十二 Massacro •

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La madre ammirò il viso del suo bambino. Il piccolo di otto anni dormiva beato tra le sue calde coperte. Le sue guance erano lisce e arrossate, la sua espressione rilassata. I capelli neri e lisci facevano da contrasto al biancore della pelle. Era veramente un bambino bello e sano. La madre accarezzò il suo viso e gli fece il solletico sul naso per svegliarlo. Lui si infastidì e si mosse nelle coperte senza però svegliarsi. Allora la madre iniziò a scuotere la sua spalla con delicatezza, ma abbastanza intensamente da svegliarlo.

Il piccolo alla fine si svegliò, si stiracchiò e aprì di poco gli occhi.

«Joji, basta dormire, è ora di svegliarsi.» furono le parole della madre. Il piccolo Joji assonnato annuì e si alzò dal letto.

La madre era una donna dalla corporatura robusta, portava i capelli tagliati molto corti, indossava abiti di un colore spento, ma ottimi per proteggersi dal freddo e dalle varie intemperie durante il suo lavoro da coltivatrice.

«Lavati il viso prima di venire a mangiare.» Joji sbadigliò e fece come gli fu detto. Oltre che sistemarsi un po' i capelli, nascose sotto la maglietta la collana di legno che portava al collo. Suo padre ne aveva fatte quattro, affinché tutti i componenti della famiglia ne avessero una.

Quando si sedette al tavolo per fare colazione, un'altra persona era lì presente: suo fratello maggiore, Noriaki.

Il giovane aveva diciotto anni e possedeva molti dei tratti fisici che Joji avrebbe raggiunto una volta cresciuto. La sua espressione era austera e seria, i lunghi capelli neri erano legati in una coda. Portava abiti simili a quelli della madre, stesso materiale, ma taglio diverso. Dietro la sua schiena c'era una delle spade di metallo rosso. Solo durante il sonno lasciava la sua spada accanto a lui e non addosso a lui.

Joji ammirava Noriaki non solo perché era suo fratello maggiore, ma anche perché era un fortissimo guerriero, talmente forte che a soli diciassette anni si era meritato una delle spade rosse (il più grande tesoro del loro villaggio).

Quando finirono la colazione, la madre si preparò per andare a coltivare i campi e Noriaki per andare a proteggere i confini. L'unico che rimaneva a casa era Joji, che doveva mettere tutto apposto e preparare la cena per quando sarebbero tornati la madre e il fratello.

L'ultimo villaggio di umani era piccolo, ben nascosto e protetto. La routine dei suoi abitanti era molto semplice, ma richiedeva molta resistenza fisica e mentale, e tanto sacrificio. Più che vivere, era sopravvivere. Ma agli umani del villaggio andava bene così, meglio quello che morire da soli per mano di una macchina assassina.

Da quando la madre gli aveva assegnato il compito di tenere la casa in ordine e cucinare la cena, Joji non l'aveva mai delusa e non era intenzionato a farlo.

Voleva che la sua famiglia fosse fiera di lui. Voleva dimostrare a tutti che fosse forte e serio, degno un giorno di diventare l'allievo di suo fratello, per poter essere da grande anche lui un guerriero forte e bravo.

Nella famiglia, così come nel villaggio, non si parlava troppo spesso. Era come se le parole fossero preziose, non dovevano essere sprecate. E per delle vite così difficili, lo spreco era il peggiore peccato, oltre la debolezza.

Joji aveva perso il padre tanto tempo addietro, anche lui era stato un grande guerriero. Noriaki stava seguendo il suo esempio, e Joji avrebbe fatto lo stesso. La madre non aveva problemi a riguardo: voleva che i suoi figli fossero forti e sicuri, perché sapeva cosa significava non esserlo di quei tempi.

Quando la madre e il fratello tornarono a casa, ringraziarono il piccolo Joji per il suo lavoro e per la cena, e questo bastò per farlo sorridere e arrossire.

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