19.

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[revisionato]

L'aula di inglese era in penombra. I pannelli di legno che rivestivano le pareti e i lunghi banchi scuri posizionati ad anfiteatro le davano un'aria cupa e opprimente.

Feci un passo all'interno e mi guardai intorno, mentre i miei occhi si abituavano alla poca luce che entrava dalle alte finestre a ogiva poste sulla parete opposta a quella dalla quale ero entrata.

Dopo qualche istante li vidi. Mr Smith era appoggiato alla cattedra con le braccia conserte ed era evidentemente in attesa, come le quattro ragazze sedute ai banchi di fronte a lui.

Tutti e cinque si girarono verso di me non appena feci il mio ingresso.

Senza dire una parola lasciai scivolare il mio sguardo su ciascuna delle ragazze, poi mi rivolsi al professore.

"Buongiorno professore. Mi ha fatta chiamare?"

"Buongiorno miss Walker, finalmente. Vorrei che facesse conoscenza con le quattro studentesse che dovrà seguire nel corso dei prossimi giorni. Il Federal Contest sarà fra poco più di due settimane, per cui è bene che non perdiate altro tempo."

"Bene. Può lasciarci, per favore?" risposi gelida. Detestavo quando altri dettavano i tempi e volevo riappropriarmi della mia leadership.

Mr Smith sollevò le sopracciglia, sorpreso dalla mia richiesta. Comunque, per quanto contrariato, si staccò dalla cattedra e si diresse verso la porta.

"Fra quindici minuti dovrete lasciare l'aula. Concordate già i prossimi incontri e per cortesia non perdete tempo."

Non appena l'uomo fu uscito, presi il suo posto appoggiata alla cattedra e fissai le quattro ragazze, che mi stavano guardando come se fossi un'extraterrestre.

"Immagino sappiate chi sono", esordii senza tanti preamboli. Quando vidi le quattro teste annuire proseguii. "E immagino anche che vi rendiate conto di quanto dovremo lavorare nelle prossime settimane per rendervi almeno vagamente presentabili."

Una delle quattro, biondina e slavata, disse qualcosa a mezza voce.

"Hai detto?" chiesi.

Lei si raddrizzò e piantò i suoi occhi chiari nei miei. "Ho detto che sei proprio una stronza" sputò "e aggiungo che non ho intenzione di fare nulla di ciò che ci dirai. Io mi vado benissimo così."

La squadrai fin dove riuscivo. Era talmente grottesca che non riuscii neppure ad arrabbiarmi per l'insulto. Anzi, scoppiai a ridere.

"E le tue socie la pensano come te?" chiesi, non appena riuscii a riprendere fiato.

"Certo!" esclamarono in coro due more molto somiglianti fra loro, le sorelle Vaughn, a occhio.

"Idem", disse anche l'ultima, capello corto e viso squadrato.

"Ottimo." replicai "Ora che avete espresso la vostra opinione, della quale mi interessa il giusto, aprite bene le orecchie perché vi dirò la mia."

Mi staccai dalla cattedra e mi avvicinai a loro, arrivando ad appoggiare le mani sul primo banco, dietro il quale erano sedute le due sorelle.

"Ho ancora meno voglia di voi di intraprendere questo percorso, ma non ho scelta. E vi dirò anche che guardarvi mi dà un tale fastidio per l'incuria con cui vi trattate, che solo il rischio di ulteriori castighi mi sta tenendo ferma qui. Ora. Vi do una prima regola di vita. Il fatto che abbiate un cervello non significa che dovete andare in giro vestite come nonna Abelarda e avere un fisico da lanciatrici di coriandoli. Per cui domattina ci troveremo al campo di atletica alle sei ed inizieremo gli allenamenti."

"Ma tu sei fuori, non esiste!" sbottò la biondina.

"Non era una domanda e il tuo parere non è stato richiesto" risposi. "Da domani e per quindici giorni voglio che pensiate a voi stesse non come un cervello con le gambe, ma come quattro gran fighe che, incidentalmente, hanno in Q.I. simile a quello di Einstein."

"È impossibile! Noi non siamo così."

"E dove sta scritto, scusa? Cominciate a eliminare quegli scafandri con cui andate in giro e a indossare qualcosa che vi valorizzi. Scommettiamo che allora pensereste a voi stesse in modo un po' diverso?"

"Sprechi tempo e fiato", tagliò corto una delle due Vaughn.

"No. Voi in due settimane cambierete il modo di guardarvi allo specchio e allora sarete pronte per il vostro prezioso Contest."

Calò un silenzio quasi assoluto, mentre le quattro riflettevano su quanto appreso. Io tornai alla cattedra e mi girai di nuovo verso di loro.

"Mettetela così. Se mi metterete i bastoni fra le ruote e non vi impegnerete, fra due settimane farete una tale figuraccia che poi non vorrete più uscire di casa fino alla laurea. Se invece mi darete retta, alla fine potreste non riconoscervi, ma di sicuro al Contest farete una gran bella figura. E dopo, una volta, terminato, potreste decidere che nei nuovi panni vi trovate così bene da non voler più tornare a essere inguardabili come adesso. Vedete voi."

Le quattro si guardarono, incerte. "E va bene..." dissero, una dopo l'altra.

Annuii e raccolsi la mia borsa. "Domattina alle sei al campo. Puntuali." ribadii, per poi uscire lasciandole lì a sbollire e commentare. Sarebbero state due settimane di fuoco.

Mi avviai verso la "Cheers Hall" con la mente già rivolta alla questione seguente: aspettare che tutte fossero già alla festa per prepararmi e andarci anch'io, ovviamente in incognito.

Da quando avevo incontrato Matthew Hawthorne nella palestra di roccia poco prima, avevo in mente una cosa sola: riuscire ad avvicinarmi a lui quel tanto che mi consentisse di capire i suoi punti deboli, per poi sfruttarli a mio vantaggio. La festa in maschera capitava a proposito.

Arrivata alla Residenza, andai diretta in camera, chiusi a chiave la porta e mi stesi sul letto.

Si trattava solo di far passare qualche ora e di rendersi irriconoscibili.

Sorrisi. In fin dei conti sarebbe stato divertente.

CheerleaderWhere stories live. Discover now