Capitolo Ventitreesimo - Parte Prima: Un corpo troppo umano

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"I find myself in the jaws of destruction

Tested, by the force of the tempest.
Pushed, to the point of no return.
Losing ground.
Let the steel of my resolve
be not bested by the sum of my fears"

- Karma, Parkway Drive

Zenas atterrò l'ultimo alchimista

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Zenas atterrò l'ultimo alchimista. Attese che il suo corpo cadesse a terra con un tonfo prima di sputare un grumo di sangue tenuto in bocca per troppo tempo, poi mugolò un "ikhes" (che schifo) passandosi la lingua sui denti.
Era stanco, anzi, esausto. L'ultimo scontro risaliva a una data che nemmeno ricordava e gli allenamenti di thai boxe non erano paragonabili a una cosa come quella; la mutazione richiedeva sforzo, l'Ars consumava energie - o quantomeno lo faceva con lui. Levi era una Chimera perfetta, altri fratelli ci si avvicinavano abbastanza, ma lui... beh, era quel che era: un esperimento - e come tale aveva difetti.
Socchiudendo gli occhi di fronte a quel pensiero lasciò cadere la testa all'indietro. Inspirò aria troppo calda e poi riaprì le palpebre verso un cielo privo di stelle, dove il nero delle nuvole e la luce lampeggiante di un aeroplano furono le uniche cose che riuscì a scorgere. Intorno a lui tutto sembrava essere finalmente precipitato in uno stato di quiete: niente rumori molesti, versi soffocati e bestemmie sussurrate. Ora che persino l'ultimo dei suoi avversari aveva smesso di mugolare e il veleno aveva fatto il suo corso la pace era tornata ad accompagnare la sera - e sembrava essersi portato via anche le ansie precedenti, le tensioni accumulate in quei giorni.
In quella quiete Zenas poteva sentire il fruscio leggero dei dreadlock che penzolavano dal capo lungo le spalle e, poco più in là, come una presenza terza, la propria coda dondolare seguendo un venticello mesto. Se avesse posato lo sguardo sulla propria ombra, pensò, probabilmente l'avrebbe persino vista, imponente come un triste mietitore che attende.
Sfoderarla durante quello scontro aveva fatto male, si disse, forse più dell'ultima volta e, a ogni movimento, sentiva ancora un lieve fastidio lì dove la pelle si era lacerata per farla uscire. Nonostante il dolore però gli era piaciuto. Era stata una sensazione quasi confortante, una consapevolezza masochista che lo aveva fatto sentire pericoloso, invincibile. Forse non avrebbe dovuto ammetterlo, ma era qualcosa di inebriante, assuefacente...
Gli venne da ridere.
Accogliendo quella consapevolezza non riuscì a trattenere una risata breve e roca, una liberazione.
Dio! Era davvero diventato un mostro, si disse appena le corde vocali smisero di vibrare. Chi mai avrebbe potuto trovare una cosa del genere piacevole, appagante, familiare? Altri mostri. I suoi fratelli, aggiunse senza esitazione, tutti quanti - e facendo scorrere i loro volti nella mente, in ordine sparso, si ricordò improvvisamente di Alex, di come l'aveva lasciata, del pericolo a cui era esposta.
Merda!
Sussultando si rese conto di non avere ricevuto sue notizie da... provò inutilmente a cercare un orologio, come se potesse servirgli a qualcosa. Guardò ovunque, affannandosi fin quando non si rese conto non avere alcun senso e che, piuttosto che soffermarsi su simili cavolate, avrebbe dovuto correre dalla sorella; così contrasse i muscoli dei glutei, strinse i pugni e la sensazione dolorosa alla base del coccige lo fece trasalire. Il pungiglione si ritrasse lentamente, tornando al proprio posto sotto la pelle e uniformandosi con la schiena, come una corazza per la spina dorsale e, solo a quel punto, cercò di ripercorrere i propri passi.
Scavalcò i cadaveri dei due alchimisti senza degnarli di alcuno sguardo, consapevole di ciò che avrebbe visto. Calpestò le crepe createsi sull'asfalto ogni volta che era caduto a terra e i coltelli di lamiera che uno dei suoi avversari aveva inutilmente scagliato contro di lui vi si erano conficcati dentro, poi provò a tendere le orecchie per scorgere un suono, uno qualsiasi.
Si sentiva frastornato, ma non a sufficienza da abbandonare Alexandria. Se poteva esserle d'aiuto lo sarebbe stato e fanculo le regole, pensò. Sapeva che la priorità era fuggire, tornare alla base e avvertire Levi, lo aveva sempre fatto e non se lo sarebbe risparmiato in futuro, ma Z'èv era pur sempre la sua sorellina.

Le Chimere di Salomone: il ReDove le storie prendono vita. Scoprilo ora