La trama sottile

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Potevano essere passate ventiquattro ore o due mesi, Arya non avrebbe saputo dirlo. Si sentiva spegnere, lentamente ma inesorabilmente, e per quanto l'umidità della buia cella in cui era stata abbandonata fosse logorante e le penetrasse come un'arma affilata le ossa, quel freddo pungente sembrava essere l'unica cosa rimasta a farla sentire viva.

Era troppo stanca per sentirsi impaurita, triste o arrabbiata per quella fine così inaspettata e così ingiusta. Sentiva di essersi spezzata, di essere arrivata a quel punto da cui non è più possibile tornare indietro e quel pensiero la portò a richiudersi ancora di più su sé stessa, abbracciando forse per l'ultima volta quella piccola vita che stava per spegnersi assieme a lei.

Tossì sommessamente, ma nel silenzio di quel luogo spettrale anche il più piccolo suono veniva amplificato spaventosamente, e Arya rimase ad ascoltare l'eco lontana del proprio respiro ad occhi chiusi, senza trovare la forza di muovere un solo muscolo anche quando un flebile rumore di passi concitati si faceva sempre più vicino.

Non riusciva a capire esattamente cosa stesse succedendo, intravide solo un'ombra chinarsi su di lei. Sentiva una voce familiare ma non riusciva a distinguere le parole che le giungevano attutite. Poi si sentì sollevare dal pavimento freddo e sporco, e fu come se una schiera di spilli le avesse trapassato senza alcuna grazia i muscoli indolenziti.

Poi non sentì più nulla e cominciò a pensare che forse quella lenta e angosciante agonia fosse finita. Finalmente doveva essere giunto il momento di riabbracciare suo padre.

Alcune ore prima...

Un sorriso di pura felicità si dipinse sul viso di Arya quando, dall'altro capo del telefono, le giunse l'esclamazione di sorpresa di sua madre. Arya si immaginò la sua faccia, mentre inaspettatamente realizzava che sarebbe diventata nonna, e ancora una volta dovette fare uno sforzo per contenere la sua stessa trepidazione all'idea: dopotutto si trovava in una delle celeberrime cabine telefoniche rosse sparse per tutta Londra, con una marea di babbani che le passavano accanto e sebbene fosse ancora solo mattina presto e quelle persone fossero mezze assonnate, non era proprio il caso di lasciarsi andare ad esultanze poco discrete.

-l'hai già detto a Sirius?! –

Le chiese impaziente Elizabeth, con il suo strano accento francese. Sua madre era l'unica altra persona, oltre a Lilith, con cui Arya si fosse confidata e alla quale avesse rivelato di stare nascondendo al resto del mondo suo marito, ed Elizabeth che come la figlia non aveva mai creduto alla colpevolezza di Sirius, aveva immediatamente appoggiato la sua scelta, per quanto potesse essere rischiosa.

-sì, Sirius lo sa... mi sembra incredibile, mamma-

Le disse, stringendo con entrambe le mani la cornetta del telefono, come se in qualche modo quel gesto potesse sostituire l'abbraccio con cui avrebbe tanto desiderato stringere sua madre. Avrebbe voluto darle di persona quella notizia così importante, ma l'inconveniente con Bruce Sutherland non gliene aveva dato il tempo.

-oh tesoro, vi meritate questo ed altro. A proposito, ci sono novità? –

Le chiese, e Arya capì che si riferiva all'ingiusta condanna di Sirius. Avrebbe tanto voluto dirle che erano vicini ad un punto di svolta, ma la realtà era che più Arya ci pensava e più si rendeva conto di non avere la minima idea di come fare per dimostrare l'innocenza di Sirius. Se solo avessero saputo dove si trovasse Peter Minus avrebbero potuto stanarlo e costringerlo a parlare, e Arya era convinta che non ci sarebbe voluto molto a far confessare quel codardo traditore. Tuttavia, di Minus non si avevano tracce e Arya temeva che da un giorno all'altro una squadra di auror si sarebbe potuta presentare al numero dodici di Grimmauld Place ad arrestare suo marito.

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