Capitolo Venticinquesimo - Parte Prima: Un legame che trascende la paura

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"I'm going away for a while
But I'll be back, don't try and follow me
'Cause I'll return as soon as possible
See, I'm trying to find my place
But it might be not here where I feel safe"

-Misguided Ghost, Paramore


Noah emise un urletto e Zenas in risposta strinse i denti

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Noah emise un urletto e Zenas in risposta strinse i denti. Per un attimo temette di sentire amplificarsi il dolore, di percepirlo aumentare fino a farlo soffrire veramente, ma così non fu. Grazie al cielo il suo corpo continuava a sostenerlo, a proteggerlo da ciò che avrebbe potuto renderlo enoshiy (umano). Così attese che la voce di Levi desse conferma che quella manovra inaspettata avesse messo a posto l'osso.
«Passami l'asciugamano» gli sentì ordinare alla sorella, seguito poi dal suono rassicurante dell'acqua, delle gocce che ricadevano nel pentolino come pioggia in una pozzanghera. Il calore della stoffa bagnata arrivò subito dopo, facendogli tirare un sospiro di sollievo. Non si era accorto di aver accumulato tanta tensione e la calma nel tono del fratello gli confermò di potersela finalmente poteva scrollare di dosso. Come ingranaggi i suoi muscoli sembrarono far uscire la pressione accumulata in soffi di vapore bollente. Nakhaš nel mentre tamponava con cura dal centro della ferita verso l'esterno, portando via sporco e sangue. Ripeté quella sequenza di movimenti un paio di volte prima di chiedere ad Alex un ago e del filo e a Noah il disinfettante e le bende che ancora teneva in mano come giocoliere improvvisato in una sala operatoria ben poco adatta.
I due si mossero svelti, ubbidendo silenziosi al volere del Generale più antico del mondo. Zenas non poteva vederlo, ma riusciva a immaginarselo mentre, con il dorso della mano, spingeva via dal viso le ciocche ribelli.
«Ora, di grazia, mi spiegate cosa è successo?» Aveva un tono pacato, della frustrazione di poco prima sembrava non essere rimasto nulla - ma Levi sapeva dissimulare bene, il suo era un talento innato; così cautamente gli versò sulla ferita un po' di disinfettante che colò lungo la pelle. Nessuno aprì bocca. Solo il rumore gracchiante della rotella dell'accendino si fece strada oltre la musica. Sicuramente era intento a scaldare l'ago, a disinfettarlo per suturare i lembi di carne recisi; così Akràv dovette concentrarsi un attimo per riuscire a trasformare la sua pelle  in quella di una persona qualsiasi e quando la punta provò a perforarla sentì un sibilo simile a un'imprecazione sfuggire dalle labbra del fratello.
Solo quando ebbe finito, passando al bendaggio, Alexandria si concesse il lusso d'accasciarsi accanto a Zenas. La vibrazione dei suoi movimenti fu inconfondibile. Con un panno umido prese ad accarezzargli il viso, pulendolo da qualsiasi segno fosse rimasto dopo la lotta. Il suo tocco era leggero, cauto ogni volta che tornava a tamponare. Lo stava sfiorando quasi come se potesse romperlo - che sciocca, pensò lui, di quali conseguenze aveva paura?
«Ci hanno trovati» la udì sussurrare, soffermandosi con più attenzione su un punto accanto alla tempia. La sentì premere con veemenza e allora le cinse il polso, allontanandole la mano. Dolcemente fece un sorriso a labbra strette, aprendo appena una palpebra e sbirciando dalle dita con cui si era coperto gli occhi poco prima. La scorse mordersi il labbro inferiore, come se fosse stata scoperta, abbassare lo sguardo e rimettersi seduta in modo quasi composto, arresa.
«Eravamo in un pub, credo ci abbiano visti lì.»
«Credi?» Le domandò Levi con tono deciso. Ora non sembrava più tanto sereno, ma Akràv dubitava che qualcuno, oltre a lui, potesse notarlo.
«Sì, credo.» Vide la sorella alzare appena lo sguardo, fissare la Chimera di fronte a lei e poi tornare all'asciugamano che teneva tra le mani: «Non voglio mentire, okay? Io... non ho percepito il pericolo fino a quando non siamo usciti. Solo a quel punto ho-»
Levi per errore fece un giro di garze troppo stretto, tradendosi. «Già a Venezia ci stavano addosso. Ed è da quando siamo arrivati qui che vi dico di non abbassare la guardia» precisò con durezza, lasciando che denti di Alex premessero maggiormente nella carne; lei però non osò aprir bocca. Era palese che sapesse di aver sbagliato, eppure la sua era stata una singola, misera svista. Già, ma nella loro esistenza anche quelle sciocchezze potevano essere fatali.
«Quanti erano? E vi hanno visti altrove o seguiti in questi giorni? Sapete se ci sono squadre in arrivo o...»
Domande logiche si susseguirono una dietro l'altra finché Zenas, esasperato, si tirò dritto con il busto, liberandosi gli occhi dalla mano e decidendo di usare le ultime energie per prendere attivamente parte a quell'interrogatorio: «No.» Il suo sguardo si incontrò con quello del fratello: «No, non sappiamo nulla.»
«Non vi hanno risposto o non avete chiesto?» In effetti, nella foga dello scontro e della fuga, nella consapevolezza di non essere al pieno delle proprie forze, avevano dimenticato i basilari da seguire in simili situazioni. Avrebbero dovuto persuadere almeno uno di quegli alchimisti, lo avrebbero dovuto mettere in ginocchio e chiedergli tutto ciò che ora Nakhaš stava domandando loro - ma non lo avevano fatto e questo sarebbe potuto diventare, nella giocata del Cultus, un vero scacco alle Chimere.
Il silenzio che seguì fu quindi una risposta più che sufficiente.
«Come immaginavo» Levi scansò la gamba dell'uomo. Aveva le mani e il torso chiazzati qua e là di rosso, il sigillo di Salomone in bella vista insieme ad altre cicatrici  pallide. Se non fosse stato per l'espressione infastidita e il tono con cui ora si stava rivolgendo loro, sarebbe davvero potuto passare  per un medico di guerra.
D'improvviso accanto a loro Noah intervenne: «Quindi adesso che si fa?» Una sorta di amara tenerezza invase Zenas. L'ingenuità del nuovo Hagufah era incredibilmente simile a quella di un bambino. Insegnargli da capo ciò che lui aveva insegnato loro sarebbe stato un lavoro terribilmente lungo.
«Prepariamo i bagagli» rispose Alexandria: «Sperando di averne il tempo...»
Il ragazzo vacillò. La sua postura si fece rigida e al contempo instabile, il suo viso divenne una maschera di dubbi. Sembrava preoccupato. «E dove andrete?»
Tutte e tre le Chimere si ritrovarono a trattenere un sorriso, ma nessuna di loro parve riuscirci del tutto: «Dove andremo» lo corresse Akràv strofinandosi le mani insozzate sui jeans altrettanto sporchi, ottenendo da lui ancor più confusione. Era ovvio che non fosse ancora entrato nell'ottica di essere in pericolo, di dover rinunciare a tutto per tornare a una vita che aveva dimenticato, forse nella speranza di non dover più vivere - purtroppo però, la sua doveva era stata fiducia mal riposta: «Nessuno di noi è al sicuro, qui.»
«Ma stanno cercando voi, giusto?» I suoi occhi grigi si posarono prima su di lui, poi su Alexandria e infine su Levi, dove si soffermò con più insistenza, quasi confidasse nel fatto che la Prima Chimera potesse concedergli una sorta di grazia. Fu tutto inutile. «Io... io ho una vita qui, okay? Ho una famiglia, degli amici, mi sto per laureare e-»
«E noi ti stiamo dando l'opportunità di perderli in un modo ben più clemente di quanto potranno mai fare i membri del Cultus.» Nakhaš si alzò, prese una sigaretta dal pacchetto che teneva in tasca e se la mise tra le labbra violacee. Aveva finito il suo lavoro e ora si stava preparando a procedere con quello successivo. Con le mani insanguinate si tirò indietro i capelli, il costato si tese sotto alla pelle tirando le cicatrici che gli costellavano il torso; ed era innegabile il fatto che Levi rappresentasse ancora l'essenza ultima del guerriero, la musa per qualsiasi scultore volesse dar forma a un Dio greco. Da qualsiasi prospettiva lo si guardasse, qualsiasi gesto potesse compiere in quel momento, si poteva percepire l'essenza occulta, profana e bellica del suo essere, seppur per la maggior parte del tempo apparisse come un beone troppo incline allo spezzar cuori. «Se pensi che noi siamo mostri, fidati, loro possono essere peggio.» Una folata bianca gli uscì al lato della bocca: «Non risparmieranno nessuno pur di arrivare a te, alla tua conoscenza, al potere che nascondi... noi siamo solo il premio di ripiego se paragonati a te.» Zenas vide il fratello avvicinarsi cautamente alla finestra, sbirciare oltre il tessuto leggero delle tende e sfilarsi il filtro dalle labbra, riflettendo. Stava cercando nelle ultime ombre qualche movimento, il presagio del pericolo. «Se resti qui, loro scopriranno chi sei, quali sono i tuoi affetti più cari e li useranno contro di te. E onestamente? Non dubito che possano arrivare a far loro del male se tu ti dovessi opporre.»
Noah rimase immobile, solo le braccia si mossero: «E allora non lo farò! Io... non opporrò resistenza!»
Alex d'improvviso scoppiò, furente. Teneva i denti stretti e le parole le uscirono come un ringhio: «Quindi sei disposto a farci ammazzare?! Dopo quello che abbiamo fatto per-» ma Levi la mise a tacere.
«Quello che abbiamo fatto per lui è passato, akhòt. L'Hagufah non ricorda, non può sapere. Ciò che è successo appartiene a un'altra vita in questo momento.»
Lei provò a insistere: «Però-» stavolta fu Zenas a farla zittire. Allungandosi verso di lei, con gli occhi stanchi e il corpo dolorante, l'uomo le afferrò un braccio. Le sue dita si strinsero su di lei, provando a farle capire che l'unico a dover parlare, ora, era il Generale. Convincere Noah a scegliere loro, ancora, non era compito che li riguardasse.

Le Chimere di Salomone: il ReWhere stories live. Discover now