Capitolo Decimo - Parte Seconda: Io non sono

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Chiuse le palpebre, respirando a bocca aperta.

Non ci trovava alcun senso, solo la remota possibilità che stesse impazzendo. Forse la sua mente era sbagliata, rovinata. Forse in qualche ramo della famiglia un prozio lontano aveva sviluppato una forma di schizofrenia che con il susseguirsi delle generazioni era arrivata a lui, o forse...
Qualcuno bussò alla porta, facendolo sussultare.
«Ehi, Noah, tutto okay?»

Hans, realizzò con stizza, scoprendosi per la prima volta infastidito dalla presenza di quello che per anni era stato il suo migliore amico - perché in quel momento avrebbe voluto qualcun altro al proprio fianco, ma faticava a ricordarne il nome o l'aspetto. Sapeva che era qualcuno di importante, una persona fondamentale per lui, ma non riusciva a identificarla.

«Noah, ci sei? Amico, va tutto bene?»
Il ragazzo grugnì.
Come poteva fargli una simile domanda dopo che era corso via dall'aula, abbandonando una delle sue lezioni preferite e rifiutandosi di ascoltare le lamentele del docente? Era forse stupido?

«Mi stai facendo preoccupare, sai? Pure Gretchen si è agitata. Sei scappato via come se ti avessero detto che è morto qualcuno.» 

Beh, pensò con un sorriso nervoso, in effetti un cadavere lo aveva incontrato, ma solo nella propria testa - e rispetto alle volte precedenti, quest'allucinazione era stata nettamente peggiore. Ogni cosa gli era parsa definita, reale. Il suo corpo aveva davvero percepito il peso dell'altro tra le proprie braccia, così come la sua pelle aveva sentito il gelo della carne morta addosso. Il suo petto si era schiacciato sotto al dolore di una perdita incolmabile e in gola gli era parso di sentire un nodo di lacrime bloccare il desiderio di urlare come un dannato - per questo era fuggito, perché temeva di poter compiere qualche sciocchezza.
Aveva visto la vuotezza della sclera bianca oltre le palpebre socchiuse, le labbra ancora incrostate da lievi rimasugli di sangue rappreso; aveva passato le dita, con premura, su uno squarcio ricucito alla bene e meglio, percependo la violenza del filo che teneva insieme i lembi del pettorale e poi, passando lungo un collo adorno di collane d'oro, aveva spostato gli occhi su una linea di pelle più chiara, sentendosi stringere il cuore.

A quel ricordo si morse il labbro. Lo fece con violenza, in modo da scacciare l'immagine: chiunque fosse quella salma, per quanto ne sapeva, non aveva nulla a che fare con lui, quindi non doveva concedergli così tanto potere sulla propria psiche.

Eppure... Eppure quel corpo gli sembrava così familiare. Lo conosceva, in qualche modo, anche se non riusciva in alcuna maniera a capirne il perché.

Con veemenza strinse i pugni, infilandosi le unghie nella carne.

Dannazione!

La voce di Hans tornò nuovamente a riempirgli le orecchie: «Non voglio fare lo stronzo, okay? Però sei strano ultimamente. Da quando siamo tornati da Praga hai iniziato a comportarti diversamente. E'... beh... è successo qualcosa? Hai iniziato a usare qualche droga particolare o..? Insomma... non ti giudico, lo sai, ma vorrei capire» e a quel punto Noah si convinse di non poter più restare lì ad ascoltare tutte quelle idiozie. Non ne aveva la pazienza. Con un colpo di reni e facendo leva sulle ginocchia si rimise in piedi e poi, con un movimento brusco, aprì la porta della latrina, facendo sussultare l'altro.
 «Sono solo in ansia per gli esami» mentì, senza però saperne il motivo. Avrebbe potuto dire la verità, dopotutto si conoscevano dal liceo, ma invece non lo fece - perché la possibilità di essere un pazzo voleva tenerla quanto più nascosta possibile, in modo da non mandare la propria vita in rovina; inoltre, ancora non aveva trovato una spiegazione per quel tipo di allucinazioni. E finché non l'avesse fatto avrebbe evitato l'argomento.

A passo deciso si portò di fronte al lavandino, intenzionato a lavarsi via ciò che aveva visto, ma quando il suo sguardo incontrò il riflesso nello specchio si interruppe, sorpreso. I capillari si diramavano sulla sclera, rossi come dopo un lungo pianto e il grigio delle iridi pareva argento fuso, vivo - ben diverso da come se lo ricordava. Tonalità violacee gli contornavano gli occhi, rendendo quell'insieme ancor più estraneo. Per un solo istante gli parve che quel volto non gli appartenesse, che fosse di qualcuno che non conosceva. Gli era estraneo, eppure era conscio che fosse suo da sempre.
Si fissò con diffidenza e, se non fosse stato per l'ennesimo commento di Hans, avrebbe allungato una mano per sfiorarsi i lineamenti, dalle sopracciglia lungo il naso, gli zigomi e poi il mento - ma con quella presenza alle spalle un gesto del genere avrebbe davvero rotto il ghiaccio sopra cui Noah stava ora camminando.


«Sì, beh... forse stai prendendo la cosa troppo seriamente, non credi? Mancano ancora mesi e mesi alla laurea.»
Si morse la lingua, allontanando lo sguardo dal proprio riflesso: «Si vede che a differenza tua ci tengo ad avere buoni voti» sbuffò poi, aprendo il rubinetto e mettendoci sotto le mani, in modo da riempirle d'acqua ghiacciata. 
Il cuore continuava a battergli forte nel petto, seppur  in modo meno sincopato, e la sensazione di pesantezza sembrava essersi in parte dissipata, ma nulla era realmente sparito: quei sintomi continuavano a inseguirlo come belve pronte all'attacco - e lui era e restava la loro preda più succulenta.

Si bagnò la faccia.
Magari, come da bambino, con pazienza e un aiuto professionale sarebbe riuscito a tenere sia le allucinazioni sia il resto sotto controllo, arrivando a farli sparire ancora una volta - perché non poteva essere pazzo, non voleva.
«Sei già il migliore del corso, Noah, non credo ti debba sforzare tanto. Difficilmente potresti fallire» bofonchiò Hans portandosi le braccia al petto e incrociandole strette. Il suo sguardo si spostò dalla schiena dell'amico al pavimento, poi lungo le fughe delle piastrelle e lo zoccolino in plastica. L'invidia che provava per lui era palese; ogni smorfia, gesto o parola di quel momento ne confutavano la presenza - peccato che non avesse la più pallida idea di quale caos stesse prendendo piede all'interno della sua stupida testa.

A dire il vero, Noah stesso dubitava di comprenderne ancora la vera entità.

A dire il vero, Noah stesso dubitava di comprenderne ancora la vera entità

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Le Chimere di Salomone: il ReDove le storie prendono vita. Scoprilo ora