1 Un pazzo amante dei cartelli

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Quando non si può tornare indietro, bisogna soltanto preoccuparsi del modo migliore per avanzare.
PAULO COELHO


A volte penso a come sarebbe spegnere il cervello, rifugiarsi in un posto spensierato senza che nulla ti passi per la testa come una rognosa mosca. La verità è che non si può fuggire, non si possono eliminare i pensieri, ma si possono solo risolvere. Darei la mia stessa vita per staccare la spina. <Stai attenta> mi urla una voce proveniente da un taxi passando di corsa sulle strisce pedonali e sfiorando di poco il mio piede.
Ma dico, hai appena interrotto il mio monologo interiore per passare il tempo. Insomma. È vero che avevo detto che avrei dato la vita, ma non intendevo così velocemente. Sbuffo.
Lo zaino sulle mie spalle mi infastidisce. Ho passato l'ultima giornata infilando le prime cose che mi capitavano a tiro nello zaino e farmi più di 10 ore in aereo con una partenza decisa piche ero prima. Vorrei soltanto buttarmi sul mio letto e sentire e urla di Totta e Teo che litigano. Sentire le noiose parole che escono dalla bocca di Dade e sentire le buffe battute di Ale. Sento quasi un vuoto pensando e quelle zucche vuote. Ma adesso non sono più nella calda Italia. Le palme mi circondano con il loro bel verde raggiante. Il sole sfuma con mille colori tuffandosi nel mare. I colori si irradiano tra i vicoli della città. Le case qui non sono come in Italia.
Ai miei occhi si prospetta una villa tutta bianca con un cancello di ferro in stile neo classico. Guardo il civico. I numeri sono scritti in grande e hanno una forma elegante. Mi chiedo come sia possibile che dei numeri possano essere eleganti.

<74> mormoro per poi cercare nella tasca del giubbino il foglio con scritto il civico della mia casa. 76. Faccio qualche passo inspirando lentamente. L'aria della California è nettamente diversa alla nostra. La loro è più fresca e anche se è ancora agosto, mi pizzica la punta del naso e tento di reprimere uno starnuto. Un venticello leggero accompagna i miei passi mentre mi faccio forza.
Se la casa precedente era maestosa e bellissima, questa è l'opposto. I muri grigi sembrano star per crollare e la porta di legno è tutta graffiata.
Certo, non mi aspettavo una casa come quella dei vicini visti i soldi che avevo a disposizione, ma almeno non una che sta per crollare. Mi avvicino maggiormente alla porta e cerco un campanello. Non c'è.
Alzo gli occhi al cielo e busso alla porta con dei pugnetti al legno. Mi sistemo meglio nelle spalle e poso il fogliettino dove c'è scritto in numero della casa. La porta si spalanca e un moto d'ansia formicola la pelle mentre la tensione si irradia nell'aria. Il rumore stridulo che produce la porta di legno mi ricorda molto quello del gesso sulla lavagna. Da essa entra una strana luce blu con una figura alta. La luce blu dei led non mi permette di notare i colori della persona che ho di fronte. <Ciao, sono la...> inizio a dire, ma la frase rimane sospesa come su un filo di cotone. Il mio nuovo coinquilino non mi dà nemmeno il tempo di finire la frase poiché continua lui. La voce è pacata e profonda con un timbro noncurante.

<La nuova coinquilina, si lo so> dice lui gesticolando con una mano e scostandosi dall'uscio della porta per farmi passare.
Davvero simpatico.
Reprimo l'impulso di fargli notare quant'è sgarbato solo perché ci conosciamo da meno di un minuto. Stringo lo zaino sulle spalle ed entro. Chiudo gli occhi cercando di adattarmi alla luce a led blu. un odore di menta e lavanda mi investe in maniera travolgente. Riapro gli occhi osservando la stanza. L'ingresso è piccolo e stretto con una lampada blu all'entrata. Di fronte a me c'è uno specchio che sembra invitarmi a uscire. Mi chiedo se non sia stato fatto a posta. 
Mi prendo un secondo per guardarmi. I capelli scuri sono come al solito un disastro. Il mosso sembra aver preso vita propria. Dalla pelle chiara spiccano le grosse occhiaie sotto gli occhi di un triste grigio. Il sudore mi appiccica il disagio addosso e l'adrenalina mi scorre nelle vene ricordandomi il motivo per cui sono qui. 
Ho uno scopo, e niente potrà fermarmi. Terminato ciò che devo fare, potrò tornare. Tornerò da mia madre e dai miei fratelli. Tornerò dal disastro che mi ritrovo come famiglia.  <Hai portato solo uno zaino?> chiede il ragazzo alle mie spalle con un cipiglio in volto. La luce blu mi dà sui nervi perché non riesco a distinguere i colori. Lo sconosciuto intuisce i miei pensieri e preme l'interruttore affinché la luce ritorni ad essere del normale colore. Io annuisco distrattamente riferendomi alla domanda iniziale.
Con questa luce si possono vedere i capelli castani e gli occhi così simili ai miei. Il grigio monopolizza le sue iridi e le lentiggini gli dipingono il volto. Sembra un bambino, ma la mascella indurita e il portamento messo quasi a simulare una difesa lo fanno sembrare più grande. Alza un sopracciglio squadrandomi da capo a piedi. Mi guarda come se fossi una senza tetto. Forse il modo in cui sono vestita non è il massimo, ma non avevo tempo. La maglia bianca di Teo è tutta stropicciata e il jeans è tutto bagnato per colpa della pioggia che ho trovato nella tangenziale per andare verso l'aeroporto. Sulle Converse non può dirmi nulla, sono fantastiche e comode. Forse lui ha lo stesso stile di Totta e per questo le vorrebbe bruciare per poi gettarle nell'acido. Ma sono gusti.
Distolgo lo sguardo e continuo a guardare la casa. Alla mia sinistra c'è una stanza ariosa e piena di finestre da cui filtra la luce rossastra del tramonto. In mezzo alla stanza c'è un'enorme divano bianco e di fronte ad esso una tv e un piccolo caminetto. Alle spalle del divano incombe un bancone di legno e marmo con intorno sei sedie. La cucina si trova poco distante dal bancone. Il salotto e la cucina non sono divisi da nessun muro creando una grande stanza da soggiorno-sala da pranzo. Il ragazzo mi sorpassa di scatto sbattendo il suo braccio contro la mia spalla.

<Ti mostro velocemente la casa> annuncia sbuffando e io mi mordo la lingua. Che problemi ha?
Le falcate iniziano ad aumentare come se stesse facendo una gara. Aumento di rimando il passo, anche se avrei preferito continuare a guardare la casa con più calma. Percorriamo velocemente un piccolo corridoio vicino la cucina. Si ferma di botto sull'uscio di una porta. <Questo è il bagno> spiega indicando la porta. Poi sposta il dito verso una porta di vetro le cui estremità sono in legno bianco. Il vetro permette di intravedere le piante del giardino. <Mentre questa è l'entrata per il giardino> I miei occhi guizzarono dritto per il corridoio. Lì c'è una porta di legno barricata. Le catene e i catenacci rendono impossibile l'accesso. <Vieni, ti mostro dove posare lo zaino> Si volta di scatto facendo retro front e continua la sua corsa. Ritorniamo di nuovo nella stanza precedente. Sta volta non mi faccio problemi ad ignorarlo. Osservo il salotto. Le pareti sono bianche, così diverse dal grigio esterno che sono quasi irriconoscibili. I mobili con le ante tutte intarsiate nel legno danno un tocco più familiare e sofisticato alla casa. Un sorriso spontaneo mi si stampa in faccia pensando al fatto che questa stanza sarebbe di sicuro piaciuta a Dade. <Hai capito?> domanda il mio nuovo coinquilino guardandomi come se fossi uno strano animale. Sul serio, che ha da guardare?

<No. Non ho ascoltato nemmeno mezza parola> rispondo senza pensarci due volte. La sua voce profonda mi da già sui nervi e sono qui da nemmeno dieci minuti. Lui fa un respiro profondo per poi battere l'indice contro una porta che prima dalla fretta non avevo notato. La porta è di un legno chiaro. Al centro della porta sbuca un cartello con scritto "Vietato l'accesso" con sotto un disegnino di un teschio. Sbatto le palpebre incredula. Chi mette fuori la porta un pannello con scritto "Vietato l'accesso"?

<Questa è la mia camera. La tua è quella affianco> giro la testa per guardare la mia camera, ma vedo solo una porta chiusa. Mi avvicino per aprirla, ma un pensiero mi blocca. Non mi sono nemmeno presentata.

<Comunque mi chiamo Ginny> dico americanizzando il mio nome. Non voglio passare per la nuova arrivata che non sa nulla del posto dove si trova, anche se effettivamente è così.

<Io Aron> risponde guardandomi di traverso. <Comunque prima che vai nella tua camera, devi essere a conoscenza di tutte le regole. Nessuna festa. Nessuna persona invitata. Il bagno è uno e quindi si fa velocemente, massimo 10 minuti. La spesa la fa ognuno per sé. Ogni volta che si usa qualcosa la si deve mettere a posto. Il frigo si divide. La parte alta è la mia e sotto c'è la tua. Nella mia camera non puoi entrare. E... mi sa basta. Penserò ad altre regole nel corso della notte> termina il suo monologo come se nulla fosse. Come se non avesse sparato trenta idiozie con una scioltezza unica. Ovviamente di ciò che ha detto non ho capito nulla, sono rimasta al fatto che ci sono delle regole, ma per il resto chi se le ricorda. Le regole sono fatte per essere infrante è una cosa risaputa.
Chiude la porta della sua porta di scatto.
Certo che questo tipo è proprio strano. Mi incammino verso la mia camera curiosa di sapere come è. Non appena apro la porta, Aron urla dalla sua camera. <Ah, la casa ha una telecamera in ogni stanza> Spalanco gli occhi con sgomento.
Sta scherzando, ne sono sicura. Non può essere serio, insomma chi razza di decerebrato metterebbe le videocamere in casa. Guardo le pareti del salotto e noto che appeso a una parete c'è un pannello bianco con una scritta nera. "L'area è sottoposta a videosorveglianza".
Sarà sicuro un pazzo amante dei cartelli stradali.

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Ciao. Spero che abbiate trovato questa storia intrigante. Che ne pensate di Ginny e di Aron? Se ci sono degli errori scusatemi.

Un diavolo bussa alla portaWhere stories live. Discover now