Capitolo Trentacinquesimo - Parte Terza: L'invito

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"No compromise as I fight to break the cycle
And bring an end (to this suffering)
I'm a shadow, a black out, a storm in the background
(One man's whisper is another's scream)
Forsaken, I walk the night alone
No sanctuary
No place for me to call my home"

- Break the Cycle, Motionless in white

C'erano state alcune grida e diverse bestemmie

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C'erano state alcune grida e diverse bestemmie.

C'erano stati fiati mozzati e cuori in frantumi nel giro di pochissimi istanti.
C'era stata una sedia riversa a terra, poi un tavolo e per poco una porta sfondata in qualche stanza della casa a cui i suoi occhi non poterono accedere, non subito almeno.

C'erano state tante cose in quella manciata di minuti, ma non lacrime. Non da parte delle Chimere, quantomeno. A differenza loro, lui non era riuscito a guardare Alexandria e Levi negli occhi senza piegarsi in avanti e vomitare. Sul selciato innanzi alla casa aveva rigurgitato tutto ciò che aveva nello stomaco e le lacrime si erano mischiate con lo schifo. Non era servito altro. O forse si erano guardati negli occhi, loro e Zenas, e il tutto era stato chiaro.
Levi era rientrato in silenzio. Per qualche istante non si erano uditi altro che i conati di Noah, poi era arrivata la rabbia. Per ogni oggetto rotto, un'imprecazione. Per ogni imprecazione, un verso furioso.

Alex era rimasta tremante sotto il portico per poco, lo sguardo perso in qualche punto indefinito vicino alla chiazza di vomito. All'Hagufah era sembrato che lei fosse sul punto di piangere, invece aveva scosso veemente la testa e aveva dato loro le spalle.

Tirandosi su, il primo pensiero di Noah era stato quello di inseguire lei e il fratello, ma Zenas aveva scosso il capo e sussurrato un semplice "sbrighiamoci". Sanguinava da una spalla e aveva il viso segnato da sudore e sporco, i vestiti rovinati. Barcollando lo aveva preceduto in casa e lui aveva confusamente seguito i suoi passi, uno dopo l'altro senza riuscire a mettere insieme un pensiero di senso compiuto. Cos'era successo? Si chiese. Come avevano fatto, dall'essere in vantaggio, a ritrovarsi in quella situazione? Non riusciva a capire. In qualche modo gli sembrava essere vittima di un incubo, di un trip sbagliato. Quasi per trovar sostegno, si aggrappò allo stipite dell'ingresso. Avevano davvero lasciato indietro Colette e Nikolaij? Con che coraggio? Per quale motivo? Non avrebbero forse dovuto...?
Incurante del lerciume e del sangue rappreso che lo ricoprivano, Akràv si lasciò cadere sul divano, esausto. Un sospiro gli si riversò fuori dalle labbra seguito da un verso dolorante. Noah lo vide socchiudere gli occhi e deglutire con forza, il pomo d'adamo a percorrere su e giù la gola. Levi gli stava seduto di fronte, le mani a tirare indietro i capelli e gli occhiali da sole distrutti ai suoi piedi. Sembrava davvero un brutto trip, perché nessuno avrebbe mai reagito a quel modo; nessuno, davanti a ciò che era accaduto loro, si sarebbe semplicemente seduto in salotto - eppure eccoli lì. Tesi, certo, ma non abbastanza, decretò.
«Che state facendo?» chiese loro in un sussurro e continuando a tenersi alla parete, un po' com'era accaduto la prima volta che aveva messo piede in quell'edificio. Le dita di Levi si strinsero, tirando maggiormente i capelli. «Che diamin-» Alexandria spuntò dalla cucina con in mano un catino d'acqua calda e tra i denti un panno. Noah la fissò avvicinarsi al fratello, sederglisi accanto ed esaminare la ferita in completo silenzio. Con attenzione gli sfiorò la zona intorno al foro d'entrata di quello che pareva essere un vero e proprio proiettile, poi rialzarsi e sparire ancora una volta chissà dove. Nessuno osava dire nulla, quando in realtà ci sarebbero state mille cose da urlare - e più guardava le Chimere, meno gli sembrò che qualcuna di loro l'avrebbe fatto.
Titubante provò a staccarsi dalla parete, muovere un passo, ma la figura svelta di Z'èv gli corse davanti tagliandogli la strada per tornare da Zenas. Stavolta tra le mani stringeva una scatola di alluminio dall'aspetto estremamente datato.
Con dolcezza fece piegare il fratello e con altrettanta premura gli sfilò la giacca di jeans, poi la maglia. Aveva i muscoli delle spalle ancora tesi, la colonna vertebrale innaturalmente in rilievo accanto alla cicatrice recante il Sigillo. Alex prese a pulirgli la ferita con il panno imbevuto d'acqua del catino, rossa già alla seconda immersione. Lo fece in silenzio, come in un film muto.
Noah li fissò tutti, incapace di spiegarsi il loro atteggiamento. Non si guardavano in faccia, non mostravano più dell'ombra di una qualsiasi emozione - sembravano arrabbiate, ma non digrignavano i denti né gridavano; sembravano tristi, ma i loro occhi non erano lucidi né i loro corpi erano sconquassati dal pianto - e la cosa lo alienò. Come potevano comportarsi a quel modo? Come potevano fingere che non fosse accaduto qualcosa di terribile?
«P-perché non... non dite nulla?» Finalmente riuscì a muovere un passo verso il salotto. Sentiva le gambe deboli e il cuore troppo vicino alla gabbia toracica, gonfio. A rispondergli arrivò il cigolio della cassettina di latta. Alexandria tirò fuori una pinza chirurgica e un bisturi che lanciarono verso di lui dei bagliori sinistri. Sembravano nuovi e recenti, preparati ad hoc per l'occasione.
Lo sguardo di Noah baluginò verso Levi, immobile. Tutta la furia di poco prima svanita, un soffio di vento che aveva scosso il suo animo per poi tornare alla quiete. Quasi dubitò vi fosse stato.
Lo schiocco della lingua di Alexandria costrinse l'Hagufah a distogliere l'attenzione da Nakhaš, riportandola su di lei e Zenas. La scorse storcere la bocca, fare delle valutazioni tra sé e sé prendendo le misure con la lama del bisturi, poi sbuffare.
«Eykhe zeh nareeh? (come ti sembra?)» la domanda dell'uomo fu poco più di un sussurro profondo, calmo come nulla avrebbe dovuto essere in quel momento.
«Patir. (gestibile)» gli rispose la sorella con un altro sussurro, gli occhi fissi sul foro e le labbra strette in una linea dura priva di emozione.
Davanti a quella scena i pugni di Noah si strinsero lungo i fianchi, le unghie gli ferirono i palmi e le nocche sbiancarono. Lo stavano forse prendendo in giro?
La punta del bisturi sfiorò la pelle. Zenas non emise alcun verso, il suo viso non tradì alcun dolore - chissà se lo sentiva. Chissà se c'era qualcosa di più forte, come i sensi di colpa, a distrarlo.
«Yesh nezeq, akhòt? (ci sono danni, sorella?)»
Alexandria allontanò l'arma. Osservò il lavoro fatto come se si trattasse di un dipinto, soppesando con incredibile placidità il proprio operato. Nulla sembrava metterle fretta. Non aveva urgenza né paura, solo... vuoto. All'Hagufah sarebbe piaciuto leggere i loro stati d'animo, capire se il loro atteggiamento nascondesse qualcosa di simile al suo dolore, al suo timore, al groppo in gola che sentiva essere sempre più soffocante - ma era troppo teso per riuscire a farlo, troppo in collera con loro.
«Lo nareeh kem- (Non semb-)»
«Lo nireah lekhe?(Non ti sembra?)» La interruppe, urlando in quella lingua che improvvisamente sembrò appartenergli da sempre. Alex parve sussultare, ma non osò alzare lo sguardo su di lui. «Uh?!» la incalzò. Noah sentiva la mascella serrata, i denti schiacciati gli uni sugli altri, le unghie sempre più vicine al tagliare la carne: «Ideb et akhinu, Z'év (abbiamo perso i nostri fratelli). Eykhe et qoret lezeh? (come lo definiresti questo?)» I suoi occhi fecero nuovamente il giro dei presenti, studiandoli. Sembravano feriti nell'animo, eppure non a sufficienza. Non quanto si sentiva lui. «Ta'aneh li! (rispondimi!)» intimò ancora, e in un istante Levi balzò in piedi, gli si parò davanti e l'afferrò per il colletto della maglia. Erano così vicini che l'Hagufah riuscì a vedere distintamente l'insolita trama delle sue iridi, l'attaccatura delle ciglia e la texture della pelle. Lo erano come tante volte prima, eppure, al contempo, come pochissime.
«Tafessiqi! (smettila!)» sibilò con altrettanta imperiosità e rabbia: «Smettila, akh.» ma Noah non si fece intimorire. Su quelle gambe deboli cercò di restare saldo, di sfidare Nakhaš, di impedirgli di zittirlo - perché innanzi a ciò che era successo non avrebbero potuto fermarlo.
«Perché dovrei?» ringhiò: «Per permettervi d'ignorare ciò che è successo? Per fingere che non abbiamo abbandonato Colette e Niko-» l'impatto col muro gli rimbombò nella schiena, in mezzo alle scapole, mozzandogli il fiato. Il fiato di Levi a sfiorargli la punta del naso, il suono dei loro cuori così nitido ed egualmente veloce da sembrare quello di un'unica persona. Se Noah avesse ricordato come respirare, forse avrebbe inalato il sentore pesante e umido della rabbia.
«Tu non hai idea, Noah.» Nakhaš sottolineò il suo nome con forza, lo impresse nella sua mente come se per un istante gli fosse sfuggito. Voleva evidenziare qualcosa, una differenza che l'Hagufah sentì tagliargli le labbra e la lingua come il bordo di un foglio di carta.
Si guardarono con un livore non proprio sconosciuto e al tempo stesso con un senso di comprensione che non si sarebbe potuto dire da dove venisse. Qualcosa di lontano echeggiò tra di loro, ma non a sufficienza da permettere a Noah di capire cosa fosse.

Le Chimere di Salomone: il ReWhere stories live. Discover now