When the children play

By AlenGarou

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[Vincitore agli Oscar Wattpadiani 2017 come: Miglior Scenografia e Miglior Protagonista Maschile, vincitore W... More

Presentazione SERIA dell'opera
Prologo
1. Cappuccetto Rosso e il branco non richiesto
2. Pennington Mansion
3. A Mad Samhain Party
4. Una chiacchierata tranquilla
5. Good morning little... f*ck
6. Un duetto perfetto
6.2. Porcorosa Fluffoloso
7. Il blasfemo esorcista non collabora
8. Alla ricerca della fata scomparsa (con annessa polvere fatata)
Bonus pt1: L'incontro
Bonus pt2: il tentato omicidio
9. A bullet for everyone in this room
10. Mr. Gilman
11. Re diesis e sol bemolle
12. Io non stuzzico i morti, sono loro che stuzzicano me
In questo piccolo angolo di disagio
13. Con un poco di zucchero la pillola va giù
14. Un prete, un angelo e il bambino di Omen entrano in una chiesa
Do you remember?
C'è posta per il bradipo pt.1 (nella speranza di un seguito)
15. Salvate il soldato Gregory
16. Qualcosa di inevitabilmente scomodo
17. Le idee... quelle pessime
18. Dite "amici" ed entrate
18.5 The Lone Wolf and the Little Bunny
19. Sogno di una notte di Samhain pt.1
Chi non muore si rivede (purtroppo)
19. Sogno di una notte di Samhain pt.2
Why you don't remember?
20. Alexander passione bimbi pt.1
20. Alexander passione bimbi pt.2
21. La casa per bambini normali di Mrs. Pennington
A little gift for you... sorta
Quello che la gente chiama cast, io lo chiamo "una cagata pazzesca"
"Se ci sei batti un colpo!" *E nel mentre sbatté su tutti gli spigoli di casa*
21.2 La casa per bambini quasi normali di Mrs. Pennington
21.3 La casa dei bambini diabolici di Mrs. Pennington pt. 1
21.3 La casa dei bambini diabolici di Mrs. Pennington pt. 2
22.1 Quel Rottweiler della Rottermeier
22.2 Ring around the rosie, a house full a bodies
23. No Spoiler
24. Andiam, andiam, andiamo a farci ammazzar
25. Il volo dello yurei
26. Appuntamento a tre nel seminterrato
28. Curiosity killed the cat
29. Ciao, Sgorbio...
30. Quel capitolo... sì, quello che terrorizza l'autrice
31. L'unica parte da cui stare
32. Non potrebbe andare peggio di così

27. Dahlia Cassidy Reynor

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By AlenGarou



Appoggiandosi allo schienale della sedia, Alex si concesse un lungo e corroborante sospiro.

Le copie delle cartelle provvedute da Gilman erano di pessima qualità e a tratti illeggibili a causa delle sbavature e della troppa esposizione, ma d'altronde non poteva fargliene una colpa data la tecnologia di quei tempi. Anzi, era rimasta stupita dall'intraprendenza dell'uomo. Non solo aveva raccolto il materiale delle indagini e i certificati di morte come pianificato, ma in qualche modo era riuscito a fotocopiare persino le fotografie della scena del crimine e delle autopsie. Foto che in quel momento erano sparse su tutta la superficie della scrivania, confondendosi con i documenti legali e le planimetrie della magione.

E la sua audience sembrava apprezzare quel caos cruento.

Seduto sulle sue ginocchia, George continuava a dondolare le gambe, studiando con attenzione quelle macchie in bianco e nero. Mentre era alle prese con la lettura delle cartelle cliniche, aveva incominciato a indicarle le diverse inquadrature con curiosità e Alex si era limitata a nominare la parte anatomica corrispondente quasi senza distogliere lo sguardo dalle annotazioni. Erano andati avanti per un po', tanto d'attirare l'attenzione degli altri marmocchi. Solo Jasper era rimasto in disparte, nel punto in cui Alex aveva depositato una delle ultime foto di Mrs. Pennington, ovvero il più lontano possibile da lei per non doverlo sopportare.

Non aveva battuto ciglio nel constatare la veridicità dei referti: la tipologia delle ferite combaciava con il modello del fucile prelevato dal capanno, così come l'inclinazione dei fori d'entrata con la dinamica dei fatti; solo quelli rinvenuti su Dorian erano sospetti. Non solo era stato colpito di striscio, riportando la lesione più grave alla spalla, ma non era stato rinvenuto nella sua stanza come gli altri. Ciò le faceva sorgere diverse domande.

Che cosa le suscitava più imprecazioni? Il fatto che mancassero le foto relative al ritrovamento dei corpi dei gemelli o che non avesse proprio rinvenuto la cartella di Dahlia?

L'unica consolazione fu il certificato d'adozione firmato da Mrs. Pennington, ma non le era di alcuna utilità se non per i nomi e le firme impresse.

Alex soppesò con lo sguardo il mosaico di foto e schede che aveva dinnanzi. Nell'angolo più esterno della scrivania, il secondo diario di Mr. Gilman era aperto sull'ultima pagina, privo di risposte soddisfacenti. Era certa che da qualche parte ce ne fosse un terzo, così come del fatto che qualcuno stesse intenzionalmente occultando tutto ciò che riguardasse Dahlia. Lei, la grande incognita. Il nodo che non riusciva ancora a sbrogliare. E ciò stava incominciando a irritarla.

Si sporse in avanti e afferrò la scheda di Gallivan. Si concentrò sull'identikit, rimpiangendo lo stato in cui verteva lo spirito dell'uomo. Una così preziosa fonte d'informazioni del tutto inservibile.

Era ancora assorta nelle sue considerazioni quando un gemito la colse alla sprovvista.

Distolse l'attenzione dal foglio e scoccò un'occhiataccia ad Arthur e Raymond, intenti a punzecchiare Keiran, ancora svenuto sul divanetto nel quale lo aveva gettato senza troppi complimenti. Dopo tutta la fatica che aveva fatto per trascinarlo lì, era già tanto se si fosse premurata di coprirlo con le vecchie lenzuola che rivestivano i mobili per evitare che andasse in ipotermia. Accanto ai fratelli Hawthorne, Samuel stava citando le varie parti del corpo che avevano appena imparato da lei, almeno le sembrava nello scorgere il labiale. Fu allora che Alex si chiese se un fantasma potesse ancora sviluppare dei danni psicologici, ma poi si rese conto che non le importava molto della risposta. D'altronde non era mai troppo tardi per imparare qualcosa di nuovo.

«Smettetela di tormentare il mio babysitter provvisorio. Vi assicuro che non reagirà bene se vi troverà qui al suo risveglio.»

Ellery le rivolse un'occhiata di sufficienza.

«D'altronde la vostra pausa è terminata» continuò, ignorandolo. Ripose il documento sul tavolo, accanto a quello di Dorian. «Per il momento limitatevi a tenere sotto controllo Mark e il corpo di Dakota. Quando le acque si saranno calmate sapete già come procedere. E questa volta non sbagliate.»

I marmocchi si voltarono verso Jasper, aspettando un suo comando. Il ragazzo si limitò a scrollare le spalle, probabilmente stanco di condividere lo stesso spazio vitale. Indicò la porta con un cenno del capo e a uno a uno i mocciosi si defilarono attraverso la parente. D'istinto, Alex scostò la sedia, permettendo a George di scendere con un balzo senza passare attraverso la scrivania. Un'accortezza inutile, ma Jasper sembrò apprezzare quel gesto a giudicare da come rilassò le spalle quando le diede la schiena.

«Jasper?»

Lo vide sussultare, forse sorpreso di sentirle pronunciare il suo nome.

«Se dovessi trovare i gemelli, segnalami i loro spostamenti. In particolare se Dahlia è da sola. Ma non azzardarti ad affrontarli né a coinvolgere gli altri. Ci penso io.»

Rosso Malpelo le rivolse uno sguardo indecifrabile prima di scomparire nella magione. Sapeva che era una richiesta gravosa, ma Alex era conscia che sarebbe stato il primo a braccarli come un segugio se ne avesse avuto l'opportunità. Sebbene fosse una persona pratica, quel pensiero le suscitava un disagio senza nome.

Di nuovo sola, o quasi, Alex decise di occupare il tempo riordinando i documenti, raggruppandoli in pile in base alla loro utilità ed elaborando al contempo la mossa successiva. Non dovette attendere molto prima che Keiran decidesse di farle compagnia e ritornare nell'orribile mondo della veglia. L'irlandese si mosse sotto le coltri, imprecando piano. Poi scattò a sedere colto dal classico risveglio traumatico, pentendosene subito dopo. Si portò le mani alla nuca, gracchiando una serie di contorte frasi in gaelico che suonavano vagamente volgari.

«Ben svegliato» si limitò a salutarlo Alex, senza prestargli le dovute attenzioni.

«Dove... dove siamo? Che cosa è successo?» domandò l'irlandese con voce roca, guardandosi attorno con confusione e impaccio, non riconoscendo l'ambiente circostante. Si tastò di nuovo la zazzera fulva con un gemito, prima di rabbrividire e stringersi ancora di più nelle lenzuola. «Perché ho freddo? Aspetta, forse...»

«Per rispondere alla tua prima domanda» lo interruppe Alex, esaminando senza interesse un documento prima di archiviarlo nella pila designata. «Ci troviamo in uno dei tanti studioli del primo piano. Il mio piccolo rifugio dai mostri e dal QI basso. Benvenuto, fa come se fossi a casa tua.»

Keiran richiuse la bocca. Sbatté le palpebre un paio di volte. «Ma non dovevamo portare le carte nel salotto?»

«Certo, ma credo che il camino abbia sufficiente combustibile per il momento.»

«Sei davvero...» Keiran provò a raggiungerla, ma ricadde di peso sui cuscini, la testa tra le mani.

Alex emise uno sbuffo. «Per quanto riguarda la seconda domanda, ti consiglio di evitare movimenti troppo bruschi: probabilmente hai una commozione celebrale.»

«Ecco perché gira tutto» gemette il ragazzo, la voce soffocata. Inspirò a fondo prima di ritornare a guardarla. Si scostò i capelli umidi dal volto. «Credo di ricordare: eravamo nel seminterrato allagato e qualcosa mi ha trascinato sott'acqua. Mi hai salvato, ma poi il demone ha colpito e...» mugugnò. «Se è in grado di fare così tanti danni a livello fisico sta acquistando troppa energia.»

«Oh, no. Quello non c'entra» lo bloccò Alex, inclinando il capo. Prese il gambo l'abat-jour che illuminava la scrivania e regolò il fascio in modo da ravvivare il resto della stanza, ignorando Keiran che socchiudeva gli occhi per il fastidio. «Hai sbattuto la testa numerose volte mentre ti trascinavo qui. Diciamo quasi a ogni scalino. Per due rampe di scale. Ma tranquillo, ogni tanto controllavo se respiravi ancora.»

Keiran s'irrigidì, scrutandola in silenzio con un'espressione illeggibile. Per un momento Alex pensò si fosse impallato, ma poi l'irlandese socchiuse le labbra, il tono neutro e per nulla sorpreso. «Ah. Molto premuroso da parte tua.»

Accettò quel ringraziamento senza notare il velato sarcasmo. «E ti ho anche coperto dato che eri bagnato fradicio. In realtà la soluzione migliore era toglierti del tutto i vestiti, ma ho preferito lasciarti la biancheria intima per scrupolo.»

Solo allora Keiran diresse lo sguardo su di sé, incendiandosi di varie tonalità vermiglie quando scorse un lembo di pelle pallida e lentigginosa sotto le lenzuola che stringeva. Incominciò a balbettare in preda all'imbarazzo. «Alexander! Dove sono i miei vestiti?»

«Appesi allo schienale, ma dubito siano già asciutti.» Alzò un sopracciglio nel notare il suo panico. E lo alzò ancora di più quando Keiran incespicò nel circumnavigare il divano, inciampando nelle lenzuola e nascondendosi dietro di esso. Udì uno schianto, dopodiché una mano agguantò con un gesto secco gli abiti. Posò il mento sul palmo, scrutando con curiosità il punto in cui l'irlandese era scomparso. «Davvero, non capisco la tua reazione.»

«Mò Alainn, non puoi spogliare le persone senza il loro consenso!» lo udì gracchiare.

Alex aggrottò la fronte, confusa. «Non è vero. Da quello che so succede tutti i giorni. Ren minaccia di farlo ogni volta che sono a portata d'udito. O forse è lui voleva spogliarsi come rituale d'accoppiamento, non ne sono sicura... non gli ho mai prestato attenzione.»

«Beh, non è una cosa positiva! E non dovresti prendere Ren sul serio quando dice certe cose!»

«Permettere alla tua epidermide di non raffreddarsi ulteriormente lo è» mormorò Alex, appuntandosi di non toccare più l'argomento con lui.

Dopo diversi gemiti e imprecazioni, Keiran si rialzò, cercando di ritrovare un minimo di contegno mentre si dirigeva verso di lei. Fece finta di lisciarsi le pieghe degli abiti umidi, ma finì con il rabbrividire e riavvolgersi in uno dei lenzuoli che aveva abbandonato per terra. Alex fece finta di non notarlo.

«Per quanto tempo sono stato svenuto?» le chiese, fermandosi accanto alla scrivania.

Alex strinse le labbra, riportando la sua attenzione sulle pile ordinate che aveva formato. «Uhm... abbastanza da permettermi di fare i compiti, ma non abbastanza per far sì che la tua immobilità fosse preoccupante.» Si sporse in avanti e richiuse il diario di Gilman, riponendolo accanto a lei.

«Mi stupisco che Ren non sia già apparso incazzato nero» borbottò Keiran, massaggiandosi la nuca. Scrutò per qualche istante l'operato di Alex con un'espressione meravigliata e impressionata, ma quando tentò di prendere uno dei documenti per osservarlo meglio, lei lo rimise al suo posto con un'occhiataccia.

«Ho mandato Fievel da loro con un messaggio» spiegò Alex, assestandogli il diario sul dorso della mano che aveva ritratto troppo lentamente. Le parve fuori luogo specificare che si sarebbe spaventato in presenza dei fantasmi e aveva preferito allontanarlo per la sua sicurezza.

Keiran sobbalzò, massaggiandosi il punto colpito. «Ahio! E che diceva il messaggio?»

«"Non veniteci a disturbare. Siamo impegnati in un'importante indagine".»

L'irlandese rimase in silenzio.

«"E date qualcosa da mangiare al topo. Ingrati."»

Ancora silenzio. Poi Keiran emise un colpo di tosse. «Dieci dollari che Ren se l'è presa con il topo e ci sta cercando.»

«Dieci dollari non bastano a pagare il cachet delle pompe funebri, nemmeno le più economiche.»

Con un sospiro stanco, Keiran scosse il capo. Scrutò di sottecchi lo studio e le pareti spoglie nella penombra per poi rabbrividire a disagio, come se percepisse ancora la presenza dei loro fastidiosi inquilini. «Allora, trovata qualche informazione utile? Possiamo tornare dagli altri?»

Alex scrollò le spalle con sufficienza, le dita che sfioravano i documenti. «Sì e no. Ho capito che cosa ci manca. Ma mi servirebbero gli appunti di Sarah per confrontare una cosa. Potresti andarmeli a prendere?» Non intendeva ripetersi per l'ennesima volta, per cui avrebbe aspettato che fossero tutti riuniti prima di esordire con i nuovi sviluppi. Sviluppi che intendeva chiarire al più presto.

Fu in quel momento che Keiran ebbe un attimo di tentennamento. Spostò il peso da un piede all'altro, incerto su come risponderle ma abbastanza imbarazzato da suscitarle un principio d'irritazione per la sua indecisione. «Non credo sia una buona idea. Ren ha detto...»

Dovette sforzarsi di non roteare gli occhi. «Keiran, ho ancora diverse schede da valutare. Tranquillo che non mi muovo di qui se è questo il tuo cruccio. E poi sai che non devi preoccuparti di Fauster. Vuoi venire a capo di questa faccenda o no?»

Non parve convinto. Almeno, non del tutto. Aggrottò così tanto le sopracciglia da farsi comparire una ruga nel mezzo della fronte. «Lo prometti? Non te ne andrai a zonzo?»

Alex posò una mano nel punto in cui doveva esserci il cuore. «Lo giuro su Fievel. Non uscirò da questa stanza.»

L'irlandese rimase a osservarla per qualche istante con un'espressione così dubbiosa che avrebbe potuto offenderla se le fosse importato qualcosa della sua opinione. Ma d'altronde solo uno schiocco si sarebbe fidato di lei senza farsi qualche domanda sulla propria sanità mentale. Ricambiò il suo sguardo finché non cedette. Non ci volle molto.

Keiran alzò le braccia all'aria, sconfitto. «E va bene. Ma se scopro che ne hai approfittato per scappare...»

Come se andarsene in giro da sola fosse la cosa più rischiosa e stupida che potesse fare nella posizione in cui si trovava. «Tranquillo, mi basta Ren come spina nel fianco.» Si fermò a pensare. «E i fantasmi.» Altra pausa. «E Mrs. Pennington. E...»

Presto detto, Keiran recuperò il cellulare e s'incamminò verso la porta con il lenzuolo ancora stretto attorno. «Ho capito, ho capito. Vado e torno. Tu non ti muovere.»

Scomparve oltre la soglia, ma prima di richiudere la porta le scoccò un altro sguardo d'ammonimento. Poi, con molta attenzione e lentezza, richiuse l'uscio senza perderla di vista fino all'ultimo istante.

Alex rimase immobile finché non udì il rumore dei passi affievolirsi lungo il corridoio e iniziò a contare mentalmente fino a dieci. Quando fu certa che non sarebbe tornato indietro a tradimento, si stiracchiò sulla sedia, inarcando la schiena all'indietro e rimanendo in equilibrio precario.

«Pff, idiota.»

Come se la casa avesse intuito le sue intenzioni, la serratura della porta scattò, chiudendola all'interno della stanza.

«Grazie» esclamò a nessuno in particolare. Rimise i piedi per terra e incominciò a ragionare sul da farsi, intrecciando le dita e posando i gomiti sulla scrivania. Una delle parti più ardue del suo piano arrivava in quel momento ed era così piena di variabili e incognite che dubitava in un risultato positivo. Certo, ci aveva già provato, ma era stata interrotta da Ren per cui non aveva avuto modo di appurare se il suo metodo fosse fallace. Ciò però non le impediva di riprovarci in condizioni favorevoli, pianoforte o meno. Aveva un'altra esca.

Dopotutto, quale modo migliore di colmare le lacune di un avvenimento se non chiedendo al diretto interessato?

Si protese verso la borsa, recuperando l'orsacchiotto rappezzato. Da quando Ren glielo aveva consegnato, non l'aveva trattato con il dovuto rispetto e a furia di portarselo appresso alcune cuciture si erano allentate, rivelando l'imbottitura sudicia all'interno. Alex si sentì un po' in colpa, tant'è che provò a rimetterlo in sesto come meglio poteva, lisciando l'esterno con le dita e stringendo i fili per richiudere alla buona i buchi. Alla fine l'animale di pezza le rimase floscio tra le mani, fissandola con occhi vuoti e depressi. Almeno li aveva ancora entrambi.

Trattenendo uno sbuffo, si avvicinò al divano ormai libero. Depose con attenzione il peluche, mettendolo seduto sopra il rivestimento butterato e, una volta soddisfatta, ritornò alla scrivania. Per dare la parvenza di essere impegnata, riprese in mano il diario di Gilman e lo sfogliò dall'inizio, rimanendo in allerta. D'altro canto, l'attizzatoio che aveva nascosto sotto la scrivania non era visibile se non da breve distanza.

Dato che i marmocchi erano in missione e gli idioti al piano sottostante, non c'era alcun impedimento fisico alla loro manifestazione e una parte di lei era consapevole che per tutto quel tempo i gemelli li avevano tenuti d'occhio dall'ombra in cui si erano nascosti. Doveva solo farli uscire allo scoperto. In qualche modo. Ma forse stava solo complicando la faccenda: le sue brevi quanto fastidiose interazioni con i bambini le avevano comunque insegnato qualcosa. Ovvero che la loro imprevedibilità in realtà nascondeva schemi comportamentali piuttosto primitivi. L'importante era farli rivelare senza compromettere la loro spontaneità. Almeno, lo sperava.

I minuti continuarono a trascorrere interminabili, rendendola sempre più impazientita. Quell'invito era fin troppo palese e se non avessero abboccato all'amo avrebbe dovuto inventarsi qualcosa di ben peggiore e sgradevole. Stava giusto iniziando a valutare le diverse trappole che poteva ideare con i pochi mezzi a sua disposizione, quando un movimento al di fuori del suo campo visivo la attirò. Si costrinse a rimanere seduta, irradiando innocenza e aspettando il momento opportuno per reagire.

Chiuse gli occhi, inspirò a fondo e si lasciò andare.




Dahlia non si accorse subito dei suoi movimenti. Impegnata a esaminare l'orsacchiotto con preoccupazione crescente a giudicare dalla tensione che le irrigidiva la schiena, Alex poté scivolare fuori dalla scrivania indisturbata, un braccio nascosto lungo il fianco.

Si fermò a pochi passi da lei. Si stupì dell'impressione che le lasciò nel vederla per la prima volta da così vicino: era più piccola di quanto ricordava dalle memorie dei marmocchi. E meno diabolica, se doveva essere sincera.

«Dobbiamo parlare.»

Colta alla sprovvista, Dahlia sussultò così tanto che Alex fu tentata di afferrarla d'istinto per impedirle di scappare, ma la bambina si voltò verso di lei con un'espressione sconvolta, forse la più genuina che le aveva visto fino a quel momento. E, come immaginato, in una frazione di secondo Dorian si contrappose tra loro, pronto a difendere la gemella.

Troppo prevedibile.

Troppo ingenuo.

Serrando la presa sull'attizzatoio che aveva nascosto dietro di sé, Alex sferrò un singolo fendente dal basso, cogliendo impreparati i gemelli. Dorian aveva ancora la bocca spalancata in un urlo muto mentre la sua apparizione si disfaceva nell'aria e scompariva oltre la soglia in una volata di fumo, lasciando la sorella inorridita ad affrontarla da sola.

«In privato, se non ti dispiace» continuò lei, impassibile.

Riportò l'attenzione su Dahlia e quasi ebbe pena di lei nel scorgerla così spaventata.

«Tranquilla, non gli ho fatto male. Tanto è già morto» aggiunse Alex con un'alzata di spalle. «Ma ho davvero bisogno di...»

In quell'istante accaddero due cose in contemporanea: l'espressione di Dahlia mutò in un concentrato di furia e caos e Alex si ritrovò a fissare quelle iridi evanescenti mentre veniva sbalzata in aria contro la parete adiacente da una forza invisibile. L'impatto fu così forte da svuotarle i polmoni e annebbiarle la vista; si rese conto di aver perso la presa sull'attizzatoio grazie al tintinnio che avvertì accanto a lei, aumentando così la sua stizza ed evaporando i buoni propositi di essere civile. Non le importava nulla di essere in compagnia di un minore: avrebbe imprecato più che volentieri se le fosse rimasto del fiato in corpo.

Boccheggiando a carponi nel tentativo di rialzarsi, Alex si passò la lingua sulle labbra, i lineamenti contratti dal nervoso. «Oh, allora vuoi giocare.»

Dahlia, che non era certo stupida e stava già provando a dileguarsi, fu a sua volta catapultata dall'altra parte della stanza, cozzando sul pavimento così forte che, se fosse stata viva, i servizi sociali sarebbero apparsi nel giro di qualche giorno.

«Ma ricorda, piccola: questo gioco possiamo farlo in due» terminò secca, rialzandosi trionfante mentre osservava Dahlia ricambiare lo sguardo di sfida da sotto i capelli scompigliati.

Bene, ora erano in due a essere incazzate.

Alex ebbe appena la prestanza di schivare di lato l'asse di legno che si staccò a tradimento dietro di lei e finì la sua corsa trafiggendo lo schienale del divano, ma Dahlia non ebbe la stessa fortuna quando una gamba di una sedia la colpì alla spalla, cancellando il suo infimo sorrisetto. E nemmeno Alex, quando un pezzo del lampadario le sfiorò la fronte, facendola inciampare all'indietro e perdere vantaggio.

Continuarono così al punto che l'intera stanza divenne ben presto un campo di battaglia desolato.

Alex digrignò i denti, parando con l'avambraccio un pezzo di ciò che rimaneva della seggiola e rilanciando l'attacco. L'attizzatoio roteò nella stanza mancando di poco il bersaglio. «La vuoi piantare di fare l'adolescente ribelle e ascoltarmi? Sei morta troppo presto usare quella fase ormonale come scusa!»

Nell'udire quell'insinuazione, la bambina sgranò gli occhi e riversò un'altra ondata d'energia nello studio che la costrinse a indietreggiare, strisciando gli stivali contro il pavimento ricoperto di frammenti e schegge.

Ma non si lasciò intimidire: «Oh, certo. Continua pure! Pensavo che ormai avresti capito che non bisogna attaccare briga con chi è più grande e cattivo di te! Devo ucciderti di nuovo per fartelo entrare in testa? Vuoi lasciare solo Dorian un'altra volta?»

E fu allora che Dahlia ebbe un tentennamento. La rabbia che le tendeva il viso sembrò sciogliersi al rimpianto e nel pozzo oscuro dei suoi occhi brillò una scintilla di quella che Alex credette fosse paura. Rincarò la dose. «Rammenta questo: Mrs. Pennington non ha paura di te, ma della sottoscritta. E dovresti fare altrettanto prima che cambi idea sull'essere socialmente utile. Non ho abbastanza pazienza per gestire le cazzate dei vivi, figuriamoci quelle dei morti.»

Le labbra della piccola si assottigliarono in una linea dura. E poi, contro ogni previsione, accadde. Dahlia parlò.

«Dovresti invece. Perché tutto questo è colpa tua. Non saresti mai dovuta venire qui.»

La voce greve, quasi troppo matura e grezza per una ragazzina della sua età, la colse alla sprovvista. Con lentezza, Alex abbassò le braccia che aveva alzato davanti a sé come scudo per gli attacchi di Dahlia. Rimase in silenzio, scrutando la determinazione che emanava l'avversaria, l'odio così familiare che sembrava riflesso in uno specchio. Una parte di sé assaporò quella realtà, mentre l'altra...

Imitò una pistola con le dita di una mano, premendo il grilletto immaginario.

Le difese di Dahlia s'infransero come carta. Con un grido di sorpresa, perse la presa e fu scaraventata contro la parete opposta, cozzando così violentemente da rovinare la già logora carta da parati.

Alex soffiò sopra i polpastrelli. «Mi dispiace, che costa stavi dicendo? Non sono riuscita a sentirti sotto tutta quella autocommiserazione» esclamò, inclinando il capo nella direzione dove la bambina stava annaspando nel tentativo di rimettersi in piedi. «Se vuoi incolpare qualcuno della situazione, non devi fare altro che guardarti allo specchio. Aspetta, dimenticavo che i fantasmi non possono specchiarsi. O erano solo i vampiri?»

Dahlia ansimò. «Tu... sei pazza.»

«Considerando gli epiteti con cui la gente mi appella di norma, questo è un netto miglioramento. Per cui grazie.»

Alex fece qualche passo in avanti, circumnavigando i resti della battaglia sparpagliati tra loro, ma non riuscì mai a raggiungere Dahlia. Diverse assi caddero dal soffitto, bloccandole la strada. Con una smorfia di fastidio, accolse la vibrazione che si propagò nella stanza attraverso i muri come un avvertimento che era ben disposta ad ascoltare.

Alex alzò le mani in segno di resa, studiando l'aria polverosa dello studio per nulla pentita. «E va bene, mi dispiace. Ho esagerato. Ma non è che questa infante mi abbia reso le cose più facili. Di certo non volevo demolirti. Scusa. Avanti, scusati» insistette, rivolta verso Dahlia ancora accasciata a terra, che rimase in silenzio a fissarla sulla difensiva.

Nel notare la sua determinazione nel tenere la bocca chiusa, Alex sbuffò. «Ecco perché non sopporto i bambini.»

Schioccò le dita.

Lo studio scomparve e riapparve in un flash. L'aria si riempì di frammenti e schegge, che ritornarono a occupare il loro luogo d'origine. I mobili si raddrizzarono, la polvere fu spazzata via, il lampadario ritornò a splendere come nuovo e l'ordine riapparì in quel piccolo sprazzo d'Inferno.

«Ah, molto meglio» sentenziò Alex soddisfatta, esaminando la stanza tornare alla normalità e ignorando la confusione sempre più imbarazzante di Dahlia. Quando lo sguardo della piccola incontrò la figura addormentata seduta dietro la scrivania, si cimentò in una serie di imprecazioni così datate che Alex fu certa fossero merito di Gilman. E poi era lei quella che veniva considerata come un pessimo esempio.

«Sei davvero una testa di rapa! Non dovresti essere qui!»

Alex roteò gli occhi. «E te ne sei accorta solo ora? Non ti sembrava strano rimbalzare in giro come una palla da pingpong? ...Lascia perdere» aggiunse in fretta nel vedere la sua confusione.

«Dico sul serio. Non puoi stare da questa parte! Vattene!»

Incrociò le braccia al petto. «E perché mai?»

Dahlia si spolverò la sottana, anche se non ormai non vi era alcuna traccia di sporco. Dopodiché, marciò verso di lei con fare intimidatorio. O almeno, quanto che poteva esserlo una bambina di dieci anni con una ventina di centimetri in meno. «Prima di tutto, l'ultima volta hai allagato l'intera magione.»

Alex fece per ribattere, ma si limitò ad annuire. «Severo, ma giusto. Anche se l'acqua c'era già...»

«E poi hai forse dimenticato che Mrs. Pennington ti sta cercando per prosciugarti l'anima? Le stai solo rendendo la cena più facile! Tanto vale che la imbocchi a questo punto! Sei davvero stupida!»

Dovette stringere le labbra per non scoppiare a ridere. Alex aveva immaginato il loro incontro diverse volte, ipotizzando una scena da brividi in pieno stile horror con qualche sprazzo di sangue per rallegrale l'atmosfera, ma mai avrebbe pensato di ritrovarsi davanti a uno scricciolo che provava ad abbaiare senza alcun successo.

«Ehi ehi. Linguaggio» sbottò divertita. «Non ho voglia di sculacciarti. Ti ho già strapazzato per benino e mi servi integra.»

A quel punto fu il turno di Dahlia di sbuffare, stringendo forte i piccoli pugni. Almeno si trattenne dallo sbattere i piedi per terra. «Ah, certo. Perché dopo quello che hai fatto a Dorian dovrei pure aiutarti, vero? I ragazzi di Mrs. Pennington non ti hanno già fornito tutte le informazioni di cui avevi bisogno?»

Dunque sapeva. Alex inclinò il capo pensosa, osservando quell'esserino tremante di rancore con circospezione. Dubitava fosse gelosa di loro, dato che nessuno sano di mente poteva apprezzare l'essere trattato come uno zerbino, ma era consapevole che quella rabbia repressa aveva radici ben profonde e serie. Quel risentimento poteva in realtà essere una facciata farlocca con la quale mascherava il suo dolore e l'essere costantemente incompresa. Un altro fattore che, con fastidio, poteva comprendere.

Alex annuì. «Ho sentito la loro versione dei fatti, è vero: ora voglio la tua. Ci sono sempre diverse voci in una storia, non sono così idiota da tralasciare questo dettaglio e dare per buona la prima che mi capita.»

Dahlia scioccò la lingua. «Come se ciò potesse cambiare qualcosa.»

Si ritrovò ad alzare un sopracciglio. «Il comportamento passivo aggressivo non è l'atteggiamento migliore con cui risolvere i problemi.»

La piccola le lanciò un'occhiataccia. «Ti hanno mai detto che è maleducato dare consigli agli altri senza prima seguirli?»

«Io non do consigli. Fornisco fatti e statistiche.»

«Forse è per questo che i tuoi amici ti trovano antipatica.»

Alex la fissò impassibile. «Almeno io li ho degli amici.»

Silenzio. Colpita e affondata.

«Non preoccuparti, sto tenendo il conto per entrambe» sentenziò, irritandola ancora di più. Circumnavigò la scrivania e prese il diario di Gilman, resistendo all'impulso di scrutare il suo corpo vuoto. Non appena glielo agitò davanti, l'espressione di Dahlia cambiò, rivelando sprazzi della bambina spaventata e indifesa che nascondeva. «Bene, possiamo concentrarci sull'inghippo principale? Ho davvero bisogno del tuo aiuto, Dahlia, perché sei l'unica a sapere com'è andata davvero quella notte. Se vuoi possiamo continuare a vedere chi delle due è la più cazzuta e traumatizzata, ma a che pro? Non vuoi aiutare tuo fratello? Non volete andarvene da qui, insieme?»

A quelle domande, le labbra della piccola sparirono in una linea dura. Per un istante Alex pensò che stesse per mettersi a piangere, ma poi il solito tono saccente le incrinò la voce. «Ebbene, Gilman ha scritto tutto nei suoi diari. Ti basta leggerli. O possiamo aspettare il suo ritorno. Aveva promesso che sarebbero ritornato per...»

«Dahlia, sono passati più di cinquant'anni. Dubito ritornerà» mormorò Alex, il tono insolitamente dolce.

Qualcosa si spense negli occhi sconvolti della bambina. Rimase immobile, la bocca socchiusa nel mezzo della frase divenuta muta e sembrò accasciarsi su se stessa. Alex le diede tempo per assimilare quanto rivelato. L'espressione di chi comprende di aver perso l'ultima scintilla di speranza cozzò contro il suo viso infantile, espressione che Alex sperò di non rivedere mai più. Il senso di déjà-vu le fece fremere le dita, ma si costrinse a rimanere immobile.

«È... morto?» La titubanza in quella domanda la fece apparire ancora più fragile. Dunque non era un mostriciattolo freddo e insensibile.

«Quanti anni aveva quando l'hai conosciuto?» chiese Alex, sedendosi contro il bordo duro della scrivania.

«Credo... sulla trentina.»

«Allora se ha una buona assicurazione sanitaria potrebbe essere ancora vivo» commentò, alzando lo sguardo al soffitto nel tentativo di addolcire il suo tono prima di ritornare a osservare la piccola. «Ma di certo non sarebbe nelle condizioni ideali per fare alcunché. Motivo per cui direi che è arrivato il momento di seppellire l'ascia di guerra e collaborare come due persone che hanno il medesimo obiettivo. Non dobbiamo piacerci per forza e tu, essendo una bambina, parti svantaggiata in questo, ma direi di smetterla di lanciarci pezzi del mobilio. Che ne pensi?»

Dahlia si prese un istante per risponderle. La studiò dubbiosa, per non dire contrariata e del tutto schifata dal pensiero di collaborale con lei, ma alla fine sospirò con rammarico. «Penso che sei pazza e che non mi fido di te. E anche se vogliamo davvero collaborale, Mrs. Pennington ha spie ovunque. Che hai intenzione di fare in merito?»

Alex fece spallucce, come se quel dettaglio non la toccasse minimamente. «Oh, di quello non preoccuparti. Conosco il posto giusto per una chiacchierata in completa privacy. Solo... promettimi di non rompere niente questa volta, intesi?» le chiese, allungando una mano verso di lei.

Dahlia la osservò come se potesse morderla, ma non dovette attendere molto. Dopo un'ultima occhiataccia di sfida, la bambina strinse le sue dita e l'ambiente intorno a loro iniziò a svanire in lampo bianco.

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