60 Il 19 dicembre (parte 1)

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La luna sa cosa significa essere umani. Insicuri, soli, butterati dalle imperfezioni.
TAHEREH MAFI

Tutta questa rabbia galleggia nello stomaco. Posso ascoltare la musica a volumi altissimi ma non se ne va. Rimane lì e mi saluta bastarda. Mi sforzo a non piangere anche se sale fino agli occhi. Le dita si piegano su sé stesse.
Non voglio fare nulla.
Mi scoccio di ridere, di prepararmi, di arrabbiarmi e di piangere. Mi scoccio di respirare e non riesco a fare nulla se non questo.
Il silenzio sa lacerare il corpo più di quanto una qualsiasi ferita sa farlo.
La musica è alta nelle mie orecchie. Tutto fa così male tanto da chiedermi se non sono io che me lo rendo doloroso. Sono io, ancora io. Sono sempre io nei miei pensieri contorti. Sono sempre io. Io a piegare e stringere i pugni mentre il respiro persiste, e ancora io a contare i sospiri.
Non riesco a fare altro. Non riesco a pensare.
Non ti permettere di piangere. Non ti permettere.
Un pugno al sacco da boxe e poi un altro ancora. La rabbia aumenta e la gola si stringe. Brucia. Lo stomaco brucia. Le dita, il freddo. Bruciano. Io, sono sempre io. Non ho motivo per essere arrabbiata. Non c'è motivo.
La mia vita sembra essere stata scritta con un inchiostro macchiato, una pagina bucata e un cuore infranto in una giornata di merda.
Si dice che la nostra vita la scriviamo noi. Allora fanculo. Perché a scrivere faccio cagare. Fanculo al pazzo che mi ha dato una penna. Fanculo. Fanculo.
E fanculo perché si.
Fanculo perché è mattina e sto cercando di trattenere le lacrime. Vaffanculo perché questa fottuta giornata poteva anche non iniziare. Fanculo perché non riesco più a respirare. Mi sento come se stessi andando
g i ù . Se m p r e
pi ù  g i  ù . . .
Mi aggrappo al sacco da boxe guardando la mia pelle. Ho un top sportivo e dei pantaloncini però non sento freddo. Non riesco a provare nulla. La pelle è nuda sotto questo inverno. Stringo le dita contro il sacco come se ne valesse della mia vita.
Respira...
Mi sussurra la voce di mia madre nella mia testa.
Respira.
Un ricordo fantasma in una vita fantasma. Ecco com'è la mia vita.
La mia è una vita fantasma. Osservo i colori senza poterli toccare. Una condanna per quelli con le mani che tremano. Le cose mi attraversano. Non provo dolore. Non c'è sofferenza fisica in questa mia fottutissima vita fantasma.
Con gli occhi rossi e gonfi osservo il mondo. Lo osservo nei suoi colori. È inverno eppure il verde è sempre verde. Il sole fatica a illuminare la giornata, ma vorrei sentire solo il suo calore.
Respira...
Respiro, mamma. Sto respirando. Ancora e ancora.
I pezzi di una mente pesante si completano con questo stupido allenamento.
Lotto. Lotto con tutta me stessa dalla vita. Lotto contro il mio demone e solo adesso mi sento meglio. Mi sento meglio tra questi sospiri e questi spazi. Mi sento bene tra il nero e bianco con cui lentamente, mattone dopo mattone, sto costruendo la mia fottuta vita.
Conto i respiri. Sono arrivata a 239.

<Scusa> mi sfugge dalle labbra. Non è indirizzato a nessuno. Forse a me, o forse al passato. Forse al mio futuro che potrebbe essere diverso se nel presente facessi altro o se il passato fosse andato diversamente. Una tristezza inconfondibile mi trascina nel suo oblio. Mi allontano dal sacco da boxe e mi sistemo i capelli dalle orecchie.
Scaglio un pugno contro il sacco facendolo oscillare pesantemente andando a scontrarsi contro il tronco dell'albero a cui è legato. Il rumore rimbomba nella mia testa. Martella nella mia mente a velocità incessante mentre l'acido si fa spazio nella gola.
Stringo il pugno così forte da sentire lo scricchiolio. Mi si sono riaperte le ferite. Ancora una volta non sono riuscita a farle chiudere.
Respiro, mamma, respiro.
Sono 396 i respiri.

<Gin... i guanti> mi rimprovera mio fratello buttando una sigaretta a terra per venire da me. Ha il volto stanco e una stupida maglietta a mezze maniche.
Viene nella mia direzione e mi osserva come ha sempre fatto. Matteo mi ha sempre guardata così. Come se fossi così forte da distruggere qualunque cosa compresa me stessa.

Un diavolo bussa alla portaWhere stories live. Discover now