17 Piccola riunione di famiglia

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Che strane creature sono i fratelli.
JANE AUSTEN

<Mi stai dicendo che il Gestator porta la droga a Los Angeles e casualmente il suo nome in latino significa Il Portatore?> asserisce Davide sporgendosi dallo schienale del divano e posando il libro che aveva in mano. È la prima volta che esprime qualcosa da quando è entrato in questa casa.
Sgrano gli occhi. Guardo Teo aspettandomi un commento sarcastico, ma lui è incantato a fissare qualcosa di non ben identificato a terra.

<Ecco io... non ci avevo pensato e...> e di certo non mi aspettavo che avesse un nome di origine latina. Siamo in America, non nell'antica Roma.
Le parole mi muoiono in gola prima che possa continuare. Mi era mancata l'innata schiettezza e intelligenza di Dade, solo che adesso mi lascia stupefatta.
Dopo il rapimento delle mie patatine da parte di Ale sono rimasta dieci minuti dentro la stanza. Quando sono uscita dalla camera ho visto Totta guardarmi con un sorriso rassicurante. Lei sa perché sono uscita. Non permetterò a nessuno di fermarmi dal vendicare la mamma. Non mi interessa quanti ostacoli incontrerò. So che la mamma non è morta per uno strano incidente. Qualcuno l'ha investita mandandola in coma per un motivo.

<Ricapitoliamo> mormora Ale mettendosi seduto a terra poiché non c'è posto sul divano. <Voi siete andati in un quartiere di drogati per scoprire che il portatore è appunto il Gestator> fa un sospiro. <Lì avete visto il professor Lee: un tizio tatuato e strano che fa combattere gli studenti dentro la scuola> Mi guarda per chiedere conferma e io annuisco. È bello guardare gli occhi blu di Ale perché aleggia familiarità, in quelli neri di Teo protezione, negli azzurri di Totta complicità e in quelli verdi di Dade solidarietà. <Siete andati a una festa dove avete sentito il nome del Gestator e di un Grande Albero dove c'era una scritta contorta>

<Che c'era scritto?> domanda Totta guardando Aron poggiato vicino al camino.

<Se.AlRb (N) Og.NiRa (W)> pronuncia prontamente lo stronzo. Faccio un sospiro per non spaccargli qualcosa in testa. Perché sapeva tutte quelle cose su di me? E perché non mi ha raccontato nulla della mamma?
Gli occhi di Teo scattano su di me ribollenti di rabbia e, come dal momento in cui è arrivato, non riesco a leggergli cosa gli passa per la testa.

<Hai qualche idea, Dade?> chiede burbero Matteo guardandomi ancora.

<No> sussurra Davide con il volto accigliato. Sappiamo tutti quanto non gli piaccia non sapere qualcosa. Per un momento nella stanza ricade un silenzio imbarazzante.

<Poi siete tornati in quella discoteca e avete trovato una foto nostra con un volantino di un bar?> continua imperterrito Ale coprendo quel silenzio assordante.

<Ma perché una nostra foto?> domanda Totta.

<Penso che questa specie di caccia al tesoro sia per voi> commenta Aron.

<Si ma perché? Perché per noi?> esclama Carlotta con un filo di voce.

<Se lo sapesse saprebbe anche chi è, Totta> ribatte Matteo prendendo la parte dello stronzo. Non ci credo.

<Ah, così sei dalla sua parte?> infervoro io. Che traditore.

<Non sto dalla parte di nessuno Gin> sbotta lui.

<Come no> borbotto incrociando le braccia al petto.

<Teo, Gin, smettetela> ci rimprovera Carlotta.

<Smetterla?> urla Matteo guardando la bionda in tralice per poi puntare quelle sue iridi fatte di ombre su di me. <Te ne sei andata lasciandoci nella merda. Sei un'egoista. Pensi solo a te stessa. La mamma è morta e tu non c'eri. Eri dall'altra parte dell'Oceano e te ne sei andata senza uno straccio di avviso. Ci hai fatti preoccupare. In tutto questo tempo non ti sei nemmeno preoccupata di mandarci un messaggio. Sei sparita come sai fare solo tu. Sei una codarda. Te ne sei scappata lasciandoci con la mamma che stava morendo. Non c'eri nemmeno al suo funerale. Se non fossimo venuti noi qui, tu non avresti nemmeno scoperto che è morta> sputa lui con rancore . Le pupille dilatate dalla rabbia non si riescono nemmeno a distinguere dalle iridi.
La vergogna si schianta nel mio petto. Sono consapevole di aver sbagliato, di essere stata impulsiva.
Sbaglio sempre. Ho sempre sbagliato.
È colpa mia. Tutto questo è colpa mia.
<Ecco dov'era la nostra cara gemellina. A fare la bella vita in America mentre noi eravamo in Italia a seppellire il cadavere della mamma. Dimmi che non è così Ginevra. Vediamo anche quanto sei bugiarda>. La rabbia e la tristezza sembrano andare sulla stessa linea d'onda. Entrambe vengono spinte dal mare mentre col cuore mi chiedo dove sto andando.
Mi alzo di scatto dal divano e vado a prendere una cosa dalla mia camera. Quando torno mi sta ancora guardando con rabbia mentre gli altri gli dicono che ha esagerato.

Un diavolo bussa alla portaWhere stories live. Discover now