Capitolo Venticinquesimo - Parte Seconda: Un legame che trascende la paura

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"Life ain't fair
And this growin' up stuff man I don't know
I just don't wanna let you go."

-The night before the life goes on, Carrie Underwood

-The night before the life goes on, Carrie Underwood

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Terre d'Israele, Notte dei Tempi

Levi si inchinò esattamente come faceva ogni volta che vi era qualche sorta di evento importante: al cospetto di un funzionario straniero, alle cerimonie, durante le benedizioni prima della battaglia. Le sue ginocchia toccarono il pavimento in pietra e la sensazione che ne scaturì fu strana, diversa da qualsiasi altra cosa avesse avvertito nelle ultime ore. La durezza dell'arenaria era reale, così come il calore che ne riscaldava la superficie e sembrava amplificarsi sulla sua pelle, lasciandolo comunque bramoso.

Salomone lo fissò perplesso, mettendo bene in mostra il fatto che non riuscisse a capire il senso di quel gesto proprio in un momento simile. Avevano appena finito di sbarazzarsi dei corpi di Tamar e Yael trasportandoli per i corridoi addormentati del palazzo, salendo e scendendo scalinate utilizzate per lo più dalla servitù. Erano arrivati nei pressi della lavanderia, dove qualche povera martire stava già lavorando cercando di far meno rumore possibile, e poi avevano deviato per raggiungere le sponde dello Yarmuk, il fiume che attraversava tutta la città. Bardati nei loro mantelli, avevano cercato di muoversi nelle ombre che anticipavano l'alba e una volta arrivati a destinazione, certi che la corrente avrebbe portato via ogni cosa, avevano lasciato che l'acqua inghiottisse le salme di quelle due giovani donne.
Levi non aveva posto alcuna domanda al suo Sovrano, aveva eseguito le sue richieste esitando solo nel momento in cui i suoi occhi avevano nuovamente incontrato quelli vitrei di Tamar. Un brivido lo aveva scosso sin nelle interiora, ma era rimasto muto e aveva finito di avvolgere il corpo in uno dei teli con cui Salomone aveva fatto ornare il proprio letto a baldacchino.
Per tutto quel tempo non si erano quasi rivolti la parola. Le uniche cose che erano sfuggite dalle loro labbra si potevano riassumere in una manciata di indicazioni.
Come erano sgattaiolati fuori da palazzo, così ci erano tornati, muovendosi al pari di ladri nonostante fossero le figure più importanti all'interno delle mura dell'intera città. Un velo di colpa si era posato sul Generale, mentre il Re aveva continuato a incedere con le spalle dritte, fiere, quasi quell'omicidio avesse per lui il valore di un successo.
Levi aveva rimuginato sul suo atteggiamento e su ciò che era accaduto fin quando non erano tornati nelle stanze di Salomone e, a quel punto, si era inginocchiato. Qualsiasi cosa il Sovrano avesse fatto, pensò, lo aveva fatto per lui.

«Qum 'al haragelayim, akh (Alzati, fratello)» gli disse, passandosi una mano in viso. Salomone era stanco, il suo aspetto era ben lontano da quello che Levi si ricordava. Emaciato, con grosse occhiaie e i capelli scompigliati, una benda stretta intorno al polso sinistro, era l'ombra dell'uomo che aveva lasciato a palazzo prima di partire per l'ennesima battaglia - eppure le sue labbra avevano una piega felice, serafica.
Il Generale non si mosse. Che fosse un ordine o meno, poco gli importava.
Nonostante gli frullassero per la mente decine di domande a cui aveva deciso momentaneamente di non dar risposta, era certo che dovesse, prima di qualsiasi altra cosa, fare quello: ringraziarlo. Una voce lontana continuava a dirgli che quell'uomo si era spinto al di là dell'indicibile per lui - e se ci si soffermava con attenzione poteva addirittura sentirlo. Dentro di sé il Generale percepiva la vita pulsare come mai prima d'allora. Avvertiva ogni singola vibrazione che smuoveva l'aria e faceva tremare impercettibilmente il terreno; la sua vista nelle ombre della sera sembrava essere più acuta, carpire anche il movimento più lieve. Si percepiva diverso, anche se non avrebbe potuto dire con precisione in che modo.

Le Chimere di Salomone: il ReWhere stories live. Discover now