Capitolo trentaquattresimo - Parte Terza: Una Promessa

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«Okay, ma non puoi nemmeno dirmi dove eravamo? Il 1743 è un po' vaga come informazione

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«Okay, ma non puoi nemmeno dirmi dove eravamo? Il 1743 è un po' vaga come informazione...» chiese all'inseguimento di Zenas. Persino a piedi la Chimera si muoveva con una sicurezza invidiabile; gli erano bastate solo una decina di visite per imparare la mappa del paese a memoria - e Noah, nolente, faticava a stargli dietro. Più volte si era ritrovato a dover allungare il passo perché lui svoltava o attraversava all'improvviso senza preoccuparsi di avvisarlo.
Akràv, con le mani in tasca e i lembi della giacca a svolazzargli accanto al corpo, fece spallucce: «Se Levi non ti ha detto nulla un motivo penso ci sia.» Dai quasi dieci centimetri che li separavano fece cadere lo sguardo su di lui. Una luce benevola a illuminarlo. «Sono convinto di una cosa, Noah. Vuoi sapere quale è?» non attese risposta: «Uomini o demoni, siamo tutti gelosi del nostro dolore. Conserviamo una sorta di paura nell'esporre le ferite. Il tempo può passare e lenire, ma cosa succederebbe se non fossero guarite abbastanza? Magari si potrebbero infettare, o peggio, riaprire. Levi non è rimasto sfregiato da molte cose, quindi i graffi che ha dentro se li tiene ben nascosti e... beh» sospirò, lasciando che una tenue nuvola di fiato gli sfuggisse di bocca, «sono sicuro che ciò che quella moneta rappresenta deve essere ancora una ferita aperta per lui.»
Noah soppesò con cura quelle parole e, nel farlo, qualcosa di gravoso si adagiò sul suo petto. Non riusciva a smettere di voler sapere di più di quella storia, eppure al contempo si sentiva colpevole di desiderare quei ricordi, di voler soverchiare la riservatezza chiesta da Levi per un suo egoistico diletto.
La voce di Zenas tornò tra loro, pacata: «Prima mi hai chiesto di Nicholas» il suo sguardo non era più rivolto verso di lui, ma sul cielo azzurro. Con la lingua si umettò le labbra, la barba parve sfrigolare con il tendersi della pelle. Noah incespicò sui propri piedi, il cuore velocizzò il ritmo. «N-non voglio tu debba-» provò a dire per evitarsi che qualcosa di spiacevole potesse far capolino nella sua mente in quel preciso momento, ma la Chimera scosse il capo, ignorando le sue claudicanti rimostranze.
«Non scenderò nei particolari, tranquillo. Non me li chiedesti quel giorno e non intendo rivelarteli ora, ma voglio che tu sia a conoscenza di alcune cose.»
L'Hagufah deglutì un timore che gli stava bloccando la trachea. Sentiva smuoversi intorno un monito, un'ombra che presagiva tutto. Non voleva ricordare perché sapeva, in cuor suo, che si trattava di un argomento spiacevole e brutale, eppure, come aveva pensato lui stesso in auto poco prima, la sua esistenza e quella delle Chimere era fatta anche di peccati. Prima o poi avrebbe dovuto riviverli tutti.
«Lui è la ferita più grande e pulsante di Colette, infatti non le sentirai mai pronunciare il suo nome o ricordare gli anni insieme. Gliel'abbiamo procurata tu ed io, per questo la sua esistenza è nota, ma se chiedessi a Willhelmina, Alex o Niko non saprebbero di cosa stai parlando.»
Una sensazione anomala sembrò afferrare Noah per le caviglie nel tentativo di arrampicarsi sui suoi polpacci, lungo le natiche e la schiena. Se la sentì addosso come un ragno dalle mille zampe e con la coda dell'occhio provò a guardarsi alle spalle per accertarsi che non vi fosse veramente qualche strana creatura.
«Non è mai guarita. Ha continuato a tamponare l'emorragia della sua anima per secoli e...» le narici di Zenas si fecero grosse, la smorfia di rabbia gli tese gli angoli della bocca verso il basso: «ha iniziato a barcollare.»
«Che intendi? Anche lei ha pensato di abbandonarci?»
La Chimera scosse il capo, i dreadlock si mossero come un'onda scura: «No. Non lo ha mai fatto perché mai ha saputo che l'assassinio di Nicholas è avvenuto per mano nostra. E non deve saperlo, okay?» La durezza dell'occhiata che gli rivolse sembrò a Noah quella di nocche ossute contro lo zigomo. Gli fece male pur senza sfiorarlo e non ebbe il coraggio di aprir bocca, così si limitò ad annuire. Akràv rallentò il passo. Dall'altro lato della strada il negozio del fruttivendolo da cui erano diretti li aspettava immobile. «Le voglio bene. Davvero. Non le avrei fatto alcun male se avessi potuto scegliere, ma ho dovuto compiere il tuo volere.»
La sensazione alle spalle dell'Hagufah sembrò agitarsi di meno nonostante le sue zampe sottili non avessero smesso di tirargli gli orli della felpa e, in un soffio, chiese: «Perché?» Zenas si fermò del tutto. Erano faccia a faccia, tesi come corde di violino. «Insomma... perché hai assecondato una richiesta tanto ignobile? Avete sempre detto che ero un uomo saggio, magnanimo...» non capiva. Più si sforzava, meno riusciva a comprendere il motivo che lo aveva spinto a prendere una simile decisione. Era inorridito da Salomone, da ciò che aveva fatto a Colette e chissà a quali altre Chimere. Non avevano sempre detto che l'amore che provava per loro era infinito e viceversa? Per un momento fu grato di non sentirsi lui, di non riuscire ad accostare il proprio essere a quello del Re. Fu felice di poterlo giudicare dall'esterno, giuria e non condannato - eppure quella sensazione durò poco, perché il modo in cui Zenas si guardò attorno gli diede l'impressione che volesse nascondere qualcosa non solo al mondo esterno, ma anche a lui. Sentiva, seppur distante, il rimorso che stava logorando la Chimera e immaginò senza fatica la forza con cui doveva starsi mordendo la lingua. Forse, anche senza sentirsi il Re, restava colpevole e in qualche modo la sua mente provò a dirglielo.
«Nicholas è stato il tuo unico allievo. Da sempre.» Il ricordo di una risata riempì le orecchie di Noah. Non era quella di nessuna delle sue creature, ma aveva un suono familiare, dolce come uva fragola e vino novello. «Era promettente, curioso, innovativo... dicevi che ti rimembrava il ragazzo che eri stato. L' alkhimai che aveva trovato un modo per resuscitare il suo migliore amico.» Nella testa dell'Hagufah guizzò l'immagine di mani ingioiellate intente a sfogliare libri indicando annotazioni in una lingua che non riuscì a identificare. «Ed esattamente come te voleva qualcosa di impossibile... Un figlio, da Colette.»
La sensazione aggrappata a lui balzò in avanti, con le zampe gli strinse la gola e un conato parve volerlo tradire risalendo acido dallo stomaco, eppure tutto quello che vomitò fu: «Voleva creare un omuncolo...» Un termine di cui si era riappropriato solo grazie ai diari che Levi gli aveva fatto leggere, un procedimento che nemmeno lui, il grande Salomone, aveva mai provato a compiere.
Zenas annuì.
«Ma per farlo doveva sperimentare su di lei e questo ti mandò in bestia. Colette era tua, così come tutti noi, e nessuno doveva osare metterla in pericolo a quel modo, perché tanto sarebbe valso cederla al Cultus.» La mascella della Chimera si contrasse: «Quando lo scopristi provasti a dissuaderli entrambi, ma Flamel non voleva sentirne ragione. Voleva una stirpe con lei, una prova eterna del loro amore... non fosse che Wórèb sarebbe potuta morire nel tentativo di ottenere quel figlio e nessuno sapeva se ne sarebbe mai valsa la pena.» Akràv fece una pausa che gli permise di sentire la stretta intorno al collo allentarsi, poi lo vide riportare lo sguardo su di lui. Nei suoi occhi si poteva scorgere l'ombra di una guerra interiore tra sensi di colpa e senso del dovere. «Non so perché chiedesti a me e non a Levi, ma sta di fatto che prima che riuscisse a portare a termine gli studi su cui Paracelso mise le mani, colmando le lacune del suo predecessore, mi mandasti a ucciderlo. Non avevo mai spezzato il collo di un amico, ma lo feci per te e per lei. Per noi tutti.»

Le Chimere di Salomone: il ReWhere stories live. Discover now