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By -TRVCHEITE

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ยซTu, passante, ricorda, quando voltate le spalle te ne andrai, che, come noi, ombra e cenere tornerai.ยป Copyr... More

๐ƒ๐„๐’๐๐„๐‘๐€๐ƒ๐Ž - PREFACE
โ˜ฉ ๐€๐๐Ž๐‚๐€๐‹๐ˆ๐’๐’๐„ โ˜ฉ
โ˜ฉ Prologo โ˜ฉ
โ˜ฉ UNO โ˜ฉ
โ˜ฉ DUE โ˜ฉ
โ˜ฉ TRE โ˜ฉ
โ˜ฉ QUATTRO โ˜ฉ
โ˜ฉ CINQUE โ˜ฉ
โ˜ฉ SEI โ˜ฉ
โ˜ฉ SETTE โ˜ฉ
โ˜ฉ OTTO โ˜ฉ
โ˜ฉ NOVE โ˜ฉ
โ˜ฉ DIECI โ˜ฉ
โ˜ฉ UNDICI โ˜ฉ
โ˜ฉ DODICI โ˜ฉ
โ˜ฉ TREDICI โ˜ฉ
โ˜ฉ QUATTORDICI โ˜ฉ
โ˜ฉ QUINDICI โ˜ฉ
โ˜ฉ SEDICI โ˜ฉ
โ˜ฉ DICIASSETTE โ˜ฉ
โ˜ฉ DICIOTTO โ˜ฉ
โ˜ฉ DICIANNOVE โ˜ฉ
โ˜ฉ VENTI โ˜ฉ
โ˜ฉ VENTUNO โ˜ฉ
โ˜ฉ VENTIDUE โ˜ฉ
โ˜ฉ VENTITRร‰ โ˜ฉ
โ˜ฉ VENTIQUATTRO โ˜ฉ
โ˜ฉ VENTICINQUE โ˜ฉ
โ˜ฉ VENTISEI โ˜ฉ
โ˜ฉ VENTISETTE โ˜ฉ
โ˜ฉ VENTOTTO โ˜ฉ
โ˜ฉ VENTINOVE โ˜ฉ
โ˜ฉ TRENTA โ˜ฉ
โ˜ฉ TRENTUNO โ˜ฉ
โ˜ฉ TRENTADUE โ˜ฉ
โ˜ฉ TRENTATRร‰ โ˜ฉ
โ˜ฉ TRENTAQUATTRO โ˜ฉ
โ˜ฉ TRENTACINQUE โ˜ฉ
โ˜ฉ TRENTASEI โ˜ฉ
โ˜ฉ TRENTASETTE โ˜ฉ
โ˜ฉ TRENTOTTO โ˜ฉ
โ˜ฉ TRENTANOVE โ˜ฉ
โ˜ฉ QUARANTA โ˜ฉ
โ˜ฉ QUARANTADUE โ˜ฉ
โ˜ฉ QUARANTATRร‰โ˜ฉ
โ˜ฉ QUARANTAQUATTRO โ˜ฉ
โ˜ฉ QUARANTACINQUE โ˜ฉ
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โ˜ฉ QUARANTUNO โ˜ฉ
โ˜ฉ QUARANTADUE โ˜ฉ
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โ˜ฉ QUARANTASETTE โ˜ฉ
โ˜ฉ Epilogo โ˜ฉ
DESPERADO - POSTFACE

โ˜ฉ QUARANTUNO โ˜ฉ

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By -TRVCHEITE

☩ D E S P E R A D O - APOCALISSE ☩
XLI
Non ho paura

E dopo quella notte, tutto è stato chiaro nella sua mente. Ha ripreso al massimo delle energie gli allenamenti – ha spinto il corpo all'estremo, di nuovo, sotto lo sguardo preoccupato e ammirato del suo secondo, quello divertito e sconcertato di Terence, quello combattivo e di sprono dei suoi colleghi, quello incuriosito di Michelle, che lo guarda dai suoi occhi azzurri e non sa spiegarsi quanta dedizione un uomo possa davvero contenere.

Quella mattina Trevor se ne sta in casa, steso sul suo tappetino: si inarca in qualche posa di yoga, distende le gambe e le braccia, il più flessibile possibile, mentre rilegge per l'ennesima volta instancabile il Simposio di Platone: ai margini delle pagine è tutto ricoperto in matita dei suoi appunti, nella sua calligrafia curata e fitta, nelle mille domande che si è posto durante quei dialoghi, quelle descrizioni, tutto è nello sguardo contratto di quell'uomo che adesso legge veloce quelle parti, cambiando posizione. Non si spiega come agosto abbia fatto ad arrivare, e nemmeno tutto quello che l'ha convolto in quel mese: è successo tutto e nulla. Ha proseguito con la sua vita che ormai ha una routine anche lì, ha visto e parlato con Terence così tante volte da aver perso il conto, studiato con Michael fino a notte fonda nuove tecniche e modelli di combattimento, instancabili; ha passato intere serate con Michelle, accompagnandola a lavoro o semplicemente mangiando qualcosa assieme sotto le stelle coperte dalle nuvole, a chiedersi anche lì il tutto o il nulla: e Michelle in fondo continua a non dirgli nulla di lei. Resta sempre quella patina che la rende sfocata al suo sguardo, è bellissima, pura e demoniaca nel suo sguardo, è segreti e crudeltà nelle sue labbra, è tagliente – e quando gli sorride il mondo crolla e rovescia su sé stesso. Si dice che non ha mai conosciuto nessuno come conosce quella stripper, e comunque sente di non conoscerla ancora così profondamente – sa solo che è Michelle nelle corse in quei tacchi, quando arriva nel suo solito ritardo; è Michelle nel caschetto liscio e nero che le accarezza il collo, Michelle negli occhi azzurri e truccati di scuro, Michelle nel rossetto rosso sbavato dalle cene, nei vestitini corti e leggeri, nelle vestaglie che le coprono il corpo ricoperto da diamanti e lingerie, il suo sorriso accattivante e seducente, la sua voce di liquore, la sigaretta tra le dita che più che mai perde consistenza, in mezzo ai suoi denti bianchi, alla sua pelle lattea e intoccata da brufoli o solchi, al suo respiro fresco. Più ci pensa e più si convince che non ci impazzirà dietro: più la conosce più sa che Michelle è davvero un'esperta nel suo lavoro, non conosce nessuna che possa far dannare così tanto qualunque uomo, piegarlo al suo volere fino a renderlo un guscio privo di tutto. E sa bene quanto quella stripper tragga piacere dal farlo: lei vive per gli sguardi adoranti che le persone che le passano accanto le rivolgono, vive per le occhiatacce di invidia di donne che sognano di essere lei, cammina con quegli spilli sugli sguardi di odio di uomini che sanno di non poterla avere. Michelle si sessualizza allo sfinimento consapevole che nessuno potrà trarre nulla da lei se non la visione del suo corpo nudo: è la sua crociata personale, è la missione di vita che porta in stendardo lungo il cammino, fuoco vivo che arde nei suoi occhi e la anima della voracità della lussuria e dei suoi mille specchi che la tengono intatta. Ma lontano da tutti quegli sguardi, lontana dal Dawn, da Liza e Doll, da Judas, da Judith, da Maggie, e da chiunque ha sempre fatto parte della sua vita, da chiunque la guarda e la sogna, la brama, la odia, Michelle ai suoi occhi, con il suo sorriso, e le sue battutine, è tutto quello che Trevor si è sempre privato. Quella donna ha una forza di vita che le scorre nel petto, ha un modo di sfiorarlo nei pensieri, di condividere la sua stessa rabbia con quel mondo marcio, di non sottomettersi a situazioni che vuole controllare, che lo mettono in difficoltà: Michelle è un vero casino, proprio come lo è lui. Nella sua amoralità, nel suo continuo tentare di essere adulata da tutti, Michelle è un casino proprio come lo è Trevor: si somigliano così tanto anche in ciò che li distingue che ogni tanto preoccupa quell'uomo ora disteso sul tappetino, che disegna nella sua mente l'immagine di quella donna pura e profana. Non ha mai sentito nessuno così distante e vicino come Michelle: brucia come fuoco ed è anche una doccia di ghiaccio, lo destabilizza e lo fa sentire vivo, pronto a tutto ma anche colmo di nulla, un nulla che Michelle colma con le sue parole, con i suoi pensieri, con quei racconti che dicono tutto del mondo e nulla di lei, di ciò che era prima di essere una pole dancer, una stripper, il frutto di una moralità persa e dimenticata. E sa bene che sta iniziando le privazioni, e privandosi del cibo, si priva anche di lei: perché Michelle non può comprendere a fondo quanto lui sacrifichi per il pugilato, quanto butta via di sé per restare vivo; non deve saperlo, non può davvero toccarla una cosa così, non ad una persona come Michelle che non è toccata da nulla se non da sé stessa. È giusto così, Trevor ha accettato anche questa parte nella loro amicizia così imprevedibile: e allora, steso su quel tappetino, ripensa solo al suo sguardo, sospira, e freme. Freme perché sente un cambiamento, lo percepisce all'altezza dello stomaco, semplicemente non lo accetta: non accetterà più alcun cambiamento, non da quando Sylvia stava per rovinargli la vita, non da quando è partito per arrivare a Desperado. Si convince: mancano tre settimane, e sarà di nuovo sul ring, un altro solo incontro di riscaldamento con un rivale della Thunderstorm Gym e sarà finalmente portato sul podio di Desperado, pronto agli incontri Internazionali. E a quel punto, il mondo intero inizierà a conoscerlo come L'Ombra di Desperado, e mai più come quella di Filadelfia. E questa volta, potrebbe davvero esserci un senso al tutto.

Arriva alla Conquest Gym che è ormai svuotata dopo il tramonto: l'orario di cena è sempre il momento migliore se ci si vuole allenare in solitudine. Trevor se lo fa andare bene come orario Michael è poco lontano dalla palestra a prendersi una pausa – quella palestra tanto non la tocca nessuno, proprio come quell'allenatore. Il pugile supera le porte d'entrata, e la visione è sempre la stessa: il ring al centro, i pesi, le attrezzature per i circuiti, tutto assemblato nel minimo dettaglio, e poi i sacchi di pugilato disparsi lungo tutta la palestra, pronti per essere picchiati, nelle loro migliori condizioni. Lui sorride, felice di poter aspettarsi ciò che vede: ora è tutto chiaro nella sua mente, tutto solito, tranquillo, disteso. Evita solo gli specchi, come sempre, non vuole cadere nella dissociazione proprio adesso che inizia la parte difficile del lavoro, allora va dritto agli spogliatoi, aprendo la porta. 

L'inaspettato gli crolla addosso, amaro e ghiacciato. Degli occhi azzurri si alzano a guardarlo, terrorizzati e spalancati, le ciocche bionde umide cadono appena sulle sopracciglia, la bocca contratta di quel pugile esile ora si dischiude, il volto dagli zigomi visibili e la mandibola tagliente impallidisce d'un tratto, incavandogli ancora di più le guance e le palpebre. Dalle dita esili lascia cadere le fasce che stava avvolgendo attorno al torace ancora scoperto, e la consapevolezza squarcia entrambi: sotto i capezzoli due cicatrici visibili, scure e definite, il segreto che portava stretto sotto quelle fasce bianche, speranzoso che Trevor non lo conoscesse mai. Il pugile alza subito lo sguardo, maledicendosi per essersi fatto trasportare dalla curiosità: incontra gli occhi di Terence, e non sa cosa dirgli. Stanno in silenzio, non riesce a sentirsi nemmeno il respiro dei due sotto il ronzio dell'impianto di areazione, quanto la tensione prende a pugni lo stomaco di entrambi. Guarda Terence, e sente una fitta al petto quando lo guarda mettersi in posizione, lo sguardo completamente trasformato: se ne sta a guardarlo, livido e serio, il pugno destro accanto al naso e quello sinistro in avanti, porta indietro la gamba destra, i piedi coperti solo dai calzini, il corpo che trema.

-Non ho paura. – le sue prime parole: guarda l'altro, pronto a difendersi da un possibile attacco, i muscoli appena definiti delle braccia, gli addominali contratti. Trevor fa un passo indietro, quasi in difesa. Ora i respiri si avvertono: sono pesanti, sanno di parole non dette, che non si riescono a pronunciare. Guarda davanti a sé e vede solo Terence: il ragazzo tanto divertente quanto comprensivo che ha imparato a conoscere in quei mesi. Guarda le mattinate passate a correre, le risate mentre si saliva il Golgota, le proteine assunte dopo gli allenamenti, le notti passate in discoteca o a bersi una birra. Terence gli è entrato nel cuore più silenzioso rispetto a Michelle: ha preso il suo posto, e non si è mai smosso da lì; gli ha risollevato le giornate con una risata sincera, si sono spintonati quando ne avevano abbastanza di entrambi, si sono sostenuti quando gli allenamenti si facevano più duri. E ora, davanti al suo sguardo duro e alla sua posa da boxe, si chiede cosa sia cambiato tutto d'un tratto, perché la fiducia può essere distrutta in un solo colpo. Trevor tiene saldo sulla spalla il borsone, guarda affranto il ragazzo.

-Scusami. – e l'altro spalanca gli occhi, sorpreso più da quelle parole che da un possibile pugno.
-Cosa?
-Scusami: avrei dovuto bussare prima. Pensavo non ci fosse nessuno, mi dispiace. – pone solo Trevor, e spera che quel suo dispiacere colmi il divario che sente ora tra loro – si è davvero affezionato a Terence. Non lo credeva possibile, è sempre stato scettico, ha sempre pensato che con quel pugile sarebbe stato solo uno scambio superficiale delle giornate: ma è tutto più di questo, Terence è più di così, Terence è l'unico che l'ha accolto da subito, interessato al suo essere forestiero, ma prima di tutto interessato a farlo sentire al suo posto, in mezzo a tutti – quando è il ragazzo davanti a lui che ora ha bisogno di sentirsi al suo posto, al sicuro e protetto da una qualunque violenza che non lo accetterebbe come tale, solo perché ha scelto chi essere.
-Tu...? – Terence non sa nemmeno come porre quella domanda, non sa come formularla, sconvolto com'è dalle scuse di Trevor.
-Cosa?
-Tu, insomma, non chiedi niente? Non fai niente? – domanda, ancora più sconvolto, e quello che fa Trevor lo stupisce ancora di più: il pugile infatti fa spallucce, tranquillo.
-Cosa dovrei chiederti? – i due si guardano, in silenzio, il biondo scioccato e il pugile alto e col borsone sulla spalla in attesa di spiegazioni. A un tratto Terence sbuffa una risata, si porta le mani tra le ciocche bionde, incredulo.
-Per i cavalieri, davvero? Non mi chiederai nulla? Nessuna domanda sulle cicatrici? Niente di tutto questo? – si volta per un attimo verso gli armadietti azzurri, battendo le mani sulle cosce, per poi voltarsi, furente. -Vedi che non mi vergogno a dirlo, lo sai? Sono un uomo trans, non mi vergogno ad essere chi sono. Voglio solo sapere chi sei tu. – quella confessione non richiesta fa amareggiare ancora di più Trevor, che si chiede quante volte ancora la gente debba obbligarsi a giustificarsi per cose che non riguardano nessuno. Quest'ultimo si guarda la canottiera nera e la gonna che gli scopre le cosce allenate.

-Sono Trevor, un pugile. Ma penso questo tu lo sappia già. – e il biondo lo guarda ancora, sconvolto, ma non fa in tempo a parlare che Trevor lo ferma subito, facendogli formare un groppo alla gola. -E parleremo di qualunque cosa tu voglia solo quando ti sentirai al sicuro e capace di parlarne. Per me sei Terence, un pugile, e un uomo, non ho bisogno di sapere altro. Ora ti lascio vestirti, non volevo entrare d'improvviso. – si congeda così, si volta verso l'uscita, vuole assicurarsi che nessuno abbia visto Terence, così da proteggerlo, ma non fa in tempo a fare nulla perché si sente afferrare dalla canottiera, e si ritrova stretto tra le braccia di quel ragazzo, che lo tiene abbracciato a sé con una forza disperata e che gli toglie il fiato. Preso alla sprovvista, si abitua piano a quella stretta disperata, e si rilassa, accarezzandogli la testa bionda premuta con forza contro il petto, la canotta umida per le lacrime di quel ragazzo che tanto gli stringono il cuore. Gli avvolge le spalle nude con le braccia: sente il percorso delle sue ossa, i suoi muscoli sotto il derma, la ruvidezza della pelle, il leggero solco lasciato dai brufoli; gli lascia un bacio tra i capelli con dolcezza, sperando gli arrivi il suo affetto.
-Mi dispiace. – sussurra, flebile. -Quando ti ho fatto la domanda sugli specchi. Mi dispiace tanto. – e Terence tira su col naso, ovattato dalla stretta che ha con Trevor, sorridendo flebile.
-Tranquillo, testone: mi hai solo un po' preso alla sprovvista. – se ne stanno per un po' stretti così, nel silenzio di quegli spogliatoi, nel silenzio dei loro corpi, nella stretta forte e calda che si scambiano, con Terence che può sentirsi al sicuro, con Trevor che tra le sue braccia lo tiene al sicuro da quel mondo che potrebbe volergli male.

Stanno sul marciapiede davanti la palestra: Michael è tornato, ma vedendo Terence con gli occhi arrossati sotto il braccio di Trevor, ha preferito non fare domande ed è entrato silenzioso in palestra a sbrigare carte. Il biondo fuma, ancora scosso dal pianto finito poco prima, ora completamente vestito e sicuro sotto il braccio del pugile. Il più piccolo tira su col naso, e dà un tiro anche alla sigaretta, che stringe tremante tra le dita.
-Capirai che ho i miei motivi per non avertelo detto.
-Non mi servono spiegazioni: dico davvero. – lo rassicura l'altro, e Terence gli rivolge un sorriso sincero, per poi tornare a guardare la strada davanti a sé.
-Non mi aspettavo molto da uno come te, Trevor. Sei il primo forestiero che conosco, e se ho imparato qualcosa è che degli sconosciuti non ci si fida mai, non per queste cose. Ho sinceramente pensato non l'avresti saputo mai se non fosse stato necessario. Mi sarei fatto mettere tutti gli incontri prima dei tuoi, o non ti avrei mai fatto sapere la data, così che tu non potessi saperne nulla, così che tu non deludessi le aspettative che iniziavo a farmi. – si volta a guardarlo, gli occhi azzurri lucidi, il mento che trema: sbuffa una risata che gli stringe lo stomaco, che stringe anche quello di Trevor, i peli che si rizzano dal freddo e dai brividi. -Io non pensavo saremmo mai arrivati fino a qui: eri semplicemente una persona nuova, e mi interessava sapere solo come tu avessi fatto ad arrivare qui. Non mettevo in considerazione il fatto che mi sarei affezionato, schivo com'eri pensavo avresti limitato conversazioni, non lo so nemmeno io.
-Pensavo anch'io saresti rimasto un volto in mezzo a tanti altri, Terence.
-Non ho avuto una vita facile, Trevor; le persone come me non la hanno. Io non l'ho mai avuta, da quando ho scelto di fare pugilato, da quando ho iniziato a guardarmi allo specchio e a capire che nulla era al suo posto. Mi privavo il cibo, sperando di ridurmi all'osso, sperando che ciò che avevo sparisse – abbassa appena lo sguardo, rivolto al suo petto, ma questa volta non si guarda troppo, ha paura di ricadere in quel terrore che l'ha tenuto soggiogato per anni. -E Michael ha iniziato a darmi addosso, perché non potevo proseguire gli allenamenti se non riprendevo un peso che mi tenesse in piedi. Ma non sapevo nemmeno come spiegare a me cosa stava succedendo, figurati spiegarlo al mio secondo che è una delle persone più severe e ligie al dovere che io abbia mai conosciuto. – si tira le ginocchia al petto, gli occhi persi sull'asfalto, le parole che graffiano la pelle di Trevor che lo ascolta, in silenzio. -E più mi parlavano, più ripetevano quel nome, più mi guardavano, più mi guardavo, più tutto si deformava. Vedevo Judas e sognavo un corpo come il suo, guardavo Jamie e speravo di sentirmi come loro. Mi guardavo nudo e solo e mi ripetevo che non era giusto vivere in un corpo che non avrei mai potuto sentire mio. Mi toccavo ed era tutto così sbagliato, era tutto così terribile, era un incubo che avevo disegnato addosso e che non sapevo come modificare. A sedici anni ancora non potevo permettermi un binder, e mi fasciavo il petto sperando che tutto quello che avevo scomparisse sotto le fasce; volevo che Bev e Celine parlassero di me al maschile, guardavo Jamie e Judas e mi chiedevo come avrei potuto spiegar loro che avrei voluto fare sparring con loro, anche se più esile, anche se avevo ancora un corpo e degli ormoni troppo diversi dai loro. – si porta i palmi agli occhi, coprendosi vergognoso le lacrime che ora più di prima minacciano di uscire. Quella storia squarcia il petto di Trevor: non può minimamente immaginare tutto quello che Terence abbia passato in quegli anni, quel racconto non rende minimamente giustizia a tutto il dolore e al disagio provato, alla paura di sentirsi sbagliato, solo, quello che chi non ha pietà o sentimento giudica con sprezzo diverso. Lo stringe con forza a sé, fa scorrere qualche lacrima in silenzio, lacrime che la sera nasconde nel suo manto scuro: non vuole che Terence lo guardi così, non è giusto, è il momento che si liberi di quel peso che lo angoscia, che lo ha sempre tenuto un passo lontano da lui.

-Quanto cazzo fa schifo sentirsi così, Trevor. La disforia mi ammazzava il cervello, e non sapevo nemmeno come uscirne: mi ero allontanato da tutti, non mangiavo più, sperando che passare le ore al sacco mi togliesse via da quel pensiero; ho coperto ogni singolo specchio che avevo a casa sperando che la mia immagine non mi ripudiasse più, ma è stato tutto inutile. – singhiozza, mangia le parole tra quelle lacrime, perché il dolore che ha sempre provato non è mai riuscito davvero a spiegarlo a parole. -Michael s'era accorto che qualcosa non andava: m'ha preso da parte, ha cercato di capire cosa non andasse, anche se non sapevo nemmeno come dirlo. Non ho mai chiesto ai miei cosa pensassero di cose simili, non lo sognavo nemmeno: avevo paura che mi buttassero fuori casa, che mi lasciassero solo allo sbaraglio. Ho dovuto spiegare a Michael quello che provavo, e mi sentivo così debole, e avevo così paura che tutti gli sguardi di sprezzo che ho ricevuto negli anni si ripetessero anche negli occhi del mio allenatore. E sai che ha fatto, quel gran bastardo? – gli domanda, retorico, con un sorriso immerso nel pianto, con Trevor che scuote la testa, incapace di dire una parola, il pianto che lo strozza.

-Mi ha ascoltato. Mi ha stretto le mani e mi ha ascoltato: mi ha fatto piangere, maledire il cielo e la vita per avermi dato una vita che non volevo. E poi mi ha ridato indietro la vita che sognavo: mi ha regalato un binder, ha fatto intere sessioni di sparring con me, mi ha insegnato la tecnica, mi ha chiesto il mio vero nome. È stato il primo a sapere il mio nome, Michael è stato il primo a conoscermi per quello che sono: Michael mi ha chiamato Terence nel silenzio e nei complimenti, mentre nessuno poteva ascoltarci, quando avevo ancora troppa paura. Non serviva mi trattasse in modo diverso, perché donne e uomini della Conquest sono trattati tutti allo stesso modo, è sempre stato così: avevo solo bisogno che mi conoscesse e mi accettasse per quello che sono. Volevo mi guardasse come guarda Judas e Jamie, come guarda te. Mi ha procurato delle visite psicologiche presso i centri di studio, e mi ha aiutato dove pensavo nessuno mi avrebbe aiutato: prima di farmi entrare tra i professionisti, mi ha accompagnato dallo psicologo, e mi ha aiutato a pagare la transizione. Correva con me, mi ricordava le assunzioni ormonali, mi ha accompagnato alle operazioni, promettendomi che dopo sarebbe andata bene, che mi sarei sentito al mio posto. Michael mi ha ridato il posto in una vita che non sentivo più appartenermi, mi ha dato il mio vero essere, mi ha aiutato a far congiungere tutto. – e in quel momento a Trevor sale un conato a ripensare alle parole che Michael gli ha detto solo un mese prima.

i miei allievi sono come figli per me

Lo ha inteso profondamente: Terence è un suo allievo, ma è un figlio per lui. Gli è stato accanto dove nessuno è arrivato, lo ha sostenuto quando pensava i genitori di quell'uomo non gli sarebbero stati accanto, ha dato tutto per non perderlo per sempre.

-Michael è un padre per me. – prosegue dopo un po', tirando di nuovo su col naso. -So che è una testa di cazzo quando ci si mette, so che è un sacco pretenzioso, non gli va mai bene nulla; davvero lo conosco, ci lavoro ancora adesso, il suo atteggiamento con la disciplina non è mai cambiato. Ma so anche che Michael darebbe la vita per noi, e non scherzo: ogni suo allievo per lui è una persona di cui prendersi cura e che accompagna fino al ring. Ma da quando gli ho detto tutto, non ha mai usato una parola fuori posto: si è davvero interessato alla mia causa, si è da subito informato su cosa potesse fare, è sempre stato in prima fila per me, sostiene la causa per farmi lottare e riconoscere come un pugile qualunque, quando nel pugilato la questione dei lottatori transgender è ancora travagliata e complicata, e non si arrende. Non so se Nixon sarebbe stato capace di cose del genere, nemmeno mi interessa: so che Michael ha dato sé stesso per me, e che non lo dimenticherò mai. E adesso riesco a guardarmi allo specchio, e sono davvero sexy. – conclude, cercando di stemperare la tensione, anche se non ci riesce bene: ha ancora il pianto a mangiargli le parole, a fargli tremare il mento e la bocca che cerca di sorridere per quanto può. Trevor lo abbraccia più forte che può, sperando quell'abbraccio lavi via tutto il dolore di quei ricordi, tutta la fatica fatta per arrivare fin lì, per sentirsi giusti in un mondo ingiusto. Se ne stanno abbracciati in quella serata fredda, con Michael che li guarda da lontano, a braccia conserte, sperando non sia successo nulla di grave, sotto i loro silenzi che si dicono già tutto quello che c'è bisogno di dire.

-Trevor, rivedo in te Michael. – Terence alza lo sguardo, incontrando quello sorpreso dell'uomo. -Non nei capelli, si intende, quello ormai è pelato come un pomodoro. Ma, sai, quando le persone sanno cose simili, non è mai facile interpretare le loro reazioni: molte sono stupite, altri fingono di interessarsi, altri ancora fanno anche solo fatica ad accettare una cosa del genere sia possibile; io lo so bene, ci sono passato tante volte, soprattutto con chi non capisce che a volte le persone non sentono proprio il loro stesso corpo o la loro appartenenza a un genere socialmente e culturalmente prestabilito. Ma tu, sei stato proprio come Michael: non hai visto in me null'altro che io non volessi mostrarti. Hai da subito usato il maschile con me, senza dubbi, non hai riconosciuto alcun tratto vecchio che potesse tradirmi. E quando mi hai visto per ciò che è rimasto di quello che non sono, io son rimasto comunque Terence ai tuoi occhi. Trevor, tu sei una delle persone migliori che io conosca: tu sei quello che definisco amico. Grazie. – e Trevor lo guarda, senza parole, l'espressione contratta e stupita del viso: si copre gli occhi coi palmi delle mani, soffocando i singhiozzi, incapace di parlare, quelle parole che gli fanno in pezzi il cuore. Terence lo abbraccia, ridendo tra le lacrime, stretto a lui.

-Fanculo, che vite drammatiche vero? – domanda, cercando di far smettere di tremare il più grande, pauroso di poterlo veder cedere al pianto. E Trevor ridacchia, incapace di fermarsi da quel lacrimare straziato, infossato nelle spalle, nascosto da quelle mani.
-Vaffanculo Terence, vaffanculo. – mormora, con la voce arrochita dal pianto. -Certe cose non si dicono. – lo ammonisce, facendolo ridere ancora più forte.
-Cosa non dovrei dire?
-Che sono tuo amico.
-E perché no? È vero, e stasera è stato il coronamento proprio. Se non vuoi essere mio amico possiamo comunque provare ad andare a letto, sai eh? – e quell'altro gli smolla una gomitata, che aumenta solo le risate. Si abbracciano di nuovo, e Terence gli lascia un bacio sulla porzione di guancia scoperta dalle mani.
-Trevor Ward, sei l'uomo più bello che io abbia mai visto, e anche il più gentile e comprensivo. Hai voluto fare il duro a marzo, ma non attacca: sei troppo incredibile per nasconderlo, è questa la verità. – e l'altro allora sorride, carezzandogli i capelli.
-Smettila: non sono così perfetto come credi.
-Ma smettila e non fare il modesto! Sei sicuramente il più affascinante che io abbia conosciuto, sono assolutamente contrario al fatto che io ti abbia visto per primo e non abbia avuto l'onore di poterti accaparrare. – ma non possono finire di ridere che l'attenzione di Trevor è rivolta verso una figura che si avvicina: e questa volta nessuna impressione tiene, perché ciò che vede davanti ai suoi occhi è lo sguardo di Judas, l'odio viscerale che porta negli occhi, il naso integro e guarito, silenzioso diretto alla palestra. Trevor fa alzare di fretta Terence, che prova a chiedergli spiegazioni, ricevendo solo un "Presto, lontano da qui". La notte su Desperado inizia a calare, diventando più fredda, più difficile da mandare giù.

-Cosa ha fatto quel pezzo di merda?!
-Calmati, non risolverai nulla arrabbiandoti. – Terence nemmeno ascolta il suo amico, rosso in volto di rabbia, pronto a tornare indietro ancora più di corsa di prima, per riempirlo di cazzotti in faccia: ha sempre saputo Judas fosse un idiota pompato, ma quella volta ha superato tutti i limiti previsti dalla sua pazienza. Trevor lo tiene fermo dalla vita, mentre l'altro prova a muovere i piedi per tornare alla Conquest, anche se ha una forza minore rispetto a quella di Trevor.
-Ehi! Non sfruttare il mio peso piuma, devo andare a gonfiarlo! Nessuno può dare della troia alla streghetta. – Trevor sorride, a vedere l'apprensione che quell'uomo nutre verso Michelle, la rabbia che prova a vedere ingiustizie simili.
-Calmati, peso piuma: ci ha già pensato Michelle ti ho detto.
-Gli do un altro pugno giusto per assicurarci non lo dica più. – promette, ancora più arrabbiato di prima. Il più alto alza gli occhi al cielo, sospirando.
-Non risolverai nulla spaccandogli di nuovo il naso.
-Lo so: ma cosa importa? Le ha dato della troia, se non fosse stata Michelle non immagino nemmeno cosa avrebbe fatto a, che ne so, una ragazza come Maggie? Michael deve saperlo, non accetto continui a far allenare quello stronzo nella sua palestra.
-E secondo te Michelle lo vorrebbe? – cerca di farlo ragionare l'altro, per non combinare più danni: se Michelle venisse a sapere che ha detto tutto a Terence vedrebbe già la sua furia scatenarsi su di lui, e non ne ha particolare voglia.
-E secondo te non lo rifarà?
-Non ho detto questo! Ho detto che Michelle non lo vorrebbe, perché non te l'avrei dovuto dire, cazzo.
-Ma me l'hai detto!
-Perché non mi aspettavo di vederlo arrivare! Eravamo in una conversazione seria, e non credo Judas abbia voglia di vedermi!
-Oh, che sia maledetto Conquista, e pensi di non venire più in palestra?
-Non ho detto questo. Ho detto che dobbiamo mantenere un profilo basso e cercare di avere meno contatti possibili.
-Cazzo, cazzo! – sbraita il più giovane, dando un calcio al muretto vicino, in preda alla rabbia. -Ecco perché, porca troia, me lo sentivo che c'era qualcosa che non andava.
-Che intendi? – quello si volta a guardare Trevor, che lo osserva aggrottato e confuso. Terence si guarda attorno, la bocca contratta, volendo sfuggire a quella situazione.
-Sai il tizio con cui hai l'incontro?
-Sì, Connor Wolfe, giusto? – e Terence annuisce, livido in volto.
-È il migliore amico di Judas. L'ha convinto lui, sicuramente: vuole farti a pezzi. È un colpitore d'incontro, come Judas: dato che lui non può salire sul ring contro di te, manda lui. – i due si guardano.

-È un casino, vero? – domanda l'uomo, che però si ritrova a sorridere. -È un gran casino. – mormora, sognante: non gli è mai capitata una cosa del genere in vita sua, e gli porta un'adrenalina che non ha mai provato, che lo fa stranamente sentire vivo - che dà un senso a ciò che farà. Terence lo guarda, interdetto.
-Ma stai diventando completamente pazzo a stare qui? Sì, è un casino, cazzo! Quello ti fa a pezzi davvero, non scherzo! Non è forte come David, ma ti assicuro che ha i suoi trucchi del cazzo, non fare l'idiota!
-Perfetto, quello che intendo: Michelle ha già dato il colpo a Judas, ora io devo solo vincere contro il suo amico e la storia è conclusa. È tipo una regolazione dei conti, no? Non so bene come si gestiscano queste cose, di solito non mi trovo in casini del genere. – il suo amico lo guarda scioccato, gli occhi spalancati, il freddo a entrargli nelle ossa.
-Tu passi troppo tempo con quell'altra sciroccata, l'ho sempre detto. Non ti fa paura questa cosa? Cioè niente, zero totale?
-Terence: mi sacrifico abbastanza per questo sport per avere una qualsiasi paura. Mi basterà allenarmi tanto queste ultime settimane, perdere il giusto peso, e giocare di scaltrezza. E poi arrivano gli incontri internazionali: e se quella sera vinco, berrai fino al mattino dopo. – gli promette, sorridendogli. Terence lo guarda, gli occhi illuminati di ammirazione, mentre gli stringe la mano.
-Tu sei completamente fuori di testa, potrei davvero perderla io per te se continui così. – si avvolgono i corpi in un abbraccio, avviandosi alla palestra, che sperano sia ormai libera della presenza di Judas, ridacchiando, covando nei cuori la speranza che sarà così, e che la vittoria di Trevor contro Connor sancisca un nuovo inizio, lì a Desperado.

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