68.

5.5K 352 23
                                    

Entrare nella Cheers Hall, andare in camera a sistemarmi, prendere lo stretto indispensabile che mi sarebbe servito per qualche giorno, lasciare un biglietto alle ragazze e tornare a prendere Matthew per partire in direzione "casa Walker". Questo era il programma che mi ero fatta e che avevo tutte le intenzioni di rispettare mentre aprivo la porta della Residenza, facendo meno rumore possibile, la mattina dopo quella notte indimenticabile.

Mentre rientravo per metterlo in atto, i miei pensieri non riuscivano a staccarsi da quanto era successo e dal ragazzo che avevo lasciato semi dormiente poco prima. Mi facevo ridere da sola, perché sembravo una di quelle ragazzette senza cervello, che avevo sempre deriso, le quali quando perdevano la testa per qualcuno non capivano più niente e diventavano delle specie di amebe deambulati. Ero sempre stata convinta che non mi sarei mai ridotta in quello stato... invece eccomi qua, con un sorriso idiota stampato sulla faccia e la testa che non riusciva a tornare a formulare pensieri coerenti e sensati. Era poco dopo l'alba, speravo solo che le ragazze fossero a dormire come al solito e che non avrei avuto sogno di parlare con nessuna, perché non sarei stata in grado di sembrare la solita Anna, quella mattina. Soprattutto Monica, la mia perspicace e piuttosto sveglia vice capo cheerleader. Lei non avrei voluto incontrarla per nulla al mondo, perché non sarei riuscita a nasconderle niente stavolta.

Quando misi la mano sulla maniglia della porta d'ingresso della Residenza, fui per un attimo travolta da una sensazione molto strana mentre la domanda "ma cosa ci faccio qui?" si era formata nel mio cervello come se arrivasse da un'altra persona. Come se ci fosse qualcosa di sbagliato in quello che stavo facendo, come se quel mondo non mi appartenesse più. Scrollai la testa con decisione per scacciare quella sensazione. Era evidente che la notte appena trascorsa mi aveva segnata più del previsto, io ero e rimanevo Anna Walker. Forse un po' diversa rispetto al passato, ma sempre la stessa.

Quando entrai nell'atrio silenzioso ringraziai la mia buona stella che mi aveva ascoltata: le ragazze stavano dormendo, sarei riuscita ad andare via indisturbata senza dovere interagire con nessuno.

In fretta salii in camera e feci quanto avevo pianificato. Darmi una sistemata ed essere pronta a ripartire fu affare di una mezz'ora circa. Non mi ero soffermata più di tanto né sul mio aspetto né su cos'avrei indossato per il viaggio e la permanenza a casa dei miei: non mi interessava. Il che era piuttosto straordinario e me ne resi conto quando, ormai pronta per ripartire, mi guardai allo specchio per verificare di essere in ordine. Nessun abitino a effetto, sul viso appena un accenno di trucco, capelli lasciati sciolti sulle spalle senza pettinature particolari. Lo specchio non rimandava l'immagine di Anna Walker come la conosceva il mondo, ma di Anna e basta, com'era per Matthew. E mi piaceva, mi piaceva tanto. Sospirai. La sensazione di non fare più parte di quella Residenza non mi aveva lasciata un attimo e, osservando la me stessa che lo specchio rimandava, mi resi conto che avrei dovuto affrontare la cosa, una volta sistemata la faccenda del mio patrigno. Lo dovevo a me stessa, a Matthew, alle ragazze stesse. Avrei dovuto trovare un nuovo equilibrio e una nuova dimensione. Speravo solo di riuscirci, non avevo la più pallida idea di cosa stavo per affrontare.

"Ci penserò al rientro" sussurrai alla mia immagine. "Ora bisogna che risolviamo un problemino un po' più urgente... Nathan, dovrai cedere. Non ti lascerò alternativa."

Quando iniziai a scendere le scale capii che la mia idea di andare via indisturbata non si sarebbe realizzata. Monica era in soggiorno, mollemente appoggiata allo schienale del divano, con la testa rivolta alle scale e gli occhi puntati in alto, in attesa. Ci guardammo in silenzio per tutto il tempo della mia discesa e quando arrivai di fronte a lei disse solo: "Sono tutt'orecchi, Queen Anna", con un tono che non ammetteva repliche.

Le girai intorno e mi sedetti di schianto sul divano, appoggiai indietro la testa e chiusi gli occhi. Sentii che si era seduta vicino a me, sempre in silenzio.

Emisi un lieve sospiro. Ma sì, tanto valeva raccontarle ogni cosa. Ero stufa di segreti e sotterfugi e, fra tutte le persone che conoscevo, lei era l'unica di cui mi fidavo abbastanza da poterle raccontare le cose.

Parlai ininterrottamente per svariati minuti, senza mai guardarla ma sentendo molto forte la sua presenza di fianco a me. Parlai di Matthew, dei miei dubbi e delle mie speranze, di come mi sentissi insieme a lui, di ciò che avevo udito la notte della festa, della nausea per tante cose di quel mondo, del fatto di non sapere più chi ero e quale fosse il mio posto, alla Dartmouth o altrove, di come speravo che si sarebbero sistemate le cose con il mio patrigno. Mano a mano che le parole venivano fuori una sensazione di sollievo mi invadeva l'animo. E quando, una volta terminato di parlare, sentii la mano di Monica appoggiarsi sulla mia e stringerla in un gesto che valeva più di mille parole, capii per la prima volta il vero significato della parola "amicizia".

Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, ciascuna immersa nei propri pensieri. Fu Monica a parlare per prima.

"Grazie Anna" disse a voce bassa, senza lasciare la mia mano. Tacque di nuovo e, quando riprese, la sua voce era molto più incerta. "Ti devo dire una cosa, è da tanto che lo voglio fare ma non ne ho mai avuto il coraggio." L'incertezza che udii in quelle parole, così anomala rispetto al suo solito tono sicuro e scanzonato, mi fece raddrizzare la schiena e girare lo sguardo verso di lei. La fissai perplessa e annuii, incoraggiandola a parlare.

"Ero in contatto con il tuo patrigno, lo tenevo aggiornato su quello che facevi e con chi ti vedevi..." buttò là senza mezzi termini. Sussultai. Era lei la spia di cui mi aveva parlato Nathan? Monica? Ritirai di scatto la mano.

"Cosa? Tu?" chiesi, a voce un po' troppo alta. Me ne pentii subito, non volevo che le altre si svegliassero e arrivassero proprio adesso. Ma per la rabbia che mi stava montando dentro avrei voluto urlare fino a spaccare i vetri. Proprio lei, fra tutte le ragazze del gruppo... mi sentivo pugnalata alla schiena, di nuovo. Ma la sensazione era infinitamente peggio del momento in cui avevo udito ciò che pensavano di me le cheerleaders, la notte della festa Black and White. Avevo appena capito di essermi affezionata a Monica e di considerarla una vera amica... mi si mozzò il respiro per quello che significavano le sue parole. "Spiega" ordinai in un soffio e le piantai gli occhi sul viso " e prega di essere convincente".

Scosse il capo ma non abbassò lo sguardo. Esprimeva rammarico e sembrava sincero. "L'ho fatto... per un po', almeno. Fino a quando tu non mi dicesti quello che lui ti aveva chiesto di fare. Allora, la prima volta che mi ha ricontattata, l'ho mandato al diavolo" ammise con un mezzo sorriso. "Fino a quel momento non avevo capito le sue reali motivazioni. Me l'aveva venduta come una necessità dettata dal suo amore paterno nei tuoi confronti e dalla preoccupazione di non sapere cosa tu facessi perché eri riservata, perché a loro non raccontavi mai niente, perché avevano paura che ti perdessi in cattive compagnie... perdonami, Anna. È stato molto convincente, o forse io sono stata poco accorta. Pensavo di aiutare un papà amorevole, che dargli tue notizie fosse una cosa buona. Tu eri sempre un po' sulle tue, inavvicinabile, per cui non te ne ho mai parlato... Ma non pensavo di agire male. Poi tu mi hai raccontato la 'proposta indecente' che ti aveva fatto, così ho sommato un po' di cose... perdonami Anna, se puoi. L'ho fatto in buona fede, davvero."

Il silenzio calò come un macigno. Mi alzai di scatto e mi misi a camminare su e giù per cercare di digerire la cosa. Ma mi resi conto di non essere in grado di farlo, non in quel momento. Non dopo che le avevo raccontato i miei pensieri più intimi, che mi ero confidata come mai avevo fatto con qualcuno. Mi sentivo tradita, umiliata. Mi aveva venduta, per cosa? Cos'altro mi stava nascondendo? Sarei mai riuscita a fidarmi di nuovo? Sentivo gli occhi bruciare per lacrime di rabbia che lottavano per uscire, ma non volevo dare spettacolo, non di fronte a lei che non sapevo più chi era.

Mi fermai e la guardai. Era ancora seduta, immobile,gli occhi fissi sul pavimento, in attesa di una mia parola di assoluzione o condanna.

Ma non arrivò, né l'una né l'altra. Non potevo, non in quel momento.

A grandi passi mi allontanai, presi la borsa che avevo lasciata alla base delle scale e uscii dalla Cheers Hall.

Un sole pallido iniziava a fare capolino fra la nebbia del mattino, ma non riusciva a scaldare l'aria dal gelo della notte, che invase ogni fibra del mio essere e mi fece rabbrividire senza controllo. 

Solo quando chiusi dietro di me la portiera della Jaguar e mi allontanai dalla Residenza, lanciai un grido di rabbia e permisi alle lacrime, che stavano cercando una strada per uscire dai miei occhi, di cadere incontrollate.

CheerleaderKde žijí příběhy. Začni objevovat