossicava i miei polmoni dai tempi delle superiori. La accendo e ingoio un colpo di tosse.

«Ho detto a tutti che non è vero. E poi, non ho neanche un accenno di pancia, prima o poi capiranno che la loro fantasia ha preso il sopravvento».

«Scusa, è che quando sento parlare di gravidanze e cazzate varie vado fuori di testa».

«Cazzate varie?!»

«Andiamo, hai capito cosa voglio dire», la guardo di sbieco mentre faccio un altro tiro di sigaretta.

«Non ti piacerebbe avere dei figli, un giorno?», chiede in modo pacato.

«No!», taglio corto, rabbrividendo al solo pensiero.

«Io sì. Ne vorrei avere tre. Un maschio e una coppia di gemelline che scorrazzano in giro per la fattoria».

«Certo che nemmeno a te la fantasia non manca. E con chi vorresti metterli al mondo? Con Seth?»

«Oh, mio Dio, Seth è mio fratello! Come ti viene in mente?»

Evito di alzare gli occhi al cielo. «Non lo è e lo sanno anche le galline che ha una cotta per te», le faccio notare.

«Hai preso un grosso abbaglio. Seth non ha una cotta per me così come io non potrei mai provare qualcosa di diverso per lui oltre il bene che vorrei a un fratello», insiste.

«Bah, se lo dici tu... Quindi sei figlia unica?»

«Già».

«Dove sono i tuoi genitori?» La domanda è uscita per conto suo dalla mia bocca, ma presto mi rendo conto di essere curioso di scoprire la verità.

Spengo la sigaretta e mi sdraio di nuovo accanto a lei.

Fiona resta in silenzio per un po' prima di rispondermi.

«Sono morti durante l'uragano che undici anni fa ha messo in ginocchio diversi Stati del Mid-West», confessa con lo sguardo che è tornato a puntare le stelle. «La nostra casa era giù in paese. Io mi trovavo qui, da Mary Lo, che mi ha subito portata nella sua cantina anti uragano non appena è stata data l'allerta. I miei genitori invece sono andati a casa per cercare di mettere in salvo quei pochi averi che avevamo. Mi hanno promesso che sarebbero stati più veloci dell'uragano, ma non è andata così», si stringe nelle spalle. Con la coda dell'occhio vedo che si volta di nuovo verso di me e lo faccio anche io. I suoi occhi, di solito scintillanti e vivaci, ora sono dannatamente tristi. «Bastava solo che fossero restati con me e ora sarebbero ancora qui», aggiunge mentre una lacrima si fa spazio sul suo viso.

«Mi dispiace». E sono dannatamente sincero. I miei pensieri di dissipano nel nulla davanti alla sua sofferenza e vorrei allungare una mano per portarle via il gocciolone d'acqua, ma resto fermo e torno a fissare il cielo. Non spetta a me consolarla.

Ricordo di aver sentito delle notizie in televisione riguardanti l'uragano del quale sta parlando. È stato terribile. Più di trecento morti, altrettanti feriti e tanti dispersi. Ettari di campi agricoli rovinati, migliaia di animali morti. Un duro colpo per tutti i Paesi che sono stati coinvolti.

«Come mai la fattoria non ne porta i segni?», tento di sviare l'argomento.

«Per qualche misterioso motivo l'uragano non l'ha nemmeno sfiorata», confessa. «È passato solo giù in paese, risparmiandola», dichiara passandosi velocemente il dorso della mano sulla faccia.

La sua angoscia mi fa sentire un nodo ingombrante sulla bocca dello stomaco.

«Quanti anni avevi?», continuo.

«Quattordici».

«Quindi ora ne hai venticinque?»

«Wow, sei un genio in matematica!», replica sarcastica. Almeno ha ritrovato il sorriso e mi piace di più vederla in questa veste anziché sofferente.

È rimasta da sola quando era solo una bambina, ma ha trovato la forza di andare avanti ed è diventata una brava persona. Perché lo è nonostante con me, il più delle volte, si comporta come una stronza. La colpa è anche mia dal momento che non l'ho mai trattata con i guanti bianchi.

Fiona non ha alcuna colpa per ciò che mi è successo, ma mi viene più facile scaricare i nervi su di lei. È qui, in carne e ossa e, nonostante sia minuscola accanto a me, incassa i miei colpi alla grande. Litigare con lei è confortevole in un certo senso, mi fa dimenticare per un attimo la situazione che mi circonda.

«Già, i numeri sono il mio forte», inarco anche io un angolo della bocca, avvertendo una strana cosa svolazzare nel mio stomaco. È come se un esercito di farfalle abbia preso il volo all'unisono. «Grazie per esserti confidata con me».

Lei mi rivolge un piccolo sorriso, poi torna a guardare il cielo.

Restiamo così, l'uno accanto all'altra, sdraiati sulla tettoia, avvolti dalla notte, con le nostre braccia che si sfiorano e gli occhi puntati sulle stelle. Avrei altre domande da porgerle, ma decido di restare in silenzio e godermi questo momento che sa di pace insieme a lei.

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