Guardarsi le spalle

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Durante quei dodici, estenuanti e lunghissimi anni la mente di Sirius Black era stata bersagliata quotidianamente da una miriade di sentimenti, ed alcuni, come il senso di colpa o l'odio cieco, avevano infierito su di lui con più violenza di altri, logorando e consumando il suo corpo e la sua anima più di quanto non riuscissero a fare la fame, il freddo e i dissennatori.

Tuttavia, c'erano anche dei momenti che spezzavano la monotonia e l'agonia di quelle interminabili giornate, erano degli attimi in cui la sua memoria faceva riaffiorare ricordi che gli rammentavano quanto, nonostante tutto, la sua vita fosse stata anche piena di amore, e Sirius cercava di aggrapparsi, per quanto gli fosse possibile, ad ognuno di essi, nel tentativo di non impazzire e sopravvivere in quell'inferno gelido e tetro in cui era stato costretto. A volte, forse a causa della stanchezza e della scarsa lucidità, i ricordi si accompagnavano a sensazioni reali ed alla falsa convinzione di non trovarsi rinchiuso in una cella ad Azkaban, ma di essere ancora un uomo libero: chiudeva gli occhi e gli sembrava di sentire distintamente la voce di Arya mentre sussurrava il suo nome in un unico, caldo respiro che si condensava sul suo collo, provocandogli una scarica di brividi che si disperdeva sull'intera superficie del corpo.

Altre volte la mente lo riconduceva a quella calda giornata di fine luglio del 1980, il 31 precisamente, un giorno che era impresso indelebilmente nella sua memoria e Sirius sapeva che nulla, nemmeno Azkaban, avrebbe mai potuto portargli via il ricordo di quella incredibile sensazione che aveva provato quando la morbida e calda manina del piccolo Harry Potter, il suo figlioccio, si era stretta attorno al suo indice: fu proprio con la memoria vivida di quell'inusuale contatto che Sirius si era svegliato quella mattina, rendendosi conto solo dopo qualche istante di aver riassunto inconsciamente le proprie sembianze umane.

Una stretta allo stomaco gli ricordò quindi che gli esseri umani non avevano la facoltà di nutrirsi di ricordi, emozioni o sentimenti, così con uno sforzò si sollevò abbandonando la poltrona impolverata su cui aveva preso l'abitudine di addormentarsi la sera, nel tentativo di risvegliare i muscoli indolenziti. Prima di riassumere le sembianze di Felpato per andare alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti, aveva raggiunto una delle finestre, la quale in realtà non era altro che una semplice apertura rettangolare incorniciata da tende ormai ridotte a tristi brandelli di stoffa, che affacciava sul pittoresco villaggio di Hogsmeade: inspirò una lunga boccata d'aria fredda riemergendo totalmente, suo malgrado, dal dolce mare dei ricordi ed osservando quel paesaggio che gli sembrava così familiare eppure così inesorabilmente distante, come se fosse parte ormai di un passato troppo lontano ed irrecuperabile, si chiese per la prima volta da quando aveva riacquistato la libertà cosa avrebbe fatto dopo aver ucciso Minus: nonostante fosse consapevole che avesse ben poche probabilità di sfuggire in eterno ai dissennatori, non riuscì a fare a meno di pensare a quale sarebbe potuto diventare a quel punto il suo posto nel mondo, se mai ce ne fosse stato ancora uno. Un brontolio sommesso da parte del suo stomaco lo riportò tuttavia brutalmente alla realtà, strappandolo definitivamente ai propri pensieri.

Arya non si era mai riabituata davvero a dormire da sola, nonostante avesse condiviso il proprio letto con Sirius solo per un paio di anni prima che il destino o forse l'inettitudine della giustizia del loro mondo lo portassero lontano da lei, e non era raro che le capitasse di svegliarsi, come quella mattina, con un braccio teso verso l'altra metà delle coperte: spesso riusciva ad addormentarsi solo convincendosi che quando avrebbe riaperto gli occhi lui sarebbe stato lì, con la sua folta chioma scura spettinata e l'espressione finalmente distesa e rilassata dopo uno degli sfiancanti turni che lo tenevano fuori casa per tanto, forse troppo tempo. Arya rimaneva a guardarlo per interi minuti mentre dormiva accanto a lei, a volte sfiorava i suoi lineamenti dolci o semplicemente si lasciava scivolare finché il suo viso non arrivava a lambire l'incavo tra la spalla e il collo di suo marito, quel posto sicuro in cui si rifugiava e che creava un incastro così perfetto che tra loro non c'era spazio per nient'altro: niente paure, incertezze, rabbia, niente dolore.

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