~Capitolo 29~

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Elizabeth

Appena Thomas mi aveva riportata al campo, un'ondata di persone mi aveva circondata per accertarsi circa la mia salute, cacciando a spintonate il mio salvatore.

Credo di non aver mai ricevuto tante attenzioni, come in quel momento, in tutta la mia vita. Gente che non mi aveva mai rivolto la parola, o che l'aveva fatto solo per cortesia, improvvisamente si interessava a me e, se da una parte poteva essere piacevole, dall'altra mi fece render conto di quanto le persone potessero essere ipocrite. Inoltre, per una che odiava essere al centro dell'attenzione, quella situazione mi mise non poco in imbarazzo.

Il momento peggiore fu, però, quando Smith, insieme al signor Reed, mi venne in contro correndo. Sembrava terrorizzato. Come biasimarlo, poveretto, era la seconda volta che mi sentivo male quando era lui il responsabile.

Solo che quando si rese conto del fatto che stessi bene e fossi solo un po' ammaccata si era messo a fare battute, senza né capo né coda, sulla sbadataggine di noi donne. Diciamo che in una classe dove la maggior parte delle sue componenti erano ragazze, per di più femministe, fece scoppiare un vero e proprio dibattito che, per mia fortuna, distolse l'attenzione da me.

In tutto questo il ranger Reed, che scoprii anche volontario della Croce Rossa, si occupò di fasciarmi la caviglia che, a suo dire, non era rotta ma solo slogata. Secondo lui non era necessario che tornassi a casa ma, che potevo benissimo attendere la sera dopo insieme a tutti gli altri.

Per quanto mi sforzai di sorridere, fu abbastanza inutile. In quel momento volevo solo andare a casa e mettermi sotto le mie amate coperte ma, anche questo, mi era disgraziatamente impossibile.

Mi toccò quindi restare tutta la serata seduta su una sedia con le braccia conserte, in segno di protesta, e a rispondere alle brevi domande che i miei compagni mi ponevano relativamente alla mia salute. Tutti, più o meno, si erano interessati anche Carly sorprendentemente. Avevamo avuto una conversazione di ben cinque minuti senza discutere.

Per essere più precisi però, all'appello mancava una persona. Un'unica persona che a confronto con tutti quegli ipocriti sconosciuti avrei preferito centinaia di volte.

C'ero rimasta davvero male costatando che non fosse ancora venuto a vedere le mie condizioni. Potevo capire che mi avesse aiutata e che si fosse già ampliamente accertato del mio stato ma, due parole di conforto, non le avrei di certo rifiutate.

In tutto questo, a tirarmi anche se di poco su di morale, c'erano miei compagni che non facevano altro che chiacchierare e scherzare tra loro, coinvolgendo tutti. Tanto che, ad essere sincera, sotto sotto mi stavo divertendo anch'io.

Ero sempre stata così. Ascoltavo molte delle conversazioni che sentivo, non tanto per ficcanasare nelle vite degli altri ma, semplicemente, per sentirmi partecipe di qualcosa. Patetico sotto molti punti di vista ma che, ad essere sinceri, mi rendeva la maggiore fonte di gossip.

Durante l'ennesimo aneddoto di uno dei miei compagni sentii improvvisamente vibrare il telefono nella tasca dei miei pantaloni. Subito mi apprestai a rispondere, siccome in tutto il giorno non ero riuscita ad avere campo.

<<Hey, bella!>> mi salutò la voce pimpante di Alex.
<<Oddio, è successo qualcosa?>> chiesi sbrigativa.
<<No, perché?>>.
<<Non mi hai mai chiamata in vita tua, ero preoccupata>> le feci notare divertita.
<<Ah ah ah. E dopo questo mi chiedi anche il perché? Comunque, ti chiamavo solo per chiederti come va, tua madre mi ha detto che sei rotolata già dalla montagna>> disse cercando di trattenere, senza riuscirci, le risate.
<<Potevo morire e tu ridi?!>> esclamai con un tono offeso ma, divertita a mia volta.
<<Povera patata>> continuò a burlarsi di me, <<comunque come va nel covo di vipere?>> cambiò discorso.
<<Va che rischio di morire avvelenata>> alzai gli occhi al cielo al sol pensiero.

Vivere a ColoriWhere stories live. Discover now