Capitolo 13

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Le mie braccia ricominciano a tremare. Esausta e nervosa, rinuncio e lascio cadere la massa d'acqua che casca nella vasca da bagno così forte da farne fuoriuscire una parte, la quale si riversa sul pavimento. Demoralizzata, mi alzo dal gabinetto. Mi passo una mano sulla fronte, massaggiandola a causa del mal di testa. Se poggio le dita sulle tempie riesco a sentirle pulsare. Asciugherò dopo quel disastro.

Sono ben cinque giorni che non ho notizie di Jackson. Neanche la macchina di Harry è parcheggiata in strada. Ormai ho completamente abbandonato l'allenamento con lo Gnomo. Di tanto in tanto lo intravedo uscire di casa e solo qualche ora più tardi ritorna. La maggior parte del tempo rimane chiuso in casa. Ho pensato più volte che potesse essere in punizione, è la spiegazione più ragionevole, ma non ho un motivo per questo. Anche se lo fosse stato, poi, credo che me lo avrebbe detto: è strano che abbia smesso di aiutarmi, dopo aver insistito tanto, così all'improvviso. Poi, però, c'è l'opzione a cui non penso mai: si è stancato di me. Mi sento così confusa, e totalmente stupida. Continuo a pensare che non mi voglia vedere, ma non ho neanche pensato al motivo di questa sua scelta. I miei pensieri vagano, cercano una meta, ma cadono sempre nello stesso punto e sullo stesso viso. È insopportabile questa situazione. La parte peggiore è che non posso andare a chiedergli spiegazioni poiché, quando Jackson è in questo stato, la risposta è sempre la stessa: una frase monosillabica per congedarti e uno sguardo gelido. È uno spreco di tempo persino provarci.

Premo con due dita entrambe le tempie, cercando di alleviare quel dannato mal di testa, e scendo giù alla ricerca di una bustina di Oki. Appena arrivo in cucina, apro tutti i cassetti nella speranza di trovare quella dannata bustina ma, dopo aver controllato anche l'ultimo, lo chiudo di botto e urlo dal nervosismo non avendone neanche una. Questa è una di quelle giornate in cui vorrei rompere tutto. Inizio a respirare ripetutamente e in modo più irregolare, cosa che mi fa capire che è il momento di rilassarmi: mi sto riscaldando. Odio essere un Elementale. Odio essere una Salamandra. A volte mi sembra di essere una bomba pronta a esplodere da un momento all'altro. Non posso più neanche prendermi la comodità di arrabbiarmi come si deve perché altrimenti ci rimetto io, morendo carbonizzata. L'unica cosa buona che Jackson abbia fatto: avvertirmi del mio limite d'ira per evitare di diventare una torcia umana.

Mi siedo a terra e incrocio le gambe a mo' di Buddha, con le braccia poggiate sulle gambe e i palmi delle mani aperti verso l'alto. Chiudo gli occhi e inspiro profondamente, per poi espirare. Sento le palpebre pesanti. Prendo un altro respiro per poi lasciarlo uscire nuovamente. Mi allontano dalla stanza con la mente, cercando di tener a distanza i rumori di fuori. Dopo un po', l'abbaiare del cane della vicina e il rumore di un'ambulanza scompaiono. Cado in uno stato di assoluta tranquillità. Credo di rimanere così per un bel po' di tempo, ma chi può dirlo con esattezza. A me sembrano solo pochi secondi che sto vagando nel nulla col mio corpo, sebbene sia ancora seduta a terra, ma potrebbero anche essere passate ore. Quando accade questo, perdo completamente la cognizione del tempo. Improvvisamente, questo stato di trance è interrotto dalla porta d'ingresso che si spalanca di botto. Sussulto per lo spavento senza muovermi da terra e apro gli occhi. Sulla soglia c'è Delice, immobile, con uno sguardo pietrificato, colmo di terrore. Sta fissando qualcosa dietro le mie spalle. Mi volto anch'io, preparandomi al peggio; se ci fosse stato un mostro, ne avrei avvertito prima la presenza, però. Non sono esattamente esseri silenziosi. La mia bocca si schiude istintivamente, formando una "O" perfetta: l'acqua presente nel lavandino sta fluttuando in aria. Mi volto verso di lei mentre passa a guardarmi le mani: piccole fiamme danzano leggiadramente sulla punta delle dita, lambendole. Quando la guardo negli occhi, l'acqua dietro di me cade di botto, tornando nel lavandino. Solo alcune gocce mi arrivano sulla maglietta e nei capelli. Le fiamme scompaiono, mosse da un vento improvviso. Non mi ero resa conto di star usando gli elementi; pensavo solamente di rilassarmi ed essere finalmente in armonia con me stessa. Cerco di dire qualcosa, ma dalla mia bocca non esce alcun suono. Delice cerca di ritornare in sé.

Sharon: La Maledizione Dell'AlberoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora