Conoscete quel detto che recita: capiti come il cacio sui maccheroni? Beh, i quattro giorni di ferie arretrati che la caposala mi costrinse a prendere ai primi di aprile potrebbero essere definiti proprio così. Come il cacio sui maccheroni.
Claire mi aveva ripetuto più volte di decidere la data in cui avrei preferito prendere quei benedetti quattro giorni ma, tra l'incidente di Jason e la vita frenetica con Harry e i suoi amici, continuai a rimandare, dimenticandomene completamente. Alla fine aveva deciso lei per me.
<<L'ufficio del personale mi ha dato un aut aut, Christine. O prendi le ferie ora o te le mandano in pagamento, ma io ho detto loro... >>.
<<Appunto, le vorrei mandare in pagamento, grazie>>, la interruppi, lanciandole un'occhiataccia. Quattro giorni di riposo mi avrebbero fatto comodo ma non volevo dargliela vinta in quel modo e in più un po' di soldini extra non avrebbero guastato, visto che facevo i salti mortali per non gravare sulla mia famiglia.
<<Mi dispiace ma non è possibile. Stiamo messi male con il bilancio e se non faccio del mio meglio per rientrare nei costi nessuno di voi si beccherà il premio produzione quest'anno. Dovrai accontentarti delle ferie>>.
<<Si, ma almeno posso decidere io quando andarci? Ai primi di aprile non mi servono a niente!>>, dissi con voce piagnucolosa, neanche fossi una bambina. Ero consapevole di non tenere un atteggiamento consono al mio ruolo ma quella storia delle ferie iniziava ad ostinarmi.
<<Non se ne parla. Ti avevo avvisata. Andrai in ferie da mercoledì>>.
Fine della discussione.
Feci appello a tutti gli dei dell'Olimpo di mia conoscenza per non sbattere la porta uscendo dalla medicheria. Claire era una caposala indulgente in genere, ma quando si impuntava su un qualcosa non c'era verso di farle cambiare idea.
Quando salii in macchina, felice come non mai che quel turno fosse terminato, trovai un'altra sorpresina: la spia del motore accesa. A quaranta chilometri all'ora ci misi quaranta minuti a tornare a casa e in più, nell'ultimo tratto prima di riuscire a stento a parcheggiare, il motore emise un fragore sinistro, prima di abbandonarmi del tutto.
Una volta a casa il mio già pessimo umore crollò a picco quando misi un piede su un'enorme cacca di Bacon.
<<Accidenti a me e a quando cammino scalza! Bacoooon!!!>>, urlai in preda alla rabbia e zoppicando verso la cucina per gettare nella spazzatura il calzino con su appiccicato il corpo del reato.
<<Anche il cane ipersensibile mi doveva capitare>>. E sì, Bacon era arrabbiato con me. Da due mesi a quella parte non avevo fatto altro che trascurarlo, dedicandogli sempre meno attenzioni e riducendo le nostre passeggiate allo stretto indispensabile per fargli fare i bisogni. Quello era semplicemente il suo modo per richiamare la mia attenzione.
Mi ripromisi di essere più presente per lui, mentre mi lavavo il piede nel lavandino del bagno, tentando di mandar via il profumino dei suoi escrementi.
Presi uno scivolone e per poco non mi ruppi una gamba nel tentativo di rispondere al cellulare che giusto in quel momento decise di squillare.
<<Hey, hai fatto una corsa?>>.
<<Lascia stare... giornata no>>, risposi a Harry, sedendomi sul water e finendo di asciugarmi.
<<Avanti, che altro è successo oggi?>>. Lo chiese con un tono a metà tra il divertito e il sarcastico, cosa che mi fece inalberare ancora di più. Era così scontato per lui che mi fosse successo qualcosa di eclatante?
<<Niente di che>>, risposi infatti, per non dargliela vinta.
<<Christine, stai mentendo>>.
<<Va bene, se proprio vuoi saperlo la caposala mi ha obbligato a prendere quattro giorni di ferie anche se non mi servono, la mia macchina mi ha abbandonato e il mio cane ce l'ha con me e lascia cacche disseminate per la casa che puntualmente calpesto a piedi nudi. Può bastare?>>.
<<E questo me lo chiami niente? Dire che attiri disgrazie è riduttivo!>>.
<<Spiritoso. Tu non hai mai avuto una giornataccia?>>, replicai, più acida del dovuto.
Harry, a dispetto del mio atteggiamento puerile, rise ancora di più. <<Certo, capitano anche a me, ma tu esageri!>>.
<<Deve durare ancora molto questa cosa? Ho da fare, devo chiamare un meccanico>>, ribadii spazientita. La permalosità era una mia prerogativa, purtroppo.
<<Ok ok, la pianto>>. Non ne fui del tutto convinta, visto che continuò a ridere per svariati altri minuti.
<<Se mi prometti di perdonarmi per la presa in giro posso venire io a dare un'occhiata alla tua macchina>>.
<<Perché, ti intendi di meccanica?>>.
<<Un pochino. Passo da te nel pomeriggio e vedrò cosa posso fare. Senti, per quanto riguarda quelle ferie, quand'è che dovrai andarci?>>.
<<Da dopodomani, perché?>>.
<<Niente, semplice curiosità. Ci vediamo tra poco, piccolina>>.
Vi avevo già accennato che anche lui era un pessimo bugiardo?
Alle 4.00 in punto Harry bussò alla mia porta. Quando la spalancai per accoglierlo mi resi conto che non mi sarei mai abituata alla sua bellezza. Era un qualcosa al contempo piacevole e doloroso. Sembra un connubio impossibile alla coesistenza, invece era proprio ciò che provavo ogni volta che lo avevo vicino: il piacere immenso di essere stretta tra le sue braccia e di bearmi della sua immagine perfetta e al tempo stesso il dolore, proprio perché mi sembrava tutto troppo bello per essere vero, come se io non dovessi meritarlo e stessi per perderlo da un momento all'altro. A volte ero terrorizzata all'idea che Harry potesse rinsavire e mi abbandonasse, rendendosi conto che non ero abbastanza per lui.
Non ero mai stata una persona particolarmente insicura o autocommiserativa. Avevo un sufficiente grado di autostima e tutto sommato ero sempre stata soddisfatta del mio aspetto fisico. Non che me ne curassi granché; all'aspetto puramente estetico avevo sempre preferito quello interiore, provvedendo principalmente alla mia anima. Per questo motivo passavo molte più ore a leggere, ad ascoltare musica o a studiare, piuttosto che a fare shopping e dall'estetista.
Ma da quando stavo con Harry, la mia autostima era calata, sobbarcata dal continuo paragone che inevitabilmente facevo tra lui e me. Ancora non ero riuscita a spiegarmi infatti, cosa ci avesse mai trovato di attraente in me, un dio come lui.
Quando rientrò in casa, con le mani completamente nere di fuliggine e un vasto sorriso, arrestai bruscamente il flusso del mio pessimismo.
<<Fatto!>>, mi disse soddisfatto.
<<L'hai aggiustata? Che aveva?>>, chiesi incredula. "C'è qualcosa che quest'uomo non sappia fare?".
Harry elargì una spiegazione dettagliata del guasto e di ciò che aveva dovuto fare per risolverlo, ma dopo appena un minuto di spiegazione mi ero già persa, concentrata com'ero solo sul movimento delle sue labbra.
Quando riuscì finalmente a ripulirsi le mani, si sfilò la t-shirt, macchiata anch'essa di grasso e fuliggine, con un unico rapido gesto, deliziandomi con la vista del suo addome glabro e tatuato.
Io ingoiai rumorosamente e poi distolsi lo sguardo dal suo corpo, per evitare di incenerirlo. Stavo già bruciando.
Harry ovviamente se ne accorse e, invece di rivestirsi con la t-shirt di ricambio, si avvicinò a me, lentamente, con l'incedere di un gatto eccitato dal topolino impaurito che ha finalmente messo all'angolo.
E come quel topolino, arretrai, fino a scontrarmi contro la parete con un tonfo sordo.
<<Mi stavi fissando prima?>>. Mi sussurrò la frase scendendo con il viso vicinissimo all'orecchio, tanto che potei sentire il suo alito caldo accarezzarmi una guancia. Brividi intensi mi percorsero ogni centimetro di pelle e poi si dispersero, lasciandomi addosso uno strano tremore. Non risposi alla sua domanda perché effettivamente era la verità, ma mi vergognavo troppo per dirgliela.
Lui non sembrò curarsi del mio silenzio, continuando ad infierire implacabile su tutti miei sensi.
<< Sai cosa succede alle ragazzine curiose che spiano i maschi mentre si spogliano?>>.
Io deglutii ancora e poi spalancai gli occhi. Harry afferrò la mia coda di cavallo, tirandola leggermente ma con determinazione e poi si parò a un paio di centimetri dalla mia faccia. <<No, dimmelo tu>>, dissi in un flebile sussurro.
<<Che se uno di quei maschi si dovesse accorgere di essere spiato finirebbe molto male, per quella ragazzina>>. Strattonò ancora più forte i miei capelli. Dio, sembrava un animale selvatico.
<<Male in che senso?>>. Mi mancava l'aria. Iniziai ad ansimare per incamerare più ossigeno possibile, pensai.
<<Che potrebbe essere scopata fino ad implorare pietà>>.
Quella frase bastò quasi a farmi venire, lì in piedi, senza neanche essere sfiorata. Adoravo l'Harry dolce e premuroso che avevo conosciuto le prime due volte in cui avevamo fatto l'amore, ma quello che avevo di fronte in quel momento, volgare e selvaggio, era decisamente la cosa più eccitante che avessi mai provato. E fui certa che quella fosse anche la sua vera natura e chi ero io per impedirgli di essere se stesso?
<<E se lei non volesse?>>, lo provocai, meravigliandomi della voce sensuale con cui mi uscì quella frase ma al tempo stesso sempre più eccitata. Era sempre così con Harry: una continua lotta interiore tra vergogna e desiderio, tra ragione e istinto.
<<Sentiamo un po' quanto lei non voglia, essere scopata come si deve>>.
Harry con un gesto fulmineo infilò una mano nei leggings e un dito nella mia fessura.
<<Dio, Christine... sei fradicia... >>, disse appoggiando la sua fronte alla mia e chiudendo gli occhi. Trasse un profondo respiro, come se stesse realmente lottando per trattenersi da un istinto brutale, mentre mi penetrava lentamente con un altro dito, dilatando la mia fessura ancora di più.
Con l'altra mano si slaccio il bottone dei jeans e poi abbasso la lampo e i boxer. Afferrò la mia mano e la avvolse attorno alla sua erezione che mi impressionò per quanto fosse turgida. Temetti quasi che potesse esplodere come un petardo tra le mie mani.
<<Si così, piccola... cazzo... si... >>, lo sentii ansimare ad ogni movimento della mia mano, che era in sincrono con la sua dentro di me. Quando Harry aumentò la velocità del suo ritmo, istintivamente lo feci anch'io. Ero vicina al limite, e lui con me.
Il gemito che mi sfuggì fu quasi un urlo e con piccole spinte delle anche, iniziai ad andare incontro alla sua mano, assecondando i suoi movimenti.
<<Se continui a scoparmi la mano così, ti verrò addosso, ti avviso>>.
<<Christine, ciao! Dove sei? Ho visto la tua macchina qua fuori>>.
Merda.
Doppia merda.
Harry e io ci staccammo in modo quasi doloroso, affrettandoci a rivestirci.
Quando andai in soggiorno ero praticamente sconvolta, mi tremavano le gambe, le guance mi andavano a fuco e l'elastico tra i capelli era penzoloni.
Salutai Michelle evitando il suo sguardo. Mi si leggeva in faccia quello che stavo combinando in camera mia. Fortunatamente lei ebbe la decenza di fingere indifferenza.
Harry filò in bagno e ne uscì poco dopo sorridente come se nulla fosse. Salutò la mia coinquilina e trovò anche il coraggio di fare qualche battuta.
Io ero praticamente paralizzata dall'imbarazzo, neanche fosse stata mia madre a tornare in casa e non una mia amica. Ma il fatto di star facendo una cosa per me così intima e nuova con il sottofondo della voce stridula di Michelle mi aveva messo addosso una strana agitazione.
Harry, intuendo il mio imbarazzo decise di congedarsi.
<<Mi accompagni alla macchina?>>, mi chiese, e gliene fui immensamente grata. Un po' di privacy e aria fresca era quello che mi ci voleva.
<<La cosa che stavamo facendo prima la continueremo a breve, te lo garantisco... e non solo quella>>, mi disse con fare malizioso, quando fummo sul marciapiede di fronte alla Range Rover.
<<Non esserne così sicuro. Chi ti dice che ci rivedremo in questi giorni? Oggi è solo lunedì>>.
<<Me lo dicono questi>>.
Harry tirò fuori dalla tasca posteriore dei jeans due cartoncini bianchi rettangolari, simili a dei biglietti aerei.
<<Cosa sono?>>, gli domandai, incuriosita.
<<Biglietti aerei. Si va a Rennes, in Francia>>.