一 Vagabondo • •

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Calò il silenzio e nessuno parlò ulteriormente finché le prime proprietà terriere dei Saibo non comparvero all'orizzonte, il Sole aveva quasi terminato di tramontare e le luci calde e fioche rendevano il panorama meno minaccioso. I grandi campi di riso e ulteriori coltivazioni erano controllate da macchine e militari Saibo, anche i lavoratori delle terre erano Saibo. Il colore dell'occhio artificiale dei contadini era verde. Joji sapeva che gli impianti ottici che avevano rimpiazzato l'occhio destro di ogni Saibo erano una dichiarazione della casta a cui appartenevano nella loro società. I membri dell'esercito avevano gli occhi celesti, i contadini verdi, le donne viola, i cittadini blu, e osservando Gen, l'aristocrazia doveva averli gialli. Tutto nella società dei Saibo funzionava attorno alle caste e ai ruoli: avevano barattato la loro libertà con la sicurezza di un tetto sopra la testa e cibo in tavola. Joji avrebbe preferito la morte a quello stile di vita, ma sapeva che lui era un caso apparte.

I campi iniziarono a scomparire e comparvero i primi palazzi e le prime case della città vera e propria. La rigidità della mentalità Saibo si notava dalla scelta estetica delle loro strutture: un ordine e una pulizia estrema caratterizzava le strade e le abitazioni. Anche gli abitanti, con il loro portamento e il loro abbigliamento, rispettavano la stessa regola. Gli uomini e le donne per le strade camminavano allo stesso modo e indossavano abiti dai colori e dai tagli simili; nessuno disturbava la visione completa di Joji facendosi notare. Tutta la popolazione era asiatica, e a differenza dei contadini, i cittadini avevano la pelle più chiara, specialmente le donne, perché non lavoravano sotto il Sole abbronzante.

Ma, nonostante la somiglianza estrema tra gli individui, gli uomini Saibo tendevano ad avere personalità e azioni più differenti, Joji notò alcuni di loro camminare più velocemente per raggiungere un posto, sbadigliare per il sonno, o grattarsi il mento o la fronte infastiditi, ma le donne Saibo (tutte, nessuna esclusa) avevano lo stesso andamento, lo stesso portamento e la stessa espressione: sembravano copie, anche se il loro aspetto fisico era differente. Un'altra particolarità erano i loro occhi e le loro mani: tutti e due erano artificiali, ma le mani erano naturali. Sembravano bambole con gli occhi di pietra, bellissime, ma macabre.

Joji rimase disturbato dal loro sguardo privo di vita e dal loro portamento composto. Gen notò che il ragazzo si era corrucciato alla loro vista, e mosse leggermente il capo con dissenso: non era d'accordo con la scelta dell'imperatore di lasciare il vagabondo in vita, non ci sarebbe stato verso, secondo Gen, di convincerlo a far parte della loro società. Era troppo diverso, ma oltre a questo, il generale non lo reputava degno di unirsi a loro, anche se le sue doti da guerriero erano ammirevoli, non lo erano il suo spirito e il suo temperamento. Ma le parole dell'imperatore erano legge e lui non poteva sottrarsi o metterle in discussione.

Attraversata la parte più esterna della città, le altre macchine militari avevano raggiunto la loro meta, mentre quella del generale continuò il suo cammino nel centro della città. Qui i palazzi e le case erano ancora più maestosi e curati. L'estetica dei Saibo era qualcosa che Joji non comprendeva: i colori rosso, nero, bianco, oro e marrone la facevano da padroni; le finestre, le case e i tetti avevano anche dei risvolti puramente estetici e nulla, tranne le macchine e i lampioni, era composto da materiale lucido che ricordasse la plastica. Era una strana scelta che lo incuriosì; nella mente di Joji tutto doveva avere un perché funzionale, per lui non c'era motivo di costruire qualcosa solo per bellezza. Ma per i Saibo era differente: loro erano una società e l'estetica aveva un ruolo importante perché delineava i ruoli, le relazioni e lo stato sociale di un individuo.

Strani simboli poi, che dovevano essere scritte, tappezzavano le strade e alcuni luoghi pubblici della città. Joji non aveva mai imparato a leggere e scrivere, quindi per lui erano solo simboli invadenti senza un vero significato.

Finalmente la macchina si fermò e Gen scese, seguito da Joji, che venne circondato ad ogni lato da quattro soldati. Quest'ultimi gli tolsero la rete che lo avvolgeva e lo costrinsero a camminare sullo stesso percorso del generale.

Erano ai piedi del palazzo centrale della città. Donne Saibo, di una bellezza rara, così come i loro abiti, camminavano in compagnia nei giardini adiacenti alla strada principale, illuminate nella sera tarda da grandi lampioni, non fecero caso a nessuno.

Davanti a Joji si trovava una scalinata pregiata che percorse insieme alle guardie e Gen. I maestosi cancelli erano aperti e quando entrarono la stanza sembrava non avere fine.

Un corridoio principale conduceva i visitatori al cospetto del trono dell'imperatore e ai lati della grande sala c'erano tavoli bassi per ulteriori ospiti. Ma gli unici Saibo presenti nella sala erano l'imperatore sul trono e una strana figura al suo lato destro. Joji non aveva mai visto un Saibo del genere, doveva essere diverso dagli altri.

L'imperatore indossava abiti colmi di rifiniture dorate e con vari strati di tessuto, sulla sua testa, una strana costruzione dorata che doveva rappresentare una corona, con pietre preziose e luminose, sembrava incastonata sul capo, infatti il lato destro raggiungeva anche l'occhio artificiale di colore giallo.

Era un uomo molto affascinante, anche se era senza capelli (sicuramente a causa della costruzione a corona incastrata sul suo capo).

L'altro Saibo invece aveva solo la faccia umana, il resto era tutto metallo. Joji non fu in grado di contare la quantità di braccia meccaniche che si intrecciavano sul suo esile busto artificiale, entrambi i suoi occhi innaturali erano di colore giallo e la nuca era stata rimpiazzata con metallo. Quel Saibo erano più macchina che umano: Joji non era sicuro che il suo cervello fosse ancora lì.

Metteva veramente soggezione, nemmeno nei suoi peggiori incubi il giovane aveva immaginato qualcosa di così orribile. E stonava al cospetto dell'imperatore, ma costui non sembrava disturbato dalla sua presenza.

Gen e i soldati si inchinarono davanti all'imperatore e solo il Saibo inquietante rispose al saluto allo stessa maniera. Joji fu costretto a fare lo stesso saluto, ma si notava la sua mal disposizione.

«Mio signore, costui è il vagabondo, il suo nome è Joji.» affermò solenne il generale indicando il giovane prigioniero. L'imperatore sorrise.

«Joji. Che nome banale. Non ti rende giustizia. Ho un dubbio che mi assale da molto, Joji. E solo tu conosci la risposta...» affermò soddisfatto l'imperatore, anche la sua voce era affascinante.

«Le risponderò con piacere, imperatore.» disse titubante Joji, non era sicuro che quello fosse il modo giusto di porsi all'imperatore, ma non conosceva i costumi dell'aristocrazia Saibo, per quanto lo riguardava, anche quelli del resto della popolazione erano un mistero per lui.

«Sei umano, Joji?» a quella domanda tutti i presenti osservarono il prigioniero, sentì la pesantezza di quel quesito. Sembrava banale, ma non lo era in quel mondo e di quei tempi.

«Sì. Il mio corpo è completamente naturale. Non un solo cambio artificiale è stato svolto su di me...» rispose con sicurezza e relativo orgoglio. L'imperatore rimase incantato da quella risposta.

«L'ultimo umano...» affermò quasi sognante. Poi si spostò leggermente verso il sottoposto alla sua destra e questo avvicinò il capo per ascoltarlo.

«Tu puoi provare definitivamente che sia così, mastro meccanico.»

«Certo, mio signore. Un'operazione semplicissima.» fu la risposta del mastro meccanico. Anche la sua voce era artificiale, non mosse nemmeno le labbra naturali per parlare.

L'imperatore si alzò, percorse la breve scalinata che poneva il suo trono su un livello più alto e si fermò davanti al suo prigioniero. Era molto alto, oltrepassava di qualche centimetro l'altezza di Gen.

«Il mio nome è Kin Kote, imperatore dei Saibo. A te, ultimo umano su questa terra, proporrò una scelta che difficilmente potrai rifiutare, visti i suoi benefici.» Joji rimase indifferente a quella affermazione. "Benefici saranno per voi, mezze macchine!" fu il suo unico pensiero che ovviamente non condivise a voce alta.

L'imperatore si allontanò da lui, gli diede le spalle e Joji ammirò l'intricato ricamo sulla stoffa delle vesti imperiali: rappresentava il mare in burrasca.

«Ma prima che questo accada, devi renderti più presentabile. La tua presenza è selvaggia e priva di rispetto e onore. Non ti riferirò ulteriori parole in queste condizioni. Il mastro meccanico Matsumoto Rift si occuperà di guidarti verso le tue stanze e ti illustrerà i tuoi compiti provvisori. É inutile che ti venga ripetuto che non hai altra scelta se non seguire i miei ordini.» gli parlò senza rivolgergli ulteriormente lo sguardo. Joji deglutì e annuì, non aggiunse altro.

JPNWhere stories live. Discover now