~Capitolo 31~

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Thomas

Avevo sempre odiato mentire. Persino le bugie, cosiddette, bianche non mi piacevano. Infatti, quando all'età di sette anni i miei mi avevano comunicato che Babbo Natale non esistesse, non avevo rivolto loro la parola per ben due settimane, senza eccezioni. Trovavo inconcepibile che una persona che affermasse di volerti bene, ti mentisse senza un motivo in particolare. La parte peggiore di tutto ciò fu che, nella mia ingenuità, lo dissi a tutta la mia classe, raccontando come avvenisse il tutto, ovvero che in realtà fossero i genitori a mettere i regali sotto l'albero, scatenando involontariamente un pianto collettivo. Le maestre subito si allarmarono e chiamarono i miei genitori che inevitabilmente se la presero con me. Voglio dire, come potevo sapere che non dovessi dirlo a nessuno? Ero solo un bambino! Sta di fatto che a causa della mia boccaccia avevo rovinato l'infanzia a circa una ventina di bambini.

Ed è qui che nacque la mia incapacità di dire bugie. Da quel momento in poi non riuscii più a dire una bugia, soprattutto alle persone a cui volevo bene. I miei cercavano di convincermi che qualche bugia fosse permessa e che fosse addirittura necessaria, in alcuni casi specifici ma niente, non ne ero capace.

Detto questo, non è che non mentissi mai, quando era strettamente necessario e fosse davvero a fin di bene, sapevo mentire, o meglio, tenere un segreto. Però quando si trattava di tenere un segreto che, una volta saltato fuori, avrebbe ferito qualcuno a cui tenevo, lo ritenevo inconcepibile. Guardare negli occhi una persona e mentirle spudoratamente era per me, sin da piccolo, il peggiore dei peccati esistenti.

Per questo motivo, nelle due settimane che seguirono la cena a casa di Elizabeth, evitai come la peste la ragazza. Non avevo il coraggio di comportarmi come se non avessi sentito nulla. Avrei preferito cento volte non aver ascoltato la conversazione di suo padre al telefono. Dopo quella, avevo cominciato a capire perché Elizabeth tollerasse così poco il padre. Quell'uomo non aveva alcun tipo di pudore. Nascondere un fatto tanto importante alla figlia, con la quale aveva un già così travagliato rapporto, non me ne capacitavo.

Con questa intenzione, nei successivi diciotto lunghissimi giorni, avevo ignorato senza pietà Liz. Molte volte, soprattutto i primi giorni, aveva provato a salutarmi ma io inevitabilmente volgevo sempre lo sguardo altrove, fingendo di non averla vista. Ero una persona orribile. Mi sentivo un verme, in particolar modo quando in seguito al mio comportamento facevo ricadere gli occhi su di lei e vedevo un'espressione delusa sul suo volto, ma non potevo. Avrei finito per dirle la verità sul padre e lei sarebbe stata ancora peggio. Era lui che doveva parlarle del vero motivo della sua visita, non io.

Dopo tutti quei giorni passati ad ignorarla anche lei cominciò ad ignorare me. Tutte le volte che mi vedeva cambiava strada o se entravo in classe e vedevo il banco accanto a lei libero, lei rapidamente poggiava sulla sedia la cartella, chiaro segno che non mi volesse lì. Inoltre, ogni volta che uscivo da scuola lei era sempre lì con riccioli d'oro, al quale sorrideva dolcemente e con il quale si sbaciucchiava davanti ai miei occhi come se non esistessi. Tutti i santi giorni veniva a prenderla e la riportava a casa, sotto la mia espressione delusa e ferita di cui però lei non si rendeva neppure conto.

Quella situazione stava cominciando a diventare insostenibile. Non ne potevo più di vederla da lontano divertirsi e sorridere come se non esistessi. Sapevo di essermela cercata e che l'unico colpevole di quella situazione assurda fossi io. Mi meritavo tale trattamento.

Quella mattina, poi, mi svegliai ancora peggio del solito e, non prestando come al solito molta attenzione a come mi ero vestito, scesi al piano di sotto. Stranamente i miei erano ancora a casa, perché sentivo le loro chiacchiere provenienti dalla cucina, oltre ad un buonissimo profumo di brioche calde, cosa che mi spinse a catapultarmi in cucina con la colina in bocca. Appena varcata la porta però fui travolto da mia sorella che mi era corsa incontro urlandomi un <<Tanti auguri fratellone!>> e stritolandomi per bene. Un po' spiazzato la presi in braccio e insieme ci avvicinammo al tavolo.

Vivere a ColoriWhere stories live. Discover now