60 Il 19 dicembre (parte 2)

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-POV ALESSANDRO-
Le note si disperdono e la musica termina. Il Thunderboult non è mai stato così pieno. Negli ultimi giorni abbiamo sparso la voce nella speranza che vengano tante persone. Abbiamo bisogno dell'anticipo dello stipendio. Abbiamo i portafogli completamente vuoti. LA somma dei nostri risparmi ammonta a quindici dollari che dobbiamo dividere in cinque. <Due milk-shake al tavolo sotto la finestra> sento dire da Totta per poi passare le due bevande a Gin che le porta al tavolo. A quanti incassi siamo? Dobbiamo avere minimo 200 persone. Diverse persone se ne sono andate e altrettante sono arrivate. Scendo dalla sedia per prendermi dieci minuti. Vado dietro al bancone sotto lo sguardo attento di Carlotta per prendermi un bicchiere d'acqua.
La porta si apre. Due persone sorpassano l'uscio facendo entrare il freddo. Una ragazza dai capelli rosso rame si guarda intorno con gli occhi di un astuto azzurro. Al suo fianco si trova un... un idiota.

Matteo e Rose sussurrano parole tra di loro. Teo compie dei movimenti circolari con le braccia come se gli facessero male e si sistema meglio la giacca.
Distolgo lo sguardo.
Sotto gli strati di tessuto si nascondono lividi. Li ha da qualche settimana. Gli altri non se ne sono accorti, ma io sì. Condividiamo la stessa camera. Non può nascondermi nulla. Non a me.
<Teo> saluta Gin battendogli il cinque per poi superarlo e portare al tavolo l'ennesima bevanda calda.

Guardo l'orologio. Ho ancora un po' di tempo prima che il locale chiude. Afferro mio fratello senza degnarmi di un saluto. Lui emette un lamento gutturale colto alla sprovvista. Forse gli ho stretto troppo forte il braccio dove aveva delle ferite.
<Che vuoi?> sbotta Matteo quando siamo entrambi chiusi nel bagno. Lo scatto della porta, i suoi occhi, lo specchio che riflette le nostre figure. Tutto mi arriva in ritardo. Sono fotografie messe una dopo l'altra senza ordine temporale.

<Copri i lividi meglio> affermo togliendomi la felpa e lanciandogliela. Lui guarda in direzione del livido che gli sporge oltre la maglia.

<Sono...> Fa per dire Matteo ma lo blocco sul nascere. Non voglio bugie.

<Caduto. Certo> continuo io mordendomi la parte interna della guancia. Lui indossa la mia felpa in silenzio. Non mi guarda. I suoi occhi non sfiorano i miei. Il volto pallido è il riflesso della consapevolezza che gli aleggia. <Quanto ti pagano?> domando. Alza lo sguardo e il suo nero incrocia il mio blu. Un mare di notte. Onde di disordine e barche di segreti.

<Dipende> dice contraendo la mascella.

<Questa sera?> insisto sentendomi più irrequieto che mai. 

<1050 dollari> risponde. 1050 dollari. Le cifre si spostano nella mia testa. I numeri vorticano. Sono molto più di quanto guadagno in un mese.

<1050... vale la pena per farti del male?> domando. Quei soldi non li voglio. Non se sono fatti in questo modo.

<Non venire a farmi la morale. Ne abbiamo bisogno e lo sai> ribatte risoluto stringendo la mascella.

<No, non ne abbiamo bisogno. Non abbiamo bisogno di un fratello che non può muovere il braccio perché si è fatto del male per pagare del cibo> ripeto con maggiore convinzione. Perché non siamo una famiglia normale?
Col pollice sfioro ogni dito ripetutamente. Seguo la velocità dei miei pensieri con le dita. Un ritmo indecifrabile e irripetibile. <Quando la smetterai di comportarti come se non valessi abbastanza?>

<Quando tu smetterai di stare male per lei> replica. L'ultima parola mi brucia la gola. Corrode il corpo che si contrae sotto il suo passaggio. Una parola, una lama, un dado. Mordo la lingua. Sono due cose diverse e lui lo sa bene perché conosce la verità fino in fondo.
Smettila di mordere e graffiare quando il mondo ti fa male. Smettila perché nostro padre non è più qui. Lui non c'è e sembra che a una parte di te lui ti manchi. Smettila di stringerlo a te perché stai stringendo un filo spinato.

Un diavolo bussa alla portaWhere stories live. Discover now