Capitolo 8

790 141 216
                                    

Mi sveglio di soprassalto nel letto, con la fronte sudata e il cuore che batte come un tamburo. Sento scoppiarmelo nel petto. Cerco di calmarmi, ma non ci riesco. Un dolore alla spalla m'impedisce di muovermi completamente e non riesco ancora a mettere a fuoco la mia camera, buia e silenziosa. Gli occhi mi bruciano, come se ci fosse del fuoco dentro. Fanno così male che vorrei strapparmeli via. Quando il dolore si attenua un po', dopo averli strofinati più volte, riesco a osservare meglio la stanza. Però, non è la mia. Vorrei scendere dal letto, ma le mie gambe non ce la fanno a muoversi; come quando all'una di notte vuoi girarti dall'altro lato, ma non lo fai, nonostante la tua testa continui a dirti il contrario. Poi, alla fine, ci rinunci. Mi ributto sul cuscino, liberando un sospiro di frustrazione. Odio non avere il controllo sul mio corpo, soprattutto quando mi trovo chissà dove e gli arti preferiscono dormire invece che scappare via. Osservo il posto per un po', provando a riconoscerlo dato che è l'unica cosa che posso fare, e cercando di adeguarmi anche al buio. Quando i miei occhi si sono finalmente abituati all'oscurità, riesco a notare alcuni particolari che caratterizzano la stanza. C'è una piccola finestra non molto lontana da me, però chiusa, quasi blindata. Non riesco a capire se sia notte o meno. Dal silenzio, però, penso sia notte. Infatti non riesco a sentire neanche un ipotetico rumore dal piano di sotto, tantomeno in strada. Giro la testa verso destra, e sul muro vicino a me noto subito un poster dei Muse durante un loro concerto. Sotto questo c'è una sedia piena di panni. È tutto un casino: c'è roba ovunque. Quando volto la testa a sinistra incontro degli occhi blu che mi fissano nell'oscurità. Riesco a riconoscere il loro colore grazie alla luce chiara proveniente dallo schermo del cellulare che il ragazzo regge vicino al suo volto. Sussulto dalla paura. Mi chiedo come abbia fatto a non notarli prima.

- Ti sei svegliata. - La voce di Jackson mi dà un senso di tranquillità. Almeno è qualcuno familiare. - E hai finito di lottare con le coperte. -

- Dove... dove sono? - La mia voce è molto roca e la mia gola così secca da farmi male. Mi tiro su col busto, con gran fatica, e mi appoggio allo schienale del letto per guardare meglio il ragazzo.

- Nel mio letto. - M'informa mentre si allontana dalla parete a cui era appoggiato e blocca il cellulare. Accende la lampada sul comodino per illuminare la stanza prima di sedersi di fianco a me, accanto alle mie gambe, e porgermi una bottiglia d'acqua. La afferro e me la scolo in pochi secondi, regalando alla mia gola un senso di sollievo finalmente.

- Cosa ci faccio qui? - Gli domando. Si gira per avermi di fronte e incrocia le gambe sulle coperte, accertandosi di non darmi fastidio.

- Sei svenuta. - Mi spiega. - Era tardi e non ti potevo portare da tua madre in quelle condizioni. Hai dormito per ben dodici ore. -

- Dodici ore? - Chiedo basita. - È... mezza giornata! Mia madre mi darà per dispersa... -

- Mi sono preoccupato anche di questo. - Mi rassicura. - Tua madre sa che sei da Delice. Ho preso il tuo cellulare e ho chiamato la tua amica. Mi regge il gioco, quindi prima di stasera non lascerai casa sua. - Dice con un'espressione soddisfatta in volto, avendo progettato tutto.

- E come facevi a sapere che Delice era mia amica e che ti avrebbe potuto aiutare? - L'avrebbe aiutato sicuro dato che gli sta sbavando dietro da quando è arrivato, ma questo lui non lo sa.
- Nella tua rubrica ci sono solo tre numeri, tra cui quello di tua zia e l'altro di tua madre. - Dice alzandosi dal letto. - Non ci voleva un genio per capirlo. E poi che nome è Delice? Sembra la merendina Kinder. - Ride del suo stesso commento mentre si gira a guardarmi. Io sono ancora molto confusa riguardo tutto. Alcuni ricordi della notte prima sono ancora offuscati e molti altri sembrano spariti. Non riesco neanche a pensare. Vorrei raggomitolarmi tra le coperte e dormire fino a domani, ma so che non posso. Non qui, almeno. - Oh, andiamo, è vero. -

Sharon: La Maledizione Dell'AlberoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora