Nella vecchia fattoria, ia ia...

By AndreeaMBlioju

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Gabe Coldwell, uno degli scapoli più ambiti di New York, ha trascorso una nottata particolare per il suo tren... More

Trama e personaggi
1 Gabe
2 Fiona
4 Fiona
5 Gabe
6 Gabe
7 Fiona
8 Gabe
9 Fiona
10 Gabe
11 Gabe
12 Gabe
13 Fiona
14 Fiona
15 Gabe
16 Fiona
17 Fiona
18 Fiona
19 Fiona
20 Gabe parte 1
20 Gabe parte 2
21 Fiona
22 Fiona
23 Gabe
24 Gabe
25 Fiona
26 Fiona
27 Gabe
28 Gabe
29 Fiona
30 Fiona
31 Gabe
32 Gabe
33 Gabe
34 Fiona
35 Gabe
36 Fiona
37 Fiona
38 Fiona
39 Fiona
40 Gabe
41 Gabe

3 Gabe

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By AndreeaMBlioju

Buonasera♥️. A giovedì con il prossimo capitolo📖.

Capitolo 3

Gabe

È tutto uno scherzo, non può esserci un'altra spiegazione!

Dove diavolo sono finito? Nella mansarda dei puffi? È una follia, cazzo! Mi sento intrappolato come un elefante in una scatola di fiammiferi.

Capisco che la situazione è reale quando, dopo aver atteso invano il ritorno di Fiona per un lunghissimo quarto d'ora, mi rendo conto che la nana malefica non tornerà.

Dio, quanto mi sta sulle palle! Ci mancava solo lei.

Nel frattempo, ho aperto il lucernario per far entrare l'aria pulita, ho cercato una presa elettrica e messo a caricare il mio telefono. Devo trovare una soluzione che mi consenta di andare via da qui il prima possibile.

Non resisterò a lungo in un paesino sperduto insieme a una svitata che gode nel mandarmi fuori di testa, a un tacchino assassino, a un asino come animale da compagnia e a una signora anziana a cui piace allungare le mani. Devo chiamare mio padre e fargli cambiare idea. Sono pronto a firmare con il proprio sangue che non farò mai più una stronzata che possa mettere a repentaglio il nome della famiglia per il resto della mia vita.

C'è solo un problema: il telefono non prende da nessuna parte e la connessione Internet sembra inesistente.

Inspiro ed espiro un paio di volte, proprio come faceva mia sorella maggiore quando era alla fine della gravidanza, ma ciò non serve a farmi stare meglio.

Nervoso, decido di andarmi a fare una doccia. Magari il profumo del mio bagnoschiuma mi farà tornare il buon umore almeno un po'.

Preso l'occorrente, scendo i gradini di legno che scricchiolano sotto il peso del mio corpo. Manca solo che si rompano e la giornata si concluderebbe alla grande.

Una volta arrivato in bagno, senza alcun incidente indesiderato, per poco non richiudo l'uscio e me ne torno indietro. L'ambiente è angusto, quasi claustrofobico. Non c'è il bidè, il water è privo di coperchio, il lavandino è minuscolo e non sono certo di riuscire a entrarci nel box.

Almeno è pulito. È pur sempre una magra consolazione.

Serrando la mascella, aziono l'acqua e il soffione schizza un po' ovunque, bagnandomi e facendomi incollare i vestiti sporchi addosso.

«Ma porca puttana!», sbotto sistemando la pressione dell'acqua. Mi spoglio, abbandonando i vestiti sul pavimento, come se fossero dei semplici stracci. Prendo il bagnoschiuma, entro nel box e chiudo solo un'anta in quanto l'altra è bloccata. «Dio, dammi la pazienza!» Mi posiziono sotto la pioggia di acqua a malapena tiepida. Tento di regolarla per farla arrivare più calda, ma la temperatura non si alza di un grado. «Fantastico, cazzo!»

Mi insapono e sfrego la mia pelle come se fossi stato a lavorare in miniera. La fragranza a base di cuoio, fresca e speziata, mi penetra nelle narici, inducendomi un po' di calma, proprio come speravo. Chiudo gli occhi e gratto la cute, permettendo alla fantasia di farmi credere che mi trovi nella mia cabina doccia a vapore. Ma il sogno dura poco e svanisce nel nulla insieme al flusso dell'acqua che si ferma all'improvviso. Giro e rigiro il rubinetto in ogni modo possibile, ma nulla da fare: non c'è più acqua.

A peggiorare il mio umore ci sono alcuni colpi che provengono dall'esterno del bagno: qualcuno sta bussando in modo flebile alla porta.

«Mary Lo si chiede se ne hai ancora per molto. La cena è pronta», dice Fiona La Campagnola Nana Malefica dal di là dell'uscio.

Esco dalla doccia con tutta la schiuma ancora addosso, calpesto i miei vestiti e cerco velocemente un asciugamano nel posto in cui mi è stato indicato. Lo trovo e lo leggo intorno ai fianchi prima di spalancare la porta come una furia.

«Ho bisogno d'acqua! Acqua calda!», preciso irritato.

I suoi occhi spalancati all'inverosimile si posano sul mio torace insaponato e non sembrano vogliosi di cambiare traiettoria al più presto.

«Hai sentito cosa ti ho detto?», le schiocco le dita davanti poiché la mia pazienza si è esaurita già da un pezzo.

Lei sbatte le palpebre e si schiarisce la voce.

«Certo, non sono mica sorda. Hai consumato tutta l'acqua del boiler?», chiede aggrottando le sopracciglia folte.

«Sono stato là dentro meno di cinque minuti, dannazione!»

«Qui siamo abituati a lavarci in fretta. Tienilo a mente per la prossima volta. Ora dovrai aspettare un paio d'ore per una nuova doccia», si stringe nelle spalle, assumendo un'espressione di finto dispiacere.

Nel frattempo, i suoi occhi ancora sgranati continuano a saettare dalla mia faccia ai miei addominali scolpiti, frutto di tante ore passate in palestra.

«Non hai mai visto il torace nudo di un uomo prima d'ora?», le chiedo a bruciapelo, facendole capire con un'occhiata che non mi piace per niente il modo in cui mi guarda.

Dubito che abbia colto il messaggio dal momento che ora sta fissando, senza neanche provare a fare finta di non farlo, la V che scompare sotto l'asciugamano che indosso.

«In effetti, no! Come il tuo no, mai visto. Posso toccare?» Torna a guardarmi negli occhi dopo aver indicato i quadratini presenti sulla mia pancia.

«Ma le donne da queste parti hanno tutte le mani lunghe e smaniose di toccare? Va a cercare un uomo su Internet, sono certo che troverai qualcuno con cui rifarti gli occhi. A proposito. C'è un posto nei dintorni dove c'è campo? Devo fare una telefonata urgente!»

Non ho intenzione di restare qui. Entro stasera papà manderà il suo elicottero privato e stanotte tornerò a casa. Quando gli spiegherò la situazione, capirà di aver esagerato con la sua drastica decisione. Metterò la testa a posto anche a New York. Niente più cene da centinaia di migliaia di euro, niente feste sullo yacht, niente serate nei locali più esclusivi, niente di niente. Sono pronto a diventare un prete nel caso servisse a cambiare la mia attuale condizione che, siamo seri, non mi si addice affatto.

«Tranquillo, non ti avrei toccato davvero!», ride come se avesse fatto una battuta. «Dovresti vedere la tua faccia!», continua scuotendo la testa. «Per quanto riguarda la questione del telefono la rete la si riesce a trovare a volte vicino al palo della luce presente nel frutteto. Ora vestiti, la cena è pronta e Mary Lo odia mangiare il cibo freddo!» Fa per andarsene, ma poi ci ripensa. «Sai, qui nei dintorni ci sono parecchie zitelle che hanno le mani lunghe. Fossi in te starei attento a farmi vedere».

Nel pronunciare l'ultima frase si è alzata sulle punte dei piedi per cercare di sussurrarmi nell'orecchio.

Detto ciò, se ne va, sculettando di proposito.

Alzo gli occhi verso le travi del soffitto, poi mi passo le mani sulle braccia per liberarmi dai brividi che la doccia di prima mi ha provocato. Torno nella mansarda, indosso degli abiti puliti, poi esco di casa di soppiatto e vado nella ricerca della rete perduta.

Mary Lo e Fiona parlano in cucina e non si accorgono di me.

Perlustro con lo sguardo l'intera zona nella ricerca del tacchino, ma non c'è traccia di lui. Meglio così. Spero abbia trovato qualche tacchina da tormentare.

Alla mia sinistra, a una cinquantina di metri di distanza, c'è una vecchia fattoria che sembra ben tenuta, nonostante le intemperie; dietro la cascina si estende un frutteto di alberi di ciliegio. Alla mia destra c'è un orticello che contiene diverse verdure. Nel vederle il mio stomaco brontola rumorosamente, ricordandomi che sono parecchie ore che non mangio. Ci penserò dopo al cibo, ora ho questioni più urgenti da sbrigare.

Il sole sta tramontando, rovesciando sul frutteto e sulle colline in lontananza, tinte di diverse tipologie di verde, gli ultimi raggi di luce. Devo ammettere che visto da questa prospettiva il panorama non è niente male. Non sarà la vista su Central Park, ma è... carino. Poi vedo il palo di cui mi parlava Fiona ed è proprio verso di esso che mi dirigo. Guardingo, cammino a passo svelto tra gli alberi che emanano un buon profumo, con il telefono in mano.

La nana malefica aveva ragione, accanto al palo il mio cellulare riesce a intercettare la rete. Come di consuetudine, la prima cosa che faccio è accedere alla posta elettronica. Sul mio account personale è vietato lo spam, ma è strano non avere alcuna mail. Sono abituato ad avere la casella dei messaggi intasata; a quanto pare, mio padre ha fatto in tal modo che la mia "vacanza" non venga disturbata.

Sospiro pesantemente prima di far partire la telefonata indirizzata proprio a lui. Marcio avanti e indietro, con la mano libera a torturare le ciocche di capelli che sono crespe a causa dello shampoo non sciacquato, consumando le suole delle mie scarpe su un metro quadro di terra, ma dopo un po' realizzo che il mio vecchio non risponderà.

«Dannazione!», sbotto tirando una manata a un albero. La corteccia ruvida mi penetra nella pelle, sbucciandola. Impreco a bassa voce; grazie al cielo non c'è traccia di sangue, che mi ha sempre fatto senso.

«Glu, glu, glu!»

La direzione dei miei occhi cambia e lo schifo che provo per il sangue scompare dalla mia testa non appena sento il gloglottio di Charlie che, ancora una volta, mi sta puntando, venendomi incontro come un toro che vede rosso. Se possibile, è ancora più arrabbiato di prima.

Ma ce l'ha con me, quel maledetto?

La prima opzione sarebbe quella di raccogliere un pezzo di legno e cercare di spaventarlo in qualche modo. Forse se mi mostrerò più forte di lui capirà che non dovrà più importunarmi.

La seconda sarebbe quella di arrampicarmi sull'albero.

Scelgo l'ultima opzione quando capisco che non troverò un'arma di difesa. Non c'è neanche un fottuto pezzo di legno per terra!

«Glu, glu, glu!»

Charlie mi sta quasi raggiungendo e io inizio ad arrampicarmi sull'albero, attaccandomi con le mani al ramo più basso, ma robusto. Riesco a salirci sopra prima che Charlie mi becchi la scarpa.

«'Fanculo!», gli dico tra i denti.

Con un sorriso compiaciuto, gli mostro anche il dito medio. Il sorriso scompare dalla mia faccia nel momento in cui mi rendo conto di aver perso il telefono mentre mi mettevo in salvo.

«Vattene via!», parlo al tacchino che continua a mostrarmi la sua orribile coda a ruota. Poi i miei occhi cambiano dimensione quando il dannato pennuto si avvicina al mio aggeggio super tecnologico che è finito tra alcune erbacce.

Mi sembra quasi di vedere la sua soddisfazione mentre mi becca lo schermo del cellulare. Temo che la costosa pellicola protettiva non servirà a nulla in questo caso.

«Ma porca troia!», esclamo disperato. «Lascia stare il mio cellulare!», inizio a scagliargli contro delle ciliegie, ma quello non mi dà retta. Ha una missione da portare a termine: rovinare il mio telefono e la mia esistenza.

«Charlie!»

Sposto gli occhi dal tacchino su Fiona che ci viene incontro a passo blando, come se non avesse alcun problema al mondo. Si capisce che si sta trattenendo dal non farlo, ma la situazione non dura tanto e infine scoppia a ridere di gusto.

«Gli stai proprio antipatico», dice l'ovvio una volta accanto a Charlie che, come un infame, smette di aggredire il mio cellulare, che ormai è diventato spazzatura, e si volta a guardarla.

Lei si rannicchia vicino a lui e le accarezza la testa senza interrompere il nostro contatto visivo. Quello riceve le coccole manco fosse un micio. Maledetto!

«Portalo via e mettilo in un forno, apprezzerò le tue scuse solo in quel caso», parlo dall'albero senza dar cenno di voler scendere al più presto.

«Le mie scuse?», fa lei, sollevandosi in piedi. Incrocia le braccia al petto, sotto i seni abbondanti, e mi guarda con aria di sfida.

«Il tacchino di merda mi ha rotto il telefono!»

«Non credo te l'abbia preso dalla tasca, non è colpa di Charlie se ti è caduto mentre ti stavi arrampicando».

«Hai visto tutto?»

È chiaro che mi stesse spiando e non ha fatto nulla per cercare di aiutarmi.

Lei annuisce con disinvoltura.

Stronza!

«Qui siete tutti matti, cazzo! Ora portami un altro telefono!», le ordino lanciandomi una ciliegia in bocca, seppur non disinfettata.

«Mi hai appena dato un altro ordine?»

«Vuoi che te lo chieda per favore?», replico masticando altre due ciliegie e raccogliendo i noccioli nella mano. Sono dolci, carnose e gustose. Non ricordo di aver mai mangiato delle ciliegie più buone, neanche quelle bio che la mia domestica acquista sempre per me in questo periodo dell'anno.

«Lo apprezzerei», ribatte Fiona.

«Per favore, puoi muovere il culo e portarmi in fretta un telefono?» Altre ciliegie spariscono nel mio stomaco.

Lei scuote la testa. «Così non va bene. Dobbiamo lavorare sul tono. Riprovaci e forse sarai più fortunato».

Sorride, come se la situazione la stesse divertendo oltre misura. A me tutt'altro quindi glielo faccio capire.

«Ti sei messa in testa di rompermi i coglioni?»

«Neh, a quello ci penserà Charlie», indica il pennuto che ha iniziato a cibarsi d'erba.

Speravo che un pezzo di vetro gli si fosse incastrato in gola, ma oltre a essere violento è anche fortunato, il bastardo.

Mi affloscio nelle spalle e lascio cadere i noccioli a terra, arrendendomi. Non ha senso continuare a farle la guerra, ho bisogno che stia dalla mia parte.

«Mi puoi portare un telefono, te lo chiedo per favore», dico con un tono di voce mesto, guardandola da sotto le ciglia.

Fiona smette di sorridere e mi guarda. Qualcosa nei miei occhi deve averla fatta intenerire. Forse riesce a sentire il mio disagio, a farlo suo, perché sul suo volto passa un lampo di tenerezza. Ma la mia certezza scompare nel nulla quando scuote la testa. Il movimento scioglie lo chignon che libera i suoi capelli. Sono rossi tendenti all'arancione, lisci e lunghi fino a metà schiena.

«È l'ora di cena. Appena finito di mangiare ti presterò il mio cellulare. Non ho altro da darti. Ora scendi, vado a chiudere Charlie».

Detto ciò, se ne va, portandosi il pennuto dietro che la segue come un cagnolino, dimenticandosi di me.

Non perdo tempo e salto giù dall'albero, atterrando accanto al mio cellulare. Lo raccolgo e lo guardo: Charlie l'ha messo K.O., facendomi un gran dispetto.

Sospiro, poi torno in casa, non vedendo l'ora di avere tra le mani il telefono di Fiona.

Non appena sorpassata la soglia della cucina noto che intorno al lungo tavolo coperto da una bruttissima tovaglia a quadri, oltre a Mary Lo e a Ciuchino che sta in piedi accanto a lei, c'è anche il tizio che mi ha accompagnato qui.

«Ehilà!», mi saluta con la bocca piena.

Di fronte a lui ha un piatto che contiene quella che sembrerebbe una signora parmigiana e il mio stomaco brontola di nuovo.

«Vieni, caro, la cena è pronta», dice Mary Lo allungando all'asino un pezzo di carota.

«Arrivo», rispondo affranto andando a lavarmi le mani nel lavandino lindo.
Sulle mie nocche ci sono alcune piccole cicatrici biancastre, un presagio di come andrà la mia vita nei prossimi mesi se non andrò via di qui.

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Copertina a cura di @martywattpadiana su Instagram