Capitolo ventottesimo - parte seconda: Trova il vitriol

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Levi aveva assistito alla conversazione tra Noah e Alexandria a distanza di sicurezza, restando sdraiato su una porzione di tetto adiacente alla finestra di camera propria, quella che un tempo aveva condiviso con Hamza

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Levi aveva assistito alla conversazione tra Noah e Alexandria a distanza di sicurezza, restando sdraiato su una porzione di tetto adiacente alla finestra di camera propria, quella che un tempo aveva condiviso con Hamza. Era rimasto immobile al sole, crogiolandosi nel suo tepore, ma non aveva potuto evitare di sentirsi sopraffare da un brivido quando, con la coda dell'occhio, aveva visto prima il viso della sorella avvicinarsi pericolosamente a quello del Re, poi, lui non fermarsi e poggiare le proprie labbra sulla guancia di lei. Il senso di fastidio e gelosia che aveva provato al loro arrivo lì, quando li aveva visti vicini nel corridoio, era rimontato in lui come un geyser, facendogli stringere i pugni e fuggire dal lato opposto della veranda.
Era saltato giù con la sua consueta agilità e aveva finito con l'incamminarsi verso il mare, a ridosso del limitare della proprietà, armato solo di un libro che aveva rubato dagli scaffali di Colette.
Camminava svelto, imperterrito, pronto a mettere quanto più spazio possibile tra sé e quella scena - perché odiava essere solo uno spettatore, detestava l'idea che qualcuno potesse essere al suo posto. Ma non poteva ammetterlo. Non poteva ribellarsi. Lo aveva giurato quella notte pur di ottenere qualcosa di più importante e mai si sarebbe permesso di infrangere la propria promessa.
Involontariamente strinse la presa sul libro. La ruvidezza della copertina gli infastidì i polpastrelli. Se fosse stato suo lo avrebbe lanciato a terra, ma si trattenne. Doveva riprendere il controllo di sé, mettere a tacere ogni sorta di sentimento inappropriato e fingere di non aver visto nulla per l'ennesima volta.

Levi prese un grosso respiro e nell'alzare gli occhi al cielo vide le fronte dei lecci che segnavano la fine del loro giardino; poco più avanti, il muretto che Colette aveva detto di aver fatto costruire per questioni burocratiche. Un senso di illusoria tranquillità lo accolse e lui non si fece remore a sedersi sulle radici di uno di quegli alberi. Si beò del rumore del vento tra le foglie, della salsedine che, persino da qualche chilometro di distanza, arrivava sin lì. Chiuse le palpebre e appoggiò la testa al tronco provando a rallentare il battito.

Uno, due, tre, quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro. Cinque.
Uno, due, tre. Quattro. Cinque.
Uno, due. Tre. Quattro. Cinque.
Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque.

Rimase immobile per un tempo che non riuscì a calcolare e nel mentre,  con una certa timidezza, qualche pensiero tornò a fargli visita.
Quanto gli era mancato quel posto, ammise. Quanto gli era mancato il sollievo procurato dalla consapevolezza di dove fossero e come stessero i suoi fratelli, aggiunse. E quanto gli era mancata la certezza che Salomone fosse a un passo da lui. Per troppo tempo aveva creduto che sensazioni di quel tipo non sarebbero più tornate, eppure da quando aveva trovato Alexandria, poi Zenas e infine Noah, la nostalgia si era dissolta. Quasi faticava a crederci. Se solo un paio di anni prima, chiunque, gli avesse detto che sarebbe tornato tra le braccia della sua famiglia avrebbe generato in lui fastidiosa ilarità. Più ci pensava, più il disagio si faceva flebile e un senso di tranquillità andava aumentando. Levi si fece cullare da ognuno di quelle parole e pensieri, forse si appisolò leggermente, ma alla fine, come Caronte dalla sua barca, una voce lo riportò alla realtà.

Le Chimere di Salomone: il ReWhere stories live. Discover now