17.

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[revisionato]

Mi staccai di scatto dal vetro della finestra.

Nella mente mi era balenato un pensiero che, forse, era la via d'uscita da quel ginepraio.

Senza pensarci un attimo, ripercorsi il corridoio e rientrai nello studio, stavolta senza bussare.

Aprii la porta e feci un passo nella stanza ma mi fermai interdetta, una mano ancora appoggiata sulla maniglia.

Vista la scena di poco prima, mi sarei aspettata di trovare mia madre e Nathan immersi in un'accesa discussione su quanto lui voleva che facessi, o che almeno stessero parlando della cosa... No.

Tutto era immerso nella quiete più assoluta. Entrambi erano seduti nella stessa posizione di prima, mia madre immersa nella lettura del Cosmopolitan con le gambe elegantemente accavallate e una mano carica di anelli abbandonata sul bracciolo della poltrona, mentre del mio patrigno si vedevano solo le gambe, il resto completamente nascosto dal Wall Street Journal.

Non si erano accorti del mio ingresso.

"Non puoi farlo." In quel silenzio, le mie parole parvero gridate.

Mia madre sollevò di scatto la testa e portò la mano libera dal giornale al cuore con un gridolino di sorpresa.

Il Wall Street Journal si piegò e vidi gli occhi neri di Nathan fissarmi con le sopracciglia sollevate da sopra gli occhiali da lettura.

"Il tuo ricatto", ripetei con voce sicura, togliendo la mano dalla porta e facendo qualche passo verso di loro "non lo puoi portare avanti."

Lo vidi chiudere il giornale con estrema cura, piegarlo e appoggiarlo di fianco a sé con sopra gli occhiali. Non aveva spostato i suoi occhi dai miei neppure per un attimo, forse per vedere se sarei stata in grado di sostenere il suo sguardo. Lo fui.

Piegò la testa con blando interesse e unì i polpastrelli delle mani davanti al viso.

"Sentiamo, perché non potrei?"

"Come giustificheresti ai tuoi preziosi elettori il fatto di allontanare la tua figliastra e farla tornare nel tugurio in cui viveva prima di incontrarti? Ora sono sicura che adorano il tuo essere un padre amorevole che ha preso con sé la povera orfanella dandole tutto ciò che non aveva mai avuto... Non ci faresti una gran figura", terminai sicura. Sapevo di aver centrato un punto debole e l'appena accennato tremolio delle sue palpebre me ne diede conferma. Dentro di me gioii, avevo la vittoria in pugno. Fra poco sarei stata libera da quel patto scellerato.

Lo vidi riprendere giornale e occhiali e mettersi a guardare qualcosa scritto su quelle pagine. Iniziò a parlare senza sollevare lo sguardo.

"C'è una cosa che gli elettori adorano più di un padre amorevole che ha accolto la povera orfanella." Si fermò e sollevò la testa, piantando il suo sguardo nel mio "ed è un patrigno che, nonostante i vistosi disturbi della personalità della figliastra dovuti all'infanzia difficile, anziché abbandonarla al suo destino decide di farla seguire dai medici specializzati delle più rinomate cliniche per malattie neurologiche del Paese."

Deglutii a vuoto. Non poteva essere davvero questa la sua idea, non poteva essere così privo di scrupoli.

"Stai bluffando" azzardai, ostentando sicurezza.

"È possibile" rispose serafico, "ma al tuo posto ci penserei su due volte prima di metterti nella condizione di verificarlo."

Aveva vinto. E lo sapeva perfettamente: sul viso duro aleggiava quel mezzo sorriso che gli avevo visto solo dopo la conclusione positiva di qualche affare particolarmente ostico.

Mi voltai e riaprii la porta.

"Anna. Un'ultima cosa. A Capodanno daremo una festa a cui parteciperanno i miei maggiori sostenitori. Mi aspetto di vederti arrivare con il tuo fidanzato."

Raddrizzai ancora di più le spalle e, senza voltarmi, feci un cenno di assenso con la testa.

Uscii da lì come un automa. Mi mancava l'aria, volevo andarmene e tornare al College a riflettere sul da farsi.

Doveva esserci una via d'uscita.

Salii a quattro a quattro i gradini e corsi in camera a rifare la borsa.

Mezz'ora dopo ero al volante della Spider nera di mia madre e guardavo sullo specchietto retrovisore la sagoma di Villa Walker che, alle mie spalle, spariva in mezzo agli alberi.

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