30.

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[revisionato]

"Cosa ci fai qua, proprio tu? Sei venuta ad assistere allo spettacolo?"

Quasi le sputò, Matthew, quelle parole, e la sua voce profonda, arrochita dalla sofferenza, le rese ancora più graffianti alle mie orecchie.

Staccai la mano dalla sua spalla come se mi fossi scottata e mi raddrizzai di scatto. Feci un profondo respiro per calmarmi, poi decisi di rispondere facendo finta di niente. Che si fosse rivolto a me con un tono normale, che i suoi occhi non mi stessero guardando con fastidio.

"Ero nelle vicinanze e vi ho sentiti. Hai bisogno di un medico, ti accompagno."

Tossì e una smorfia di dolore gli percorse il viso insanguinato. Mi mossi, irrequieta. Stavamo perdendo troppo tempo, aveva bisogno di cure.

"No. Grazie. Ora vengono i miei amici. Non serve che resti."

"Nessuno verrà, non a breve per lo meno", replicai gelida con voce ancora più tagliente a causa della stanchezza. "Quindi, per usare le stesse parole che qualcuno disse a me non molto tempo fa, non mi pare che tu abbia molte alternative per toglierti dagli impicci... ma magari mi sbaglio e fra dieci secondi da dietro questi alberi si materializzeranno i tuoi angeli salvatori." Mi aveva rovinato la serata e ora, anziché essere grato che mi fossi fermata ad aiutarlo, faceva il difficile nonostante lo stato pietoso in cui si trovava. Ero furiosa. "Comunque se non ti aggrada che ti aiuti, basta dirlo. Andrei a dormire volentieri."

"Te l'ho appena detto. Arriveranno. Non mi serve il tuo aiuto. Grazie." Con molta fatica Matthew si mise in ginocchio e portò le mani sulle tasche della felpa. Io mi alzai e mi appoggiai al tronco che era di fianco a lui, limitandomi a osservare i suoi movimenti impacciati. La pena che avevo provato prima era evaporata quasi del tutto nel percepire l'astio contenuto nelle sue parole. Sarei andata via, ma volevo anche vedere cos'avesse intenzione di fare. Incrociai le braccia davanti al petto e attesi.

Matthew trafficò con le tasche, prima della felpa e poi dei jeans, per un paio di minuti, poi si fermò e si passò una mano fra i capelli, sospirando. Infine, provò di nuovo ad alzarsi, ma senza risultato. Sembrava essersi dimenticato che ero ancora vicina a lui, infatti lo sentii sospirare di nuovo e ricominciare a cercare. Scossi la testa e mi affiancai, abbassandomi.

"Devi farti vedere da qualcuno: stai male. Da solo non sei in grado di andare da nessuna parte, per cui smettila di fare l'idiota e lasciati aiutare da me. Anche se non te lo meriteresti." Tolsi dal collo il foulard che avevo e glielo passai sul viso dove mi sembrava che fosse la ferita aperta. "Tienilo lì, bisogna fermare il sangue."

Mi guardò in silenzio, poi mise la mano sul pezzo di stoffa affinché stesse fermo sulla fronte e sull'occhio sinistro. Chiuse l'altro occhio e sospirò di nuovo stancamente.

"Il mio cellulare. Dev'essere caduto nel corso della rissa. Tu ce l'hai?"

"No, l'ho lasciato in camera."

"Torneranno qui, non appena si accorgeranno che non sono con loro..." Faceva una fatica tremenda a parlare e sembrava che le sue condizioni stessero peggiorando. Dovevo portarlo via di lì e farlo curare, al più presto.

"Non c'è tempo di aspettarli. Inoltre, è probabile che anche loro siano andati a farsi medicare. Hai bisogno di un dottore ora, non fra chissà quanto", risposi. "Cerca di alzarti appoggiandoti a me."

Mi guardò stralunato per un attimo.

"Come farai? Ti sporcherai di sangue e ti rovinerai la messa in piega." Sarcastico, anche in quelle condizioni. Dovetti fare un enorme sforzo per non piantarlo in asso su due piedi.

CheerleaderWhere stories live. Discover now