~Capitolo 3~

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Thomas

<<Tom, svegliati!>> fece irruzione nella mia camera April facendo in modo che la porta sbattesse contro il muro, <<Ho fame!>>.
<<Dillo alla mamma, sto dormendo>> mugugnai rigirandomi nel letto.

L'intento di quel pomeriggio in realtà era studiare ma, tra una cosa e l'altra, mi ero ritrovato sdraiato sul letto e, dopo essermi ripromesso di chiudere gli occhi solo per pochi istanti, avevo finito per addormentarmi come al solito.

<<Mamma e papà non sono ancora tornati ed io ho fame!>>.

Tipico dei miei genitori, i figli venivano sempre dopo il lavoro.

<<Okay... Ti va una pizza?>> chiesi alzando di poco il capo e aprendo un occhio per guardarla.
<<Si!>> esclamò entusiasta.
<<Tu apparecchia, io chiamo>>.
<<Non è molto equo>> commentò la bambina mettendo le braccia incrociate.
<<Vuoi mangiare o no?!>>.

April sbuffò rassegnata e uscì dalla camera, senza aggiungere altro.

Finiva così quasi tutte le sere quando vivevamo a Seattle solo che, quando ci avevano informato del trasferimento ad Old River, ci avevano anche promesso che le cose sarebbero cambiate. Eravamo stati degli stupidi nel credere che potesse uscire qualcosa d'altro dalle loro bocche che non fossero menzogne.

Io e mia sorella finivamo sempre per mangiare quello che capitava la sera o rimanere ore a scuola ai colloqui con i professori perché loro non arrivavano mai.

Diciamo che noi eravamo i tipici figli che non potevano lamentarsi dell'invadenza dei propri genitori nelle loro vite. E questo da una parte andava bene per me, ma non per mia sorella. April aveva bisogno di sua madre e di suo padre. Aveva solo nove anni dopotutto.

Il mattino seguente mi ero svegliato terribilmente in ritardo siccome la sera prima non ero riuscito a prendere sonno. Dovevo smetterla di dormire di giorno se poi la notte finivo per fissare il soffitto.

<<Arriveremo tardi>> ripeté April per la centesima volta.
<<Non posso farci niente>>.
<<Potevi alzarti prima>> mi fece notare con un tono da saputella.
<<Potevi venire a piedi se ci tenevi tanto!>>.

Dopo quelle parole la bambina mise il muso e non mi parlò più per tutta la durata del viaggio. Inoltre, appena arrivammo nel parcheggio della scuola, scese dall'auto e corse verso l'entrata, senza degnarmi di uno sguardo.

Mi meritavo un trattamento del genere, ero stato uno stronzo. Lei contava su di me, dato che mamma e papà passavano la vita sul lavoro, e l'avevo delusa.

Io però non ero messo in una posizione migliore al momento. Quando entrai nell'edificio i corridoi erano deserti, segno che le lezioni fossero già iniziate, così mi ritrovai a correre in classe nella speranza di non essere sbattuto fuori.

<<Avanti!>> urlò il professore dall'altro lato della porta.
<<Buongiorno prof, scusi il ritar->>.
<<Evans, secondo giorno già in ritardo?! Cominciamo bene!>> mi interruppe l'uomo.
<<Sì, è che...>>.
<<Può aspettare il termine dell'ora per entrare dato che la mia lezione non deve trovarla molto interessante. Prego, vada!>> mi mandò fuori con un gesto della mano.
<<E dove dovrei andare?!>>.
<<La biblioteca accoglie volentieri i ritardatari come lei>> disse sbrigativo.

Sbuffai rumorosamente e uscii dall'aula. Come se non avessi altro da fare che perdere ore così gratuitamente.

Come mi aveva detto il professore, raggiunsi la biblioteca e scoprii di non essere l'unico ad aver tardato quella mattina. Nella stanza c'erano altre quattro persone oltre a me, rilassate e intente a chiacchierare.

Vivere a ColoriWhere stories live. Discover now