Nella vecchia fattoria, ia ia...

By AndreeaMBlioju

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Gabe Coldwell, uno degli scapoli più ambiti di New York, ha trascorso una nottata particolare per il suo tren... More

Trama e personaggi
1 Gabe
2 Fiona
3 Gabe
5 Gabe
6 Gabe
7 Fiona
8 Gabe
9 Fiona
10 Gabe
11 Gabe
12 Gabe
13 Fiona
14 Fiona
15 Gabe
16 Fiona
17 Fiona
18 Fiona
19 Fiona
20 Gabe parte 1
20 Gabe parte 2
21 Fiona
22 Fiona
23 Gabe
24 Gabe
25 Fiona
26 Fiona
27 Gabe
28 Gabe
29 Fiona
30 Fiona
31 Gabe
32 Gabe
33 Gabe
34 Fiona
35 Gabe
36 Fiona
37 Fiona
38 Fiona
39 Fiona
40 Gabe
41 Gabe

4 Fiona

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By AndreeaMBlioju

Capitolo 4

Fiona

Ho finito di cenare prima degli altri e mi sono concessa un bel bagno caldo nella vasca che si trova al piano di sotto, nel bagno annesso alla mia camera da letto, dove l'acqua c'è a volontà.

Se farà il bravo forse dirò a Gabe che la stanza in cui deve soggiornare non è la mansarda e gli cederò anche la mia vasca.

Vado a togliere le candele profumate che ho sparso in giro per la stanza che gli spetta per non fargli capire quanto mi sia impegnata a renderla confortevole e ospitale; poi, come promesso, gli porto il mio telefono, in mansarda.

La scala è già tirata giù quindi avviso il mio arrivo chiamando il suo nome, poi inizio a salire i gradini.

Lui non mi risponde, ma io avanzo lo stesso. Lo trovo a dormire sul materasso impolverato privo di lenzuola. I raggi di luna attraversano il lucernario, cadendogli addosso. La sua espressione, nonostante tutto, è serena, ora, e non ha più quel cipiglio che gli indurisce il viso. Le ciglia lunghe sfiorano gli zigomi armonici e ben delineati, le labbra carnose sono dischiuse permettendo al fiato caldo di disperdersi nel nulla. Il suo petto nudo va su e giù lentamente e io, ancora una volta, mi perdo a osservare rapita il suo corpo che ha diversi tatuaggi sparsi qua e là.

Mi ha ferita, prima, quando mi ha detto chiaramente che non si farebbe toccare da me, ma ho fatto finta di niente. Gli faccio così schifo? Avrei voluto sfiorarlo, curiosa di scoprire che effetto avrebbe avuto la sua pelle sotto il tocco delle mie dita.

Sospiro e mi siedo per terra, a poca distanza da lui, con le gambe incrociate e il telefono stretto tra le mani.

È strano averlo qui, in carne e ossa, dopo aver fantasticato per giorni sul suo arrivo. Il suo aspetto mi ha affascinata dal primo istante in cui ho trovato la sua prima immagine che gira in Internet e ha tormentato per tante notti i miei sogni, fomentando in me la voglia di conoscerlo.

Scuoto la testa; sono una stupida perché dovrei sapere meglio di chiunque altro che quelli come lui sono in grado di procurare delle cicatrici invisibili che mettono radici profonde dentro l'anima e fanno sentire inadeguate e indesiderate.

Gabe apre gli occhi all'improvviso e caccia via un ringhio rumoroso non appena si accorge di me. Di rimbalzo, strillo anche io perché presa alla sprovvista.

«Cosa diamine stavi facendo?», mi sgrida alzandosi a sedere.

Ti stavo spiando.

«Ti ho portato il telefono», dico invece, porgendoglielo.

«Mi stavi spiando?» Dà voce ai miei pensieri.

Sono così trasparente per lui?

Gabe afferra il cellulare stando attento a non sfiorarmi nemmeno di striscio e quel senso di inadeguatezza si impossessa di nuovo di me.

Tento di scacciarlo via balzando in piedi con un saltello goffo che mi fa catapultare dritta su Gabe che, impreparato al mio atterraggio, non fa in tempo a impedirmi di finirgli addosso. Cadiamo entrambi sul materasso, con me sopra di lui, in una posa poco ortodossa. La mia testa sbatte contro la sua, strappandogli un altro ringhio furioso.

Le mie mani sono finite sul suo petto liscio e ne approfitto per tastare la sua pelle: è esattamente come immaginavo, morbida e profumata.

«Togliti!» Con le mani salde sui miei fianchi mi allontana da lui. «Sei sempre così imbranata o sono io a renderti tale?», tuona fulminandomi con i suoi occhi chiari. «Dove diamine è finito il telefono?», continua a sparare domande senza attendere una mia risposta.

Nonostante la penombra che ci avvolge, riesco a individuare l'oggetto chiamato in causa vicino al materasso e per un istante penso di non farglielo sapere e lasciarlo a impazzire mentre lo cerca, ma il mio buon cuore mi suggerisce diversamente quindi glielo indico.

«È lì», gracchio con la pelle in fiamme. Quel semplice e breve contatto avvenuto tra i nostri corpi mi ha acceso un fuoco dentro, sensazione che non provavo da troppo tempo.

Gabe si impossessa nuovamente del cellulare e mi sorpassa; ancora una volta sta attento a non toccarmi, nonostante lo spazio ristretto.

«Hai chiuso Charlie? Sono libero di circolare senza rischiare di essere aggredito o mi devo procurare una guardia del corpo?», si gira a guardarmi con gli occhi ridotti a due sottilissime lame.

«La finisci di parlarmi in quel modo?», sbotto stufa di assistere alle sue sfuriate. Non ho fatto nulla per meritarmele. «Non è colpa mia se sei finito qui!», mi sbraccio.

«Senti, domani mattina andrò via e questa brutta parentesi delle nostre vite diventerà un ricordo. Fin ad allora è meglio se non ci incrociamo più perché mi rendi nervoso. Ti consiglio di starmi alla larga».

«Te ne vai?», sussurro... delusa, forse?

Ma lui sparisce nel nulla senza avermi sentita.

🦃🐴🏡🐕🐄

«Hii-hoo! Hii-hoo! Hii-hoo!»

Come d'abitudine, alle cinque del mattino in punto, il raglio di Ciuchino mi dà il buongiorno.

Sono stanca, non ho quasi chiuso occhio stanotte, agitata all'idea di svegliarmi e non vedere più Gabe.

Temo che se ne sia andato senza salutare nessuno. Ne sarebbe in grado visto che non vede l'ora di sparire dalla circolazione.

Ma forse, da un lato, sarebbe meglio così perché l'agitazione che mi scorre nelle vene quando ce l'ho accanto non è sana, ne sono consapevole.

«Hii-hoo! Hii-hoo! Hii-hoo!»

Stiracchiandomi, scendo giù dal letto e ringrazio mentalmente Ciuchino per avermi destata dai pensieri. Mi aspettano un sacco di cose da fare e non ho tempo per star dietro ai capricci del mio stupido cuore. I lavori da portare avanti in una fattoria sono tanti e Seth mi dà una mano, ma sono io a tenere le cose sotto controllo.

Mi lavo la faccia e i denti, indosso gli indumenti da lavoro, poi esco dalla stanza. Vorrei andare a controllare se Gabe sia ancora qui, ma tengo a bada la curiosità e vado in cucina.

Trasecolo e il cuore mi arriva in gola quando lo trovo seduto intorno al tavolo, con davanti il mio cellulare. Ha le mani tra i capelli e il capo chino. La poca luce paglierina che attraversa il sottile tessuto delle tende non è abbastanza da farmi vedere l'espressione che ha sul volto, ma posso immaginare che sia nervoso dato che la sua postura sembra tutt'altro che rilassata.

Mi ha suggerito di stargli alla larga, ma ignoro il suo consiglio perché devo prendere una rigenerante porzione di caffeina prima di andare a fare alcunché.

Non lo saluto e, facendo finta che non esista, accendo la luce e metto su il caffè. Mary Lo, all'anagrafe Maria Luisa Giordano, è italiana e anche se ha vissuto solo per i primi vent'anni della vita nel suo paese d'origine, certe abitudini non le ha dimenticate e le ha trasmesse anche a me: il caffè va fatto con la moka.

«Me ne faresti uno, per favore?»

La voce afflitta di Gabe mi giunge dalle spalle. Perplessa, mi giro verso di lui. È ancora seduto sulla sedia, nella stessa posizione di prima, ma la sua voce mi ha accarezzata come se mi avesse soffiato sulla pelle.

«Certo», rispondo roteando verso i fornelli e scrollando una spalla per togliermi i brividi di dosso.

«Non me ne andrò», rivela.

Quasi non mi accorgo, ma rilascio un sospiro di sollievo.

«Tuo padre è un tipo tosto. Insomma, non lo conosco di persona, ma mi ha dato questa idea le volte che ci siamo sentiti telefonicamente».

«Ho scelto di restare per...», sospira, «non deluderlo di nuovo», aggiunge a bassa voce. Io l'ho sentito, ma faccio finta di niente. È chiaro che sia un tasto dolente per lui e non voglio ficcare il naso in cose che non mi riguardano. «Abbiamo suggellato un nuovo patto: al posto di tutta l'estate mi toccherà stare qui soltanto per un mese e mezzo. Quindi sotterriamo l'ascia di guerra e proviamo ad andare d'accordo. Non ho voglia di rotture di palle e penso che neanche tu muoia dalla voglia di litigare con me ogni santo minuto».

«Già», dico anche io, stringendomi nelle spalle. In realtà, finché non diventa furioso, è divertente battibeccare con lui.

«Siamo d'accordo?»

Trasalisco quando avverto il calore del suo corpo fondersi col mio: Gabe è proprio alle mie spalle. Mi viene la pelle d'oca, è come se una valanga di brividi mi avesse colpita in pieno.

«Su cosa?», mi giro verso di lui e mi ritrovo a fissare il suo petto. «Quanto cavolo sei alto? Dovrai farmi dei massaggi per migliorare la condizione della mia cervicale che chiede pietà ogni volta che sollevo la testa per guardarti», tento di buttarla sul ridere per non fargli capire ciò che la sua vicinanza è in grado di provocarmi.

«Sul fatto di ripartire da capo e smetterla di litigare sempre», dice ignorando la questione dei massaggi.

Ed è un peccato perché credo che sarebbe bravo a farli. Ha delle belle mani lunghe, dalle dita affusolate e unghie ben curate. Un'ondata di calore mi investe mentre le immagino a massaggiarmi la pelle.

«Allora?»

«Allora cosa?» Sbatto le palpebre e riprendo a fissarlo, confusa.

Lui sospira pesantemente, come se tutti i problemi del mondo gravassero sulle sue ampie spalle.

«Ma tu ci sei o ci fai?», mi rimprovera tornando a sedersi intorno al tavolo.

«Ci sono e ci faccio pure», dico nel tentativo di rubargli un sorriso e rovesciando il caffè in due tazzine. «Zucchero?»

«Ti piaccio?» Mi sorprende con una domanda che mi fa andare un rivolo di saliva di traverso. Come farebbe un pesce fuor d'acqua, inizio a boccheggiare in cerca d'aria. Nel farlo la sua tazzina mi scivola via dalle mani, atterrando sul pavimento e sporcando i miei stivali di gomma gialli e lunghi fino al ginocchio e anche una buona parte di pavimento.

«In che», colpo di tosse, «senso?», concludo la domanda con un altro colpo di tosse.

«Vorresti che ti portassi a letto?»

Wow, lui si che è un uomo diretto!

«Cosa?! No! Oh, mio Dio, no! Cosa ti ha spinto a pensare a un simile obbrobrio?», parlo a raffica, inginocchiandomi sul pavimento per cercare di pulire le macchie di caffè. Ma poi mi rendo conto che non posso farle sparire semplicemente con le mani e mi rialzo. Mi muovo per la cucina come una trottola impazzita in cerca di fazzoletti, stando attenta a non incrociare neanche per sbaglio i suoi occhi che percepisco addosso.

«Sei vergine?» Come spesso accade, lui risponde alle mie domande porgendomene un'altra.

Mi blocco a carponi sul pavimento, con i fazzoletti tra le mani.

«Ti sembrano delle domande da fare?», lo trucido con un'occhiata. «Io non oserei mai a chiederti con chi vai a letto. Anche se, stando a vedere il motivo per cui sei stato mandato qui, la risposta dev'essere ancora sulla bocca di tutti».

«Manda nel dimenticatoio quella storia», liquida la questione con un gesto della mano. «È successo una volta sola e sto pagando alla grande le conseguenze, dico bene?» Mi gira intorno, che sono ancora inginocchiata in una posizione poco decorosa, e va a bere il mio caffè. «Quindi, sei vergine?», mi guarda da sopra il bordo della tazzina, appoggiandosi con un fianco al bancone e incrociando le caviglie.

«Gli stivali! Porca trota, gli stivali!», dico dopo aver guardato per un attimo le sue scarpe raffinate che non serviranno a niente nella fattoria. Presa dalla frenesia che provavo per il suo arrivo, mi sono dimenticata di procurargli degli stivali da lavoro.

«Cosa?», fa lui come se avessi parlato in congolese. «Non farlo!», mi ammonisce nel momento in cui sto per mettermi in piedi con un altro saltello. Gabe allunga un braccio verso di me e io, dopo un attimo di tentennamento, afferro la sua mano. La sua presa è decisa mentre mi aiuta ad alzarmi e sta attento a mantenere una distanza di sicurezza tra di noi; poi mi lascia andare come se avessi la peste. «Sei la ragazza più stramba che abbia mai conosciuto», aggiunge.

Io me ne sto davanti al bidone dell'immondizia, con un sorriso sul volto, dopo aver buttato i fazzoletti impregnati di caffè. Il palmo della mia mano è invaso da piacevolissime scosse.

«No, non sono vergine», ammetto seppur con difficoltà visto che non mi fa piacere ricordare "quella storia". «Dovrò prestarti degli stivali di Seth», roteo verso di lui dopo essermi stampata in faccia un'espressione disinteressata. «E grazie per la stramba».

«Non è un'offesa», replica andando a posare la tazzina nel lavabo. «E non metterò delle scarpe usate!», aggiunge inorridito alla sola idea.

«Non mi sono offesa», gli mostro un fugace sorriso. «E sì che le metterai! Dobbiamo darci da fare, a iniziare dalla stalla delle mucche. E la tazzina te la puoi lavare tu».

«Stalla delle mucche?» Ora Gabe Coldwell sembra terrorizzato e la sua espressione mi strappa una risata. Tuttavia, decide di darmi ascolto e sciacqua la tazzina.

«Be', sei stato mandato qui per lavorare e le mucche faranno parte del tuo impiego giornaliero», lo informo.

Lui mi fissa con la mascella serrata per un bel po'. Quando penso che si ribellerà e manderà tutto al diavolo una volta per tutte, Gabe si affloscia nelle spalle e sospira.

«Vado a farmi una doccia», dichiara seccato, spostandosi verso l'uscita.

«Sono certa che le mucche apprezzeranno il tuo bagnoschiuma esotico», rido sotto ai baffi. «Ti aspetto qui e, nel frattempo, mi assicurerò di farti avere le calzature adatte».

«Ti stai divertendo?», sbotta sulla soglia.

«Non me lo permetterei mai», sigillo la bocca per reprimere un'altra risata.

«Be', mi stai mostrando il contrario».

«Suvvia, cosa vuoi che sia? Un mese e mezzo passerà in fretta. Vedrai, alla fine ci divertiremo molto insieme».

«Ne dubito fortemente», ribatte prima di sparire dalla mia visuale.

Già, ne dubito anche io, ma crederci non costa nulla.

Buonanotte🫠♥️

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